Trieste è oggi una cosa diversa rispetto a quella che fu un tempo, quando venne contesa, quando era una città contesa, quando si rischiò addirittura lo scoppio della terza guerra mondiale per la causa triestina. Cosa che oggi farebbe sorridere, eppure in quel tempo da sorridere c'era ben poco. Rifugiarsi nel passato è un espediente per fuggire dal presente, quel presente connotato da pochezza, da vuoti, tipici della nostra epoca. Trieste così come Gorizia per lungo tempo furono città dall'anima e spirito asburgico. Oggi, questo spirito lo si può intravedere solo nell'architettura di queste città che spingono a rendere Trieste unica, grazie al suo fascino imperiale, e Gorizia, per il suo essere stato contenitore di una pluralismo che oggi esiste solo nelle metafore o in quella "Nizza d'Austria". Trieste e Gorizia sono due città che si stanno piegando all'omologazione di massa, che è il grande turismo che nel paradosso dei paradossi tende a val
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Ondina Peteani, una donna che ha osato la libertà. Intervista a Gianni Peteani
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Con questo intervento, apro, nel giorno
della Memoria, un breve ciclo di interviste, che hanno lo scopo di
far capire l'importanza di dedicare a Trieste e non solo a Trieste una via ad Ondina Peteani. Contro ogni oblio, per una memoria perenne
che possa insegnare alle nuove generazioni il senso della libertà,
cosa oggi da molti data per scontata.L'intervista che segue interessa
il figlio di Ondina Peteani, Gianni. Vi saranno parole forti,
emozionanti, figlie di quella speranza ma anche della sofferenza che
ha attraversato la vita di entrambi. Emergeranno particolari,anche
duri, cruenti, in alcuni passaggi sembra di toccare con mano i luoghi
nefasti che hanno imprigionato Ondina, come il carcere del Coroneo,
il carro bestiame ed il fango di Auschwitz, ma nello stesso tempo si
riesce a percepire quella umiltà, quella semplicità e quella voglia
di essere semplicemente libere e liberi che segnerà la vita di
Ondina e la sua storia, è una storia che non può e non deve essere
dimenticata.
M.B.
***
Intervista
al figlio di Ondina Peteani, Gianni Peteani, di Marco Barone
COSA
HA RAPPRESENTATO NELLA TUA VITA ONDINA PETEANI?
Ciò
che rappresenta per ogni figlio la propria madre. In più, la
reciproca consapevolezza di essere stati doppiamente,
fortissimamente, desiderati. Paradossalmente Auschwitz, nel nostro
sodalizio familiare ha avuto un ruolo determinante e alterno:
lacerazione (la sua deportazione e conseguente impossibilità ad
avere figli) - comunione (salvifico simbiotico incontro) e nuovamente
lacerazione (nella ultima fase della sua vita, fronteggiando la
riemersione dei peggiori incubi del Lager).
QUANTO
È STATO DIFFICILE TRASMETTERE LA COMPLESSITÀ DELLA FIGURA DI ONDINA
ALLE NUOVE GENERAZIONI? SONO STATI REALIZZATI EVENTI ANCHE PER E
NELLE SCUOLE?
Si
e' trattato di un inizio in salita. Giorno per giorno cresceva
infatti, tramite i colloqui con testimoni, la consistenza della
scrupolosa regia tessuta con le mille attenzioni cui fece ricorso
Ondina per mantenermi ben informato e al contempo indenne dal male
della sua devastante esperienza nei Lager di sterminio nazisti.
Una
strategia modellata tra coerenza, oggettività e misura.
Quando
fui ragionevolmente grande mi raccontò questo fatto, definendo con
una specie di estraneità la velata ma fiduciosa convinzione di
potercela fare: quando venne(definitivamente) arrestata l’11
febbraio ‘44 e rinchiusa a Trieste nelle celle di tortura nei
sotterranei del comando SS di Piazza Oberdan. (Identiche a quelle
della Risiera di San Sabba).Qui, in tre settimane di segregazione
assistette impotente a soprusi malvagi di ogni genere. I metodi
criminali delle famigerate SS per estorcere informazioni diventano
ogni giorno più efferati. Una notte, un prigioniero di origini
venete, brutalmente torturato, fu riportato esanime nella cella
adiacente e a una certa ora Ondina che aveva stabilito un pietoso,
circospetto dialogo di sostegno, venne interrotta dalla volontà di
morire del suo compagno di sventura, che disse di temere la sua
propria delazione in caso di ulteriori sadismi. Smise di parlare e
infranse un coccio che aveva in cella per tagliarsi le vene. Ondina
gridò, ma l’uomo la scongiurò di tacere. Le disse addio, senza
poterla vedere e la ringraziò di quel silenzio. A trenta centimetri
da lei, dietro a un muro di mattoni si tolse la vita. Ondina rimase
attonita e in quel silenzio riconobbe l’odore del sangue.
