Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Il caso di Alina, morta al commissariato di Opicina, finalmente indigna Trieste.





Era il 16 aprile.
Una stanza di un commissariato, quello di Opicina, che sovrasta dall'alto il golfo di Trieste.
Una stanza ed una donna.
Tanti pensieri possono vagare nella mente dell'essere umano, probabilmente il pensiero di essere reclusa al CIE di Bologna o di vivere una ingiustizia sostanziale, deve averla indotta al gesto.
Quel gesto sottovalutato per anni, di cui oggi tanto di parla per ovvi motivi di strumentalizzazione politica e mediatica.
Il suicidio.
Le prime indiscrezioni parlavano di una lunga immensa agonia.
Minuti di lotta tra la vita e la morte.
Un monitor del commissariato trasmetteva le immagini di quel gesto, nessun operatore si è accorto di nulla.
Morte è fatta.
In Città, con una lentezza disarmante si inizia a parlare di questa tragedia.
Qualche perplessità, qualche indignazione, qualche considerazione, qualche e qualche ma per un mese poco o nulla si è mosso.
Nello stesso tempo accadono altri eventi, come l'aggressione di stampo fascista subita da un ragazzo nei pressi del Viale XX settembre di Trieste, come l'arresto di Giorgio in Palestina operato dall'esercito israeliano, e la sua contestuale espulsione per 10 anni, per non aver fatto nulla, o perquisizioni subite da un compagno, Luca, per una semplice manifestazione “non” autorizzata, un pretesto per colpire e punire chi con la lotta dice no, o per il caso dei compagni che il 22 ottobre presso il tribunale di Trieste saremo processati con rito immediato, senza nemmeno udienza preliminare, con l'accusa di "imbrattamento", per aver affisso quattro manifesti del Collettivo Tazebao sotto la sede dell'Inps in via Sant'Anastasio, il cui contenuto verteva sulla controinformazione e denuncia rispetto alla celebrazione ufficiale del 10 febbraio.
Ed ancora qualche considerazione, qualche dibattito, qualche intervento in rete o sulla stampa ma poco o nulla.
Prigionieri del tanto fare, o poco fare, prigionieri della rete, o di quel senso di sconforto che ti fa sentir debole e rendere qualsiasi gesto di protesta inutile.
Si doveva scendere in piazza, si doveva manifestare la così detta indignazione per tutti questi fatti.
Io come tanti, mi reputo responsabile di questo poco fare, alla fine bastava poco.
E questo poco alla fine, anche se con un comprensibile ritardo, è arrivato.

Il pretesto è dato dalle indagini mosse dalla Procura di Trieste in relazione alla morte della donna ucraina avvenuta al commissariato di Opicina. Si indaga sul funzionario responsabile dell'Ufficio immigrazione locale.
Ed emergono fatti a dir poco inquietanti. E' sottoposto ad una perquisizione
Si apprende dalla stampa locale che sarebbero stati trovati durante la perquisizione, una vecchia sciabola, un fermacarte con impresso il fascio littorio e un piccolo cartello su cui, accanto all’indicazione “Ufficio epurazione”, era stampata la faccia di Benito Mussolini. E tanto altro ancora.
Ed ecco che iniziano ad arrivare lettere rabbiose al principale giornale locale, sul Piccolo di Trieste, dove emerge da un lato la non comprensione di come sia possibile che nei weekend non sia in servizio un giudice che possa convalidare i decreti di espulsione e come sia possibile, come sostiene la Questura, che gli stranieri, in quelle ore, non possono essere liberati, invece per la Procura non possono essere nemmeno trattenuti.
Né liberati, né trattenuti.
Eppure la donna è morta, uccisa dalla burocrazia, uccisa dalla solitudine di una stanza che ha negato ogni senso di umanità.
Qualcosa si è rotto tra la Procura di Trieste e la Questura. Forse qualcosa si è rotto anche all'interno della stessa Questura. Di norma le forze di polizia, così come i vari ordini professionali, sono caratterizzati da un forte senso di appartenenza, senso di appartenenza che viene prima di ogni denuncia di manifesta ingiustizia, vedi il caso del G8 di Genova che insegna tanto sul punto. Qualcuno probabilmente dopo il caso della donna morta ed uccisa da questo sistema nefasto repressivo burocratico, avrà detto basta.
Basta alla considerazione, anche solo in via dialettica, dell'ufficio immigrazione come ufficio epurazione, basta alle simpatie manifeste per quel fascismo che ha ucciso ogni dignità, che ha ucciso uomini e donne, che ha recato e reca ancora oggi immense sofferenze. Non è questa la Polizia,non deve essere questa la Polizia. E quel qualcuno o qualcuna, collaborando con la Procura della Repubblica ha deciso di porre fine a situazioni probabilmente ben note e conosciute, ma taciute per ovvi motivi.
Qualcuno ha deciso che lo spirito di appartenenza può venire meno.
Certamente la Questura vivrà momenti di tensione, ma è cosa da poco conto, rispetto ad una vita che è venuta meno.
Alina, questo il nome della donna, è stata uccisa da quella solitudine repressiva di uno Stato che è stato.

E la città ora si sveglia.
Alcune realtà di movimento cittadine realizzano una lettera infuocata che gira per mail, si richiede l'adesione, si organizza una manifestazione sotto i locali della Questura di Trieste , invitando la cittadinanza tutta martedì 15 maggio alle 17 per manifestare, come si legge testualmente, questa repulsione, per porre delle domande precise al Questore dal quale pretendere delle risposte precise, per pretendere che Baffi non resti a dirigere l'ufficio immigrazioni. Per dire forte che questo “sistema” deve cessare immediatamente, che ci ripugna essere i guardiani armati della Fortezza Europa, nessun essere umano è illegale, che banditi devono essere il razzismo, i sequestri e la ferocia.
E concludersi con un : Noi restiamo umani.


Già restiamo umani in un tempo dalla viva disumanità.

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