C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Una lettera di ringraziamento al Questore di Trieste, ma a nome di chi?


Con questo intervento non voglio entrare nel merito dell'operato del Questore di Trieste, ma sento la necessità di evidenziare una problematica che riguarda il diritto di espressione e l'espediente a cui si ricorre per manifestare le proprie anche personali considerazioni.
E' stata recentemente pubblicata, nello spazio segnalazioni del Piccolo di Trieste, una lettera del segretario provinciale di Polizia ADP triestina, il cui oggetto era una sorta di ringraziamento al Questore di Trieste per il suo modo di esporsi verso i poliziotti che ora dirige.
Ognuno deve essere libero di esprimere il proprio pensiero, le proprie considerazioni, sentimenti emozioni, assumendosi la responsabilità di ciò che afferma. Ma in Italia il diritto dell'articolo 3 primo comma della Costituzione o l'articolo 21 della Costituzione non sempre è garantito, anzi ad alcuni dipendenti pubblici è praticamente limitato se non vietato interamente come accade ai Militari.
Soffermandoci sulla questione Polizia di Stato, certamente non siamo ai livelli della situazione marocchina ad esempio, dove recentemente è emersa una nota del capo della Direzione Generale per la Sicurezza Nazionale (DGSN) che vietava espressamente ai poliziotti di parlare con i giornalisti, non solo su una problematica specifica, ma su ogni questione che può interessare la vita del poliziotto e cittadino.
In Italia il quadro giuridico è più discrezionale, ma una discrezionalità così ampia e generica che spesso sfocia nell'intimidazione o nell'adozione delle sanzioni disciplinari o di circolari che vietano la realizzazione di questo diritto.
Ciò che i poliziotti rischiano, nel caso di dichiarazioni alla stampa, è l'adozione di una sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di un trentesimo di una mensilità dello stipendio, che può essere inflitta ai sensi dell’art. 4, n. 18, del dpr_737_1981“Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti”, ai sensi del quale la sanzione pecuniaria della riduzione in misura non superiore a cinque trentesimi di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo viene inflitta per qualsiasi comportamento, anche fuori dal servizio, non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza.

Però esiste una sorta di espediente che è la tutela riconosciuta a chi esercita attività sindacale. Infatti, il libero esercizio dell’attività costituzionalmente garantita, quella sindacale e conseguente realizzazione piena del diritto di critica e manifestazione del proprio pensiero, è tutelata dall’art. 83 della legge_121_1981e dall’art. 34 del dpr_254_1999 che sottrae i dirigenti sindacali, nell’esercizio delle loro funzioni, alla subordinazione gerarchica e dalle ritorsioni dei procedimenti disciplinari.

Cosa voglio dire con ciò? Che non sempre certi comunicati che vengono firmati a nome di alcune sigle sindacali, sono in realtà espressione di argomento sindacale, di critica sindacale. Spesso si utilizza l'espediente della firma sindacale per esprimere un proprio personale pensiero realizzando una sorta di discriminazione sostanziale tra chi vorrebbe parlare, scrivere e non può farlo e chi invece è tutelato perché esiste sempre la sigla del sindacato che offre una garanzia.
Ciò comporta il rischio che alla Polizia per esempio possa essere conferita una sola voce, una voce che probabilmente non rappresenta il sentimento di tutti gli addetti, una voce che probabilmente non rappresenta l'eco di tutto l'ambiente che si vive e frequenta ogni giorno.
Quale è la linea sottile di confine tra il comunicato sindacale e la valutazione personale?
Io ho sempre difeso il diritto di manifestazione del pensiero di tutte le persone, siano essi amici che nemici, siano essi compagni che avversari nella lotta. Tutti devono avere il diritto di esprimere il proprio pensiero, una società che pretende di definirsi democratica non può e non deve ricattare e limitare tale esercizio di diritto universalmente riconosciuto in costituzioni, trattati, direttive a nessuno. Poi ovviamente ogni individuo si assumerà la responsabilità di ciò che affermerà, ma da qui a limitare il diritto di espressione e manifestazione del pensiero passa un mare di censure che deve necessariamente sfociare nell'oceano della libertà compiuta e concreta.

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