Aspro
per me è stato in successione scoprire come a differenza delle
apparenze, fosse invece stata segnata nell'animo. Ciò è emerso in
maniera violenta nel suo ultimo anno di vita, laddove debolezza,
l'estenuante malattia broncopolmonare, diagnosticata cicatrice di
sadici appelli all'addiaccio, non ebbero più la forza di celare quel
tremendo passato, condiviso nel delirio collettivo di quell'umanità
straziata, tra brutalità indicibili, fame demoniaca, gelo, fango,
filo spinato ad alta tensione, infezioni, lerciume, parassiti grida,
disperazione, rantolii, frustate, bastonate e privazioni di ogni
tipo. Dieci anni confinata a casa a dipendere dalla bombola
d'ossigeno e l'assottigliarsi delle sue tante amicizie, incredule e
talvolta incapaci di confrontarsi con la sua emergente depressione
(vedi Primo Levi) associata a manifesta sofferenza, accentuarono il
suo Calvario.
Devo
tutto alla storica Anna Di Gianantonio, con lei assieme, con passione
e stupore abbiamo ricostruito la vicenda umana e storica di Ondina,
partendo dal suo archivio documentale, scavando in archivi di stato,
recuperando documenti desecretati, manoscritti, dichiarazioni,
attestazioni e scritti strappati al tempo, in cantine, armadi, e
soffitte. Abbiamo intervistato oltre cento persone, confutando
singole versioni e disparati ricordi. La differenza, l'ha fatta
l'emozione, espressa dai testimoni, pulsante nei libri, nelle carte,
nelle lettere, nei dattiloscritti e negli appunti.
Questa
emozione ha raggiunto anche Liliana Segre e Don Andrea Gallo che
hanno aderito al mio invito per la redazione delle due
prefazioni.Un'emozione che ha contaminato Marta Cuscunà, ( che
verrà da me intervistata nei prossimi giorni in relazione a quanto
ho scritto all'apertura di questa intervista) pluripremiata giovane
attrice/regista di “È bello vivere liberi!" lavoro teatrale
sulla figura di ondina, che ha superato le centosettanta repliche
nazionali. (Il titolo è la copia dell’ ultima frase scritta da
Ondina, a tre settimane dalla fine: il suo testamento in quattro
parole).
Un
grande pubblico pertanto, disseminato in tantissime città, di
regione in regione. Addirittura un volo intercontinentale ha portato
questa storia italiana in Sudamerica, in Colombia nel 2013, con Marta
portentosa nel recitare in lingua spagnola. Due biografie, la prima
edita dall'IRSML-FVG (Istituto Regionale di Storia del Movimento di
Liberazione FVG) con due ristampe e la seconda da Mursia
Editore-Milano, con tre ristampe.
È
stato un crescendo esponenziale l'incontro con le scuole: prima tappa
Cassino nel 2005, dove la Scuola Media Statale di Biasio, sotto
l'egida della prof.ssa Palma Tiseo e il Preside Verrecchia, promosse
lo studio di Ondina a settembre, realizzando, alla presenza del
Sindaco e della cittadinanza un incandescente spettacolo multimediale
preparato dai ragazzi, il 27 gennaio, 60° anniversario
dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, in coincidenza
dell'incontro di quarantadue Capi di Stato e Governo nella spianata
di Birkenau, quando simultaneamente, il Premio Nobel Eli Wiesel è
stato accolto per la prima volta alle Nazioni Unite in qualità di
testimone dell'Olocausto.Poi
sono seguite le Scuole di Orvieto, la Provincia di Belluno, la Casa
della Cultura a Milano (al fianco di Liliana Segre), il Teatro
comunale di Sassari, Pesaro, Trieste, Monfalcone, l’area
isontina e della bisiacheria. E
tanti, tanti incontri con scolaresche sempre attentissime che ci
hanno premiato con tensione emotiva e grande interesse. Con maturità
adulta e affascinazione bambina, superiori alle migliori aspettative.Il
rapporto con la trattazione di Ondina ha avuto e ha lo straordinario
merito di aver trasformato la vicenda storiografica della Resistenza
e della Deportazione in una realtà tangibile, in un avvenimento
palpitante, emozionante, vivo, trasferendola dalla sterilità dei
testi al calore della narrazione circostanziata.
