Cammini in una delle strade della prima
periferia di Trieste ed osservi un manifesto che pubblicizza un
divano definendolo rivoluzionario.
Ed allora pensi.
Rivoluzionario, ovvero destabilizzante,
contestatario, ma anche inedito o innovativo, oppure azzardato o
ultramoderno, insomma il termine rivoluzionario è variegato, dipende
da che prospettiva lo si guarda ed osserva, dipende che concezione si
ha del mondo.
In questo tempo ove si è parlato tanto
di capitalismo, dove addirittura esistono manifesti per un nuovo
capitalismo o capitalismo moderato, e dove nascono anche, ma con
maggior difficoltà, pensieri ed idee per una società che voglia
diventare comunità ed andare oltre le regole del capitalismo, si
sente e si ascolta sempre con maggior frequenza la parola
rivoluzionario.
A volte alternata a ribelle.
Rivoluzione e ribellione potrebbero
convivere così come in realtà potrebbero scontrarsi.
La rivoluzione implica nella maggior
parte dei casi, non casuali, l'autorità, la ribellione è contro
ogni potere autoritario ed autorità.
Teorie, ed oceani di parole e sogni.
Ma l'unica cosa che oggi sussiste
veramente di rivoluzionario, almeno in Italia, è la pubblicità.
Sono mesi che campagne pubblicitarie
mediatiche, che sponsorizzano prodotti commerciali, auto, banche,
cosmetici, ma anche cibo, utilizzano sempre con maggior frequenza la
parola che un tempo non si poteva osare pronunciare, rivoluzione.
La pubblicità coglie i sentimenti, le
passioni, coglie la voglia di cambiamento o ribaltamento, mutandola
in sterile fine commerciale.
Probabilmente dopo i primi del 900,
questa è la prima volta che in Occidente, si parla così tanto di
capitalismo e rivoluzione.
Ma nello stesso tempo noterai che gli
anticapitalisti spesso maturano il problema di dover usare il termine
capitalismo perché considerato come antiquato, non moderno, perché
non attualizzato, ma con il paradosso che gli stessi capitalisti
vogliono modernizzare il capitalismo, pubblicando libri, manifesti,
articoli e promuovendo dibattiti di varia natura, parlando
espressamente di capitalismo.
La pubblicità non ha perso tempo.
Ha commercializzato la parola
rivoluzionario o rivoluzionaria per i propri fini.
Ciò non è un buon segno, perché
quando la pubblicità, elemento essenziale nella politica del
profitto, ricorre al nemico del sistema, che la mantiene in vita, per
propagandare o diffondere un certo e dato prodotto, ciò altro non è
che la lesione della dignità di quella rivoluzione che forse mai in
Occidente vivremo.
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