Via Sant'Ambrogio una via alla ricerca della sua identità

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Un tempo via del Duomo, o del Teatro, oggi via Sant'Ambrogio che porta lo stesso nome del duomo consacrato dopo i disastri della prima guerra mondiale nell'ottobre del 1929, pur senza il campanile che dovette attendere la fine degli anni '50 per essere battezzato. Una via che nel corso della sua storia è sempre stata da transito di merce e persone e che è diventata negli ultimi tempi il teatro dello scontro identitario di una Monfalcone alla ricerca del proprio equilibrio sociale. Perchè è evidente che a Monfalcone, terra di passaggio, da quando è diventata grazie ai Cosulich città dei cantieri, per questo contesa dal regno d'Italia all'Austria, per privarla dei suoi cantieri insieme al porto triestino, ha conosciuto quelle dinamiche proprie delle città portuali. Gente che viene, gente che va. Approdo e partenza di nuove identità. Dal Sud Italia, all'Asia, passando da quel centinaio di nazionalità che a Monfalcone stanno cercando il proprio equilibrio, ognuna ne

Catastrofe 1914, il cinismo di Hastings e la follia del governo di Roma

Catastrofe 1914, dell'autore inglese, Sir Max Hastings, che scrive per il "Daily Mail" e il "Financial Times", edito da Neri Pozza , è un libro di circa 800 pagine, ricco di fonti,che offre una prospettiva diversa della Grande Guerra. Le lettere di una maestra, le testimonianze di diverse persone di diversi Paesi coinvolti dalla guerra, la censura della stampa, la propaganda, le notizie volutamente falsificate, soldati caduti per il fuoco amico, generali inetti, armi moderne e strategie napoleoniche, sciabole contro mitra, gli errori nella scelta delle divise, la superficialità delle analisi, il massacro subito dai civili, Serbi in primo luogo, i primi voli degli aerei, il classico fango delle trincee, l'assoluta disinformazione tra le truppe, ma anche quella verso i cittadini, spesso notiziati di vittorie inventate ed inesistenti, verità nascoste o ribaltate, l'indifferenza della borghesia, i guadagni alti maturati dalle fabbriche di armi, l'atroce differenza tra la guerra immaginaria e quella reale, la condizione delle donne, le battaglie navali, i civili usati come scudi od ostaggi, la razzia e la distruzione dei villaggi e delle città, insomma la catastrofe del 1914. Un libro che dedica molto spazio alle disavventure degli eserciti inglesi,austriaci, tedeschi, russi, francesi, alla resistenza del popolo serbo, alle vicende della Polonia, poco o nulla invece all'Italia. Certo, si concentra principalmente sul 1914, ma in linea di massima va oltre fino ad arrivare alla conclusione della guerra. Dedica più attenzione e spazio alle vicende dell'esercito giapponese che a quelle italiane. Già, per l'Italia, messe insieme, non si arriverà neanche ad una mezza pagina ed il motivo lo si intuisce dalla lettura organica e complessiva del libro. L'Italia avrebbe potuto mantenere lo stato di neutralità, ma alla fine, per la sua entrata in guerra “ricevette una porzione di territorio asburgico, che comprendeva il porto di Trieste, ma quelle terre costarono 460 mila morti” e definirà in questo mondo la scelta dell'Italia di entrare in guerra: “la grande follia del governo di Roma”. Insomma un Paese insignificante a livello internazionale, e certamente non determinante per la sconfitta dell'Impero Austro-Ungarico e della Germania. Eppure, stranamente, questo libro è stato recensito, con molta enfasi dai giornali nazionalistici e di destra italiani, probabilmente perché non l'avevano letto.  Il cinismo di Hastings è condivisibile, così come è condivisibile  la sua linea come intrapresa e mantenuta nel libro, specialmente quando si sostiene che la responsabilità per lo scoppio generalizzato della guerra non è solamente esclusiva della  Germania, che certamente non ha fatto nulla per impedire l'aggressione alla Serbia da parte dell'Austria, anzi ha proprio sostenuto tale linea, ma certamente e soprattutto dell'Austria con l'aggressione ingiustificata alla Serbia. L'Italia, con i suoi generali, non meno inetti dei generali degli altri eserciti, ed inspiegabilmente ancora oggi onorati, ha mandato al macello migliaia di persone, e per cosa? Per avere piccoli pezzettini di terre, mai state italiane, per esercitare il dominio illusorio nell'Adriatico tramite il controllo dei porto di Trieste prima e Fiume dopo. Ma, come la storia ha insegnato, sia Trieste che Fiume, sotto la reggenza del Regno d'Italia vivranno la loro peggiore crisi, altro che dominio sull'Adriatico. E per questo fallimento sono stati uccisi 460 mila e passa persone. Per questo fallimento è nato il fascismo. Per questo fallimento si arriverà anche alla seconda guerra mondiale. Certo, non che un non fallimento possa giustificare 460 mila morti, nessuna guerra è giustificabile, ma il tutto ha un sapore ancora più acerbo, più aspro, più malefico. Quel maleficio che oggi giorno viene celebrato con il grido vittoria, ma quale vittoria?

Marco Barone


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