“ Non ho imparato per tutta la mia
vita a piegarmi ad una condizione estranea. Adesso mi hanno
incarcerato allontanato da moglie e opera. Ma anche se mi ammazzano:
Piegarsi vuol dire mentire!”
Erich
Muhsam, in questi versi, nella poesia Il
prigioniero esprime
una forza ed una emozione senza freni inibitori. Una poesia che
andrebbe letta in ogni strada e contrada, una poesia che andrebbe
diffusa in ogni luogo, perché esprimere il proprio pensiero
liberamente, senza condizione alcuna, con l'assunzione piena ed
incondizionata della propria responsabilità, è probabilmente la
cosa più ardua ma nello stesso rivoluzionaria che oggi possa
esistere.
Oggi
come allora.
Piegarsi
vuol dire mentire, scrive Musham.
Condizionare
un proprio scritto, limitare un proprio scritto, censurare uno
scritto, vuol dire mentire a se stessi ed alla comunità. A parer
mio inibire il proprio grido di ribellione, vuol dire tradire quella
libertà che ogni giorno laicamente si invoca.
Perché
questa premessa?
Scrivo
ciò, in relazione a delle segnalazioni che mi continuano ad
arrivare. E quando mi giunge tale segnalazione, in quel momento, vivo
un brivido di rabbia e non comprensione.
Ovvero
sussiste una prassi, in alcune realtà italiane, che vorrebbe un
controllo preventivo, a volte indotto a volte solo precauzionale, da parte delle Autorità di Polizia, su
volantini, testi, scritti, che dovrebbero trovare diffusione nel
corso di qualche iniziativa politica o di dissenso.
Una
prassi volta a consolidare una sorta di tregua sociale, una prassi
che in realtà altro non è che una violazione palese della libertà
di espressione .
Il
"diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione", come anche garantito dall’articolo 21
della Costituzione oltre che da Convenzioni Internazionali, è stato
sancito dalla Corte Costituzionale come “pietra angolare
dell’ordine democratico” nella sentenza del 17 aprile 1969, n.
84.
I
cittadini e non devono sapere, che quella prassi è
anticostituzionale. Il 23 aprile del 1956 la prima udienza pubblica
della Corte costituzionale, presieduta da Enrico
De Nicola, affrontò, guarda caso, una questione che riguardava la
costituzionalità di una norma della vecchia legge di pubblica
sicurezza del 1931, che in sostanza richiedeva
l’autorizzazione di polizia per distribuire volantini o affiggere
manifesti, e puniva la distribuzione o affissione non autorizzate.
Ben
trenta giudici penali italiani sollevarono l'incostituzionalità
dell'articolo 113 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza, poiché in
contrasto, appunto, con l'articolo 21 della Costituzione.
La
Corte Costituzionale così si pronunciava: “ La questione di
legittimità costituzionale, che forma oggetto dei trenta giudizi
promossi con le ordinanze
sopra elencate, é unica e fu sollevata nel corso di vari
procedimenti penali (alcuni in primo grado, altri in appello) che si
svolgevano a carico di persone alle quali erano imputate
trasgressioni al precetto dell'art.
113 del T.U. delle leggi di p.s. per avere o distribuito avvisi o
stampati nella pubblica strada, o affisso manifesti o giornali,
ovvero usato alto parlanti per comunicazioni al pubblico, senza
autorizzazione dell’ autorità di pubblica sicurezza, com'é
prescritto nel detto articolo, o anche, nonostante il divieto
espresso di tale autorità.
A tutti perciò era contestata contravvenzione punibile a norma
dell'articolo 663 Cod. pen. modificato con D.L. 8 novembre 1947, n.
1382.
(...)
Ma
é innegabile che nessuna determinazione in tale senso vi é nel
detto articolo, il quale, col prescrivere
l'autorizzazione, sembra far dipendere
quasi da una concessione dell'autorità di pubblica sicurezza il
diritto, che l'art. 21 della Costituzione conferisce a tutti,
attribuendo alla detta autorità poteri discrezionali illimitati,
tali cioè che, indipendentemente dal fine specifico di tutela di
tranquillità e di prevenzione di reati, il concedere o il negare
l'autorizzazione può significare praticamente consentire o impedire
caso per caso la manifestazione del pensiero.
É
vero che questa ampiezza di poteri discrezionali é stata
notevolmente ridotta dal successivo decreto legislativo 8 novembre
1947, n. 1382, il quale consente ricorso al Procuratore della
Repubblica contro i provvedimenti dell'Autorità di pubblica
sicurezza che abbiano negata l'autorizzazione, disponendo che la
decisione del Procuratore della Repubblica sostituisca a tutti gli
effetti
l'autorizzazione predetta.
Ma,
ciò nonostante, la indeterminatezza originaria rimane e quindi così
per l'autorità di pubblica sicurezza come per l'organo chiamato a
controllarne l'attività a seguito di ricorso continua a sussistere
una eccessiva estensione di poteri discrezionali, non essendo in
alcun modo delineata la sfera entro la quale debbano essere contenuti
l'attività di polizia e l'uso dei poteri di questa.
La
Corte costituzionale deve perciò dichiarare la illegittimità
costituzionale dell'art. 113 del
T.U.
delle leggi di p.s., fatta eccezione per il comma 5),
dove é disposto che "le affissioni non possono farsi fuori dei
luoghi destinati dall'autorità competente" la quale ultima
disposizione non é comunque in contrasto con alcuna norma
costituzionale e può mantenere la sua efficacia.”
Dunque,
a parer mio, nessuna prassi, che abbia come scopo un controllo
preventivo ma anche durante o successivo, con indirette ma anche
dirette finalità di autorizzazione, su testi, volantini,giornali, da
diffondere per una manifestazione ma non solo, può avere luogo.
Perché anticostituzionale, perché prassi di natura meramente
autoritaria e fascista, visto e rilevato, che quella prassi nasce anche da
una norma, ora abrogata, del Regime Fascista.
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