Nel
2008, 70° anniversario del comizio di Mussolini, anticipatorio della
promulga delle “Leggi razziali” a Trieste, ho ideato la prima
Laurea Honoris Causa a un ex deportato nei Lager nazisti conferita in
Italia, nella persona di Liliana Segre che nella lectio magistralis
ha definito Ondina sua sorella ideale, come lei, testimone
dell'abominio di Auschwitz.
Ho
partecipato alla trasmissione "Racconti di Vita" di
Giovanni Anversa, su Ondina Peteani, Rai TV tre nazionale, il
26.IV.2009 (anniversario della nascita di Ondina), nel quadro delle
celebrazioni della Festa della Liberazione del 25 aprile. Andai
equipaggiato del video realizzato dall'Università degli Sudi di
Udine.
Ho
parlato nella celebrazione del 27 gennaio 2011 alla trasmissione
televisiva in diretta "Mattino 5" assieme al testimone
della Soah, Nedo Fiano e allo scrittore Gabriele Nissim.
Collateralmente
al I° convegno internazionale di Psicologia, realizzato dalla
Facoltà di Psicologia dell’Università di Trieste, "Convivere
con Auschwitz" che ho anche ideato, a Trieste, è stato
presentato in prima nazionale il film "Ondina, Auschwitz e la
libertà"
Regia
affidata alla brillante e capace toscana, Tamara Pastorelli, è stato
trasmesso da SKY TV International il 27 gennaio 2012, Giorno della
Deportazione/Olocausto.
Al
suo interno stralci da tratti da “È bello vivere liberi!"
Podio
massimo nella grammatica dell’ufficialità della Nazione in cui sia
stata collocata Ondina, la Mostra "Le
Donne che hanno fatto l'Italia"dal 6
dicembre 2011 ospitata all'Altare della Patria, Vittoriano di Roma.
Prestigioso riconoscimento
tributato a Ondina Peteani dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario
dell’Unità d’Italia, in un evento che attesta come le Donne
abbiano fortemente contribuito al processo di unificazione, ai
cambiamenti e alla crescita del Paese.
Quest'anno
saremo anche a Certaldo, capofila di dieci comuni toscani in una
giornata dedicata a Ondina.
Le
tante tappe, gli incontri e i confronti hanno complessivamente
illuminato una zona d’ombra: appare incontrastabile che una
valutazione generale sia stata lungamente compromessa, il computo
della Deportazione. Infatti il dominio simbolico della tragedia
planetaria dell’Olocausto del Popolo Ebraico ha suscitato l’idea
che lo sterminio sia stato perpetrato prevalentemente in questa
direzione. In Italia, la somma del tributo dei deportati
antifascisti, politici, laici, civili, Rom, omosessuali è stato
invece considerevolmente superiore alla barbarie della persecuzione
razziale scatenata sui fratelli di origine israelita, addirittura più
del quadruplo. Immense e inviolabili persistono le motivazioni per lo
svettare Ebraico nel quadro dello sterminio, la Shoah, mai si scordi,
perseguiva un protocollo scientifico di annientamento totale, “la
Soluzione finale”, ciò non di meno, riflettere sull’immane
massacro parallelo degli altri Deportati è parimenti obbligatorio.
NEL
2008 ARRIVERÀ LA LETTERA DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA, COME È
NATA LA COSA? ERA ATTESA QUELLA LETTERA?
Ho
avuto modo di recapitare una copia della prima biografia di Ondina a
una collaboratrice dello staff del Quirinale, durante una visita del
Presidente della Repubblica Napolitano all'Università di Trieste.
La
lettera pervenuta è stata una straordinaria sorpresa che ha
innescato successivi scambi culminati con la mia dedica al Capo dello
Stato, nella biografia edita da Mursia.
ALCUNE
FIGURE CARISMATICHE DELLA NOSTRA SOCIETÀ HANNO ESPRESSO CONDIVISIONE
DEL RUOLO DI ONDINA, COME LILIANA SEGRE E DON GALLO, COSA VUOI
AGGIUNGERE IN MERITO?
