Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

La testimonianza del soldato Bolzon sui crimini compiuti contro i partigiani jugoslavi

Precettato nel 1936, richiamato alle armi nel 1939 dopo un periodo di congedo, poi nuovamente congedato per ragioni di salute, per ripartire nel 1942 in Croazia, Luigi Bolzon, verrà estirpato dalla propria terra, dal lavoro della terra, per combattere una guerra in Jugoslavia, che aveva visto l'Italia e la Germania deliberatamente aggredire un Paese senza neanche la preventiva dichiarazione di ostilità e di guerra.Senza sapere il perché, la ragione di quello che accadeva, vide con i propri occhi la disumanità,vide  le barbarie e la violenza più brutale prendere forma. La sua testimonianza verrà raccolta dal figlio Fiorenzo Bolzon in un libro pubblicato da Kappa Vu edizioni," La guerra degli Ultimi", una testimonianza che evidenzia bene la sofferenza di un contadino trasformato in soldato, un soldato  italiano che conoscerà anche la prigionia dopo il fatidico 8 settembre del '43 ed il dolore chiuso nel silenzio, un silenzio che verrà in parte frantumato negli ultimi anni della sua vita. Dirà che “Italiani, Tedeschi Ustascia Croati, Cetnici Serbi, Camice nere" erano tutti contro i partigiani. 
Ricorderà l'episodio che ha conosciuto contro i partigiani mussulmani ai quali veniva offerto, durante gli interrogatori, da parte degli italiani, del salame o un po' di salsiccia, “se rifiutavano erano guai li si cacciava in gola a forza del lardo o dello strutto, poi se continuavano a non parlare li si minacciava di morte e di seppellirli avvolti nella pelle di maiale”. Ricorderà le lacrima di una coppia di anziani che non sapeva nulla sul comportamento dei partigiani ed implorarono “che venissero pure uccisi ma di non far loro mangiare o solo toccare il lardo”. 

E poi gli effetti della maledetta circolare 3 C di Roatta . Una Circolare che al suo paragrafo misure precauzionali nei confronti della popolazione jugoslava prevedeva espressamente al punto 15 e 16:
15 - Quando necessario agli effetti del mantenimento dell'O.P. e delle operazioni, i Comandi di G.U. possono provvedere:a) – ad internare, a titolo protettivo, precauzionale o repressivo, famiglie, categorie di individui della città o campagna, e, se occorre, intere popolazioni di villaggi e zone rurali; b) - a “fermare”ostaggi tratti ordinariamente dalla parte sospetta della popolazione, e, - se giudicato opportuno - anche dal suo complesso, compresi i ceti più elevati; c)- a considerare corresponsabili dei sabotaggi, in genere, gli abitanti di case prossime al luogo in cui essi vengono compiuti.
16 - Gli ostaggi di cui in b) possono essere chiamati a rispondere, colla loro víta, di aggressioni proditorie a militari e funzionari italiani, nella località da cui sono tratti, nel caso che non vengono identificati - entro ragionevole lasso di tempo, volta a volta fissato - i colpevoli. Gli abitanti di cui in c), qualora non siano identificati - come detto sopra - i sabotatori, possono essere internati a titolo repressivo; in questo caso il loro bestiame viene confiscato e le loro case vengono distrutte.

Ed il soldato Bolzon ricorderà di aver visto “ rastrellare gli abitanti, massimo una qualche decina, razziare il bestiame e di bruciare le case e le stalle” come rappresaglia. Per poi soffermarsi sulla tragedia delle teste tagliate ai partigiani. Ricorderà che vi erano dei “partigiani asserragliati in una scuola. Circondato il paese vennero puntati gli obici contro la scuola. Non potevano sbagliare, un lavoro facile, invece...”.Invece accadde quello che non doveva accadere, ma che ben dimostrava la complicità, il collaborazionismo che vi era tra italiani ed Ustascia, eppure gli italiani ben sapevano come questi si sarebbero vendicati e comportati. 
Invece... “Si presentò al colonnello un capitano degli Ustascia chiedendo di lasciare ai suoi di farla finita con quei partigiani, partigiani serbi. Il colonnello accettò”. 
Quando di prima mattina vennero mandate delle pattuglie videro cose allucinanti. “Gli Ustascia avevano fatto letteralmente a pezzi i partigiani usando coltelli, sangue sui muri, per terra, un vero e proprio lago. Decine di morti dalle teste tagliate”.La guerra è un crimine, ma all'interno della guerra si realizzano una infinità di crimini e la testimonianza di Bolzon è preziosa, una nuova goccia fondamentale di denuncia che arriva contro crimini mai puniti e compiuti direttamente o con la complicità dell'esercito italiano in Jugoslavia che dell'Italia ha conosciuto il fascismo, la sua violenza, l'occupazione” d'altronde Bolzon lo riconoscerà , nella sua semplicità di contadino, di uomo che ama la terra, noi eravamo invasori dirà e cosa doveva fare la popolazione per difendersi se non allearsi con i partigiani? E dunque lottare per la propria libertà?


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