Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Ma che fai?

Ehilà, sì, dico proprio a te, ma che fai? 

Scrivo.

Tu, scrivi?
Scrivo.
Scrivo per la democrazia che non c'è,
scrivo perché vivo la follia del quando,
perché sta arrivando.
Non lo senti?
Non ti senti?
Oh ma che vuoi che sia,
io ora canto non credo e non prego.
Scrivo perché non me ne frego,
scrivo per il tuo ego,
scrivo perché devo.
Non lo vedi?
Non ti vedi?
Eppure sta ascoltando,
eppure sta osservando,
eppure sta arrivando.
Ma chi il laudato sii messia?
Non ho messia,
non ho euforia,
non ho pazzia,
non lo ascolti?
Non ti ascolti?
Tu e i tuoi pensieri assorti e mai assolti.
Ma quale assoluzione nell'era
della redenzione?
Io vivo la prigione,
cercando l'evasione
amando la ribellione.
La ribellione è la tua amante?
Nessuna amante,
nessuna poesia allegante
la follia con l'euforia,
semplice ribellione,
mia evasione.
Ma, tu, sì, dico proprio a te,
vai ancora alla ricerca dell'attimo che non c'è?
Se lo penso esiste,
perché io esisto,
dunque penso,
e non desisto e non mi arrendo,
vado, lo vedo, lo prendo.
Se proprio posso e non ti offendo,
ma cosa sta arrivando?
Chi sta ascoltando?
Chi sta osservando?
L'attimo che non c'è.
Lo cerco, lo scrivo, lo afferro,
lo sferro contro quel pezzo di ferro
arrugginito
chiamato, osannato, votato,
accanito e insignito
di onorificenze
nelle infinite
credenze
per le vie delle beneficenze
occultate
da quei visi
dai diabolici sorrisi,
che ora evitate
come la peste,
per le goliardiche feste
dove volano impiccagioni
e trovano teste
decapitate
dalle loro muse
fino a ieri lodate,
ma oggi
evitate 
ed eluse,
chiamalo con il suo nome,
senza cognome,
chiamalo capitale padrone,
che cavalca la epocale 
finzione,
e ricalca la infame repressione,
che tutti noi abbiamo conosciuto,
sappiamo quanto ha nociuto,
ed ora il mio fiuto
vive l'immenso rifiuto.
Detesto, anche senza pretesto alcuno,
l'indifferenza dell'uno, nessuno, ora qualcuno
domani certuno.



Marco Barone






































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