L’esigenza di un incontro con
Liliana Segre ha preso forma a seguito della lettura dei suoi libri,
della sua posata ma raggelante testimonianza. Con lei ho capito cosa
fosse quell’impellente necessità che mi imponeva di attivarmi nel
recupero della storia di mia madre. Dalla Segre ho appreso quanto,
tutta la cintura parentale e prioritariamente i figli, risultassero
investiti dal macigno della sofferenza subita dai genitori. Tra le
reazioni immediate di questo subbuglio interiore l’istintiva
esigenza di recarmi ad Auschwitz, pochi mesi dalla morte di Ondina,
che in precedenza, consono alla sua riluttanza che le impedì di
farvi ritorno, personalmente evitai di visitare. Via via i contatti
con Liliana Segre si sono infittiti sino all’ipotesi di Laurea
Honoris Causa, che accolse con vera meraviglia. Il favore del Rettore
cui esposi il progetto e il suo fondamentale intervento istitutivo
comportò il varo del complesso iter procedurale. Il conferimento a
Liliana Segre, scaraventata a tredici anni nell’inferno di
Auschwitz, la sua rovente testimonianza, ha scritto una pagina
di storia dell’Ateneo giuliano, senza precedenti. Con
la prefazione al libro su Ondina, Liliana Segre, riconobbe in lei
l’affratellato primato della tenace e fortuita sopravvivenza, l’una
per aver combattuto l’invasore, l’altra con l’assegnata colpa
di essere ebrea.
La
scoperta di Don Gallo avvenne seguendo una scheda televisiva che ne
tratteggiava il cammino, l’impegno e l’umanità superiore. Fu una
folgorazione. Gli scrissi promuovendo l’ipotesi di una prefazione.
L’adesione arrivò presto, seguita dalla trasmissione della bozza.Si
dimostrò incantato e accettò con slancio. La risultante è oggi da
lui vergata sulla pagina, dove non lesina d’immedesimarsi nel
ciclone della vita di Ondina, che riconosce ed eleva, portatrice di
pace.
QUANTO
È STATA DIFFICILE PER ONDINA L'UCCISIONE DI ALMA VIVODA?
Me
ne ha parlato in termini “tattici”, escludendo gli aspetti che
involontariamente la coinvolgeranno nell’assassinio di Alma Vivoda,
prima martire della Resistenza italiana. Coinvolta in quanto fu
Ondina a fissare quell’appuntamento.
Ma
ho memoria di quello strano e lungo silenzio che precedette
l’inaugurazione del monumento, nel 1971. Al tempo ragazzino non
sapevo dei fatti e ancor meno compresi il mutismo in cui si chiuse.
Sono dei frammenti che mi son rimasti nella mente, poiché alla mia
ripetuta richiesta di spiegazioni, durante il breve tragitto lungo
via Margherita, dove abitavamo, in prossimità della scala che
collegava via Pindemonte, mi sollevò da terra, sistemandomi su un
gradino in modo gli occhi fossero alla stessa altezza, arretrò un
po’, mi guardò, un attimo, aprì il suo bel sorriso e si
riavvicinò con impeto, stringendomi forte forte. Io che in soggiorno
avevo fatto cadere il barometro nuovo … riposizionandolo rotto come
nulla fosse accaduto, fui talmente contento di non essere stato
“pizzicato” e grazie al suo repentino cambiamento confessai
improvvisamente, e con gioia! Rise di gusto. Giunti all’inaugurazione
del monumento, mi volle vicino e tra la folla, lei dietro a me, mi
cinse con entrambe le braccia durante tutta l’evento. Penso di aver
rappresentato, in quel preciso momento, il suo riscatto al sangue,
alla paura, all’angoscia e alla spavalderia della clandestinità,
della lotta di liberazione e del resistere ad Auschwitz. Confermò la
sintesi tredici anni fa, quando ripercorremmo assieme quella giornata
celebrativa.
Per
lei Alma Vivoda, fu l’autentica iniziatrice, fu colei che le fece
comprendere l’importanza della rivalutazione del pensiero e del
ruolo della Donna. Della libertà, individuale, di genere quanto
collettiva. In lei conobbe l’affermazione paritetica di una
rivoluzione di pensiero, di costume e di modernità, aspetti che
profuse nel suo ininterrotto impegno di vita.
Nell’approssimarsi
del 7O° anniversario dell’esecuzione di Alma Vivoda, ho
organizzato assieme alla Vicesindaco di Muggia, Laura Marzi, il
convegno celebrativo nazionale dedicato alla sua Memoria.
Alma
non raggiungerà mai Ondina che aveva fissato l’appuntamento
clandestino in sommità al colle del Boschetto. Verrà infatti
freddata, colpita alla testa, dal fuoco di Antonio Di Lauro.
Pierina
Chinchio che l’accompagnava, pur ferita si salverà, divenendo
testimone dell’efferata aggressione. Per quest’azione, Di Lauro,
nel pesante clima della guerra fredda verrà insignito di medaglia di
