E' un tormentone, un tormento che
sembra non finire più.
Anzi, a scriverla tutta, sembra
essere nati con la così detta crisi.
Sono cinque maledetti anni che
ogni giorno ci bombardano con crisi, spread, borsa, mercato, finanza,
lavoro, disoccupazione.
Cinque anni che non si parla
d'altro.
Cinque anni di totale assorbimento
e siamo così impregnati dall'odore di questa crisi che non
respiriamo altro ed alla fine è diventata normalità, talmente
normalità che sembra sia sempre esistita.
Probabilmente quando finirà,
perché finirà, ci sarà qualche altro nuovo tormentone.
Dalla questione sicurezza
nazionale, per gli attentati alle Torri Gemelle, si è passati alla
crisi, ed il tutto è nato sempre lì, in America.
Ma non è questa una crisi
paragonabile a quella del 1929. Sono fatti diversi, epoche diverse è
tutto diverso anche il capitalismo è mutato nel suo perenne mutare e noi sempre a rincorrere ma con estremo ritardo.
E' una meschina guerra tra
capitalisti, gli squali hanno divorato i pesci piccoli, le grandi
imprese hanno delocalizzato sfruttando manodopera, hanno massacrato
l'economia dell'Europa del Sud, semplicemente per sfruttare la
manodopera di questi Paesi al momento giusto ed i diritti sono sempre
più storti.
Globalizzazione del capitalismo.
La crisi che crisi non è, è una
guerra che ha seminato vittime, sofferenze e nuove conquiste.
I capitalisti hanno potuto
saggiare la non reazione del popolo anzi proprio verificare che il
popolo popolo non è.
Qualche fumata rivoltosa di
rabbia, che forse si ripeterà, ma niente di più.
E' venuta meno la solidarietà
attiva internazionale, è venuto meno il ripensamento condiviso della
società.
Occupy, indignados,popoli viola,
arancio, verdi, gialli, rossi, bianchi, neri, che popoli mai sono
stati ma solo espressione di un momento superato e sepolto.
Ora ci sono, ora non ci sono.
Siamo come un semaforo, ora rosso,
ora verde, ora giallo e poi ancora, rosso, verde e giallo.
Arriveranno altre nuove formule,
altri nuovi modelli, altre sigle, altro tutto che sarà nulla.
Ma la crisi che crisi non è,
salvo per la gente comune che ha visto il proprio benessere
individuale essere massacrato, finirà e non potrà che finire.
Si ritornerà ad investire,
riapriranno le attività, le città continueranno a vivere i processi
di omologazione, i lavoratori ringrazieranno per il lavoro senza
diritti, perché quello che conta è il lavoro magari anche con
riduzioni salariali, ed immensa competizione per quattro denari,
insomma hanno creato le basi per una nuova era, una nuova era di
immense speculazioni ed annientamento dei diritti sociali.
Non sarà la nostra generazione a
cambiare le cose, non vi è il tempo, ma potrà essere testimone
consapevole di ciò che è accaduto. Sarà la generazione che verrà
a dover raccogliere il testimone e comprendere il grande inganno e
quella che nascerà da essa a rivoltarsi contro il tutto, sarà una
generazione ribelle, che ancora deve arrivare, ma è nostro compito
prepararla.
Questo è il momento della semina
della ribellione e ciò mi conforta.
Una semina che inizia con l'assoluta difesa della libertà di pensiero, di critica, della dignità ma anche della libertà d'insegnamento. Le scuole e le università sono il primo luogo ove elevare barricate a difesa del pensiero critico e consapevole.
Non è il mio pessimismo cosmico,
né nichilismo, ma una lettura della realtà che annienta ogni illusione e l'illusione è un male da sradicare.
La crisi sta finendo, ma, verrebbe
da chiedersi, quando è iniziata?
Iniziamo a chiamare le cose con i
giusti nomi, sta per finire, o forse è già finita, la guerra tra
capitalisti, i nuovi assetti sono stati raggiunti ed il popolo ancora
una volta ha subito passivamente questa immane violenza alla propria
dignità.
Marco Barone
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