La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Una, dieci, cento maschere contro il CIE di Gradisca



La maschera può essere il simbolo di quel legame e catena che condiziona l'identità dell'individuo mutando la sua libertà di essere in libertà di non essere, oppure un velo che che vuol annientare le differenze sociali, umane, per unire, tramite la protezione di quel misterioso  oggetto che è anche soggetto plastificato, l'umanità, siamo tutti uguali nell'essere umani, ma siamo tutti differenti nel vivere la vita sempre più disumana.
Non mi son mai piaciute le maschere, ho sempre vissuto la maschera con senso di inquietudine, però vi sono dei momenti in cui la maschera rappresenta meglio di ogni parola o scritto l'essenza che vuoi o vorresti comunicare e contrastare.
Una maschera, un prato verde, bandiere nere e rosso e nere, persone, chi con la divisa chi senza divisa che si fronteggiano per un maledetto muro.
Un muro alto, grigio come il cielo di questo giugno, un cancello automatico, un lampeggiante, e provi ad intravedere con lo sguardo fugace cosa si cela oltre quel confine.
Il Cie ed il Cara.
Sigle che sono anche sostanza di repressione ed oppressione legalitaria.
Persone che attendono di essere “identificate” nel primo caso, persone richiedenti asilo politico nel secondo caso.
Senza carta e bolli non puoi essere , ma solo sognare di essere o illuderti che sarai.
La clandestinità è l'effetto collaterale della cittadinanza, per come strutturata.
Certo, siam tutti figli e figlie dello stesso cielo e mare, ma per le regole della società, che mutano e ribaltano il senso della natura delle cose, non potrai mai essere figlio o figlia dello stesso cielo e mare, sarai solo un clandestino e come tale dovrai essere punito, perché tu, simbolo, dovrai essere l'esempio per tutti quelli che osano oltrepassare mari e deserti per sfiorare l'Italia.
Eppure questi luoghi sono stati dimenticati da buona parte della così detta società civile che lotta.
Certo, con le dovute differenze.
Vi sono ancora oggi associazioni, realtà, che lottano e contrastano tal sistema, ma la politica rappresentativa di se stessa ignora ciò che ha edificato, nonostante i Medici Per i Diritti Umani”abbiano certificato “condizioni di vita inumane, peggiori di quelle delle carceri”all'interno dei vari CIE sparsi per l'Italia. A tal proposito suggerisco di leggere un documento pubblicato su infoaction (http://www.info-action.net/attachments/article/2062/CIEdossier.pdf)

Ma vi sono persone che non dimenticano, come scritto poc'anzi. Prima una iniziativa in città e qualche giorno dopo proprio innanzi a quelle mura, organizzata dal gruppo germinal di Trieste e diverse realtà.
Uomini in divisa e uomini e donne senza divisa. Chi difende quelle mura, chi lotta contro quelle mura. E dentro persone con la maschera imposta dalla legge che inibisce ogni libertà di essere. Una performance del Living Theatre , fili color arancio, tuta nera, passi robotizzati, urla e dolore e poi l'unione.
Via quelle maschere.
Siamo uomini e donne, figli dello stesso cielo e dello stesso mare.

alcune foto del presidio del primo giugno 2013  al Cie di Gradisca




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