Con questo intervento non
voglio entrare nel merito dell'operato del Questore di Trieste, ma
sento la necessità di evidenziare una problematica che riguarda il
diritto di espressione e l'espediente a cui si ricorre per
manifestare le proprie anche personali considerazioni.
E' stata recentemente
pubblicata, nello spazio segnalazioni del Piccolo di Trieste, una
lettera del segretario provinciale di Polizia ADP triestina, il cui
oggetto era una sorta di ringraziamento al Questore di Trieste per il
suo modo di esporsi verso i poliziotti che ora dirige.
Ognuno deve essere libero
di esprimere il proprio pensiero, le proprie considerazioni,
sentimenti emozioni, assumendosi la responsabilità di ciò che
afferma. Ma in Italia il diritto dell'articolo 3 primo comma della
Costituzione o l'articolo 21 della Costituzione non sempre è
garantito, anzi ad alcuni dipendenti pubblici è praticamente
limitato se non vietato interamente come accade ai Militari.
Soffermandoci sulla
questione Polizia di Stato, certamente non siamo ai livelli della
situazione marocchina ad esempio, dove recentemente è emersa una
nota del capo della Direzione Generale per la Sicurezza Nazionale
(DGSN) che vietava espressamente ai poliziotti di parlare con i
giornalisti, non solo su una problematica specifica, ma su ogni questione che può interessare la vita del poliziotto e cittadino.
In Italia il quadro
giuridico è più discrezionale, ma una discrezionalità così ampia e generica che spesso
sfocia nell'intimidazione o nell'adozione delle sanzioni disciplinari
o di circolari che vietano la realizzazione di questo diritto.
Ciò che i poliziotti
rischiano, nel caso di dichiarazioni alla stampa, è l'adozione di
una sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di un
trentesimo di una mensilità dello stipendio, che può essere
inflitta ai sensi dell’art. 4, n. 18, del dpr_737_1981“Sanzioni
disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica
sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti”, ai sensi
del quale la sanzione pecuniaria della riduzione in misura non
superiore a cinque trentesimi di una mensilità dello stipendio e
degli altri assegni a carattere fisso e continuativo viene inflitta
per qualsiasi comportamento, anche fuori dal servizio, non conforme
al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli
dell’Amministrazione della pubblica sicurezza.
Però esiste una sorta di
espediente che è la tutela riconosciuta a chi esercita attività
sindacale. Infatti, il libero esercizio dell’attività
costituzionalmente garantita, quella sindacale e conseguente
realizzazione piena del diritto di critica e manifestazione del
proprio pensiero, è tutelata dall’art. 83 della legge_121_1981e
dall’art. 34 del dpr_254_1999
che sottrae i dirigenti sindacali, nell’esercizio delle loro
funzioni, alla subordinazione gerarchica e dalle ritorsioni dei
procedimenti disciplinari.
Cosa voglio dire con ciò?
Che non sempre certi comunicati che vengono firmati a nome di alcune
sigle sindacali, sono in realtà espressione di argomento sindacale,
di critica sindacale. Spesso si utilizza l'espediente della firma
sindacale per esprimere un proprio personale pensiero realizzando una
sorta di discriminazione sostanziale tra chi vorrebbe parlare,
scrivere e non può farlo e chi invece è tutelato perché esiste
sempre la sigla del sindacato che offre una garanzia.
Ciò comporta il rischio
che alla Polizia per esempio possa essere conferita una sola voce,
una voce che probabilmente non rappresenta il sentimento di tutti gli
addetti, una voce che probabilmente non rappresenta l'eco di tutto
l'ambiente che si vive e frequenta ogni giorno.
Quale è la linea sottile
di confine tra il comunicato sindacale e la valutazione personale?
Io ho sempre difeso il
diritto di manifestazione del pensiero di tutte le persone, siano
essi amici che nemici, siano essi compagni che avversari nella lotta.
Tutti devono avere il diritto di esprimere il proprio pensiero, una
società che pretende di definirsi democratica non può e non deve
ricattare e limitare tale esercizio di diritto universalmente
riconosciuto in costituzioni, trattati, direttive a nessuno. Poi
ovviamente ogni individuo si assumerà la responsabilità di ciò che
affermerà, ma da qui a limitare il diritto di espressione e
manifestazione del pensiero passa un mare di censure che deve
necessariamente sfociare nell'oceano della libertà compiuta e
concreta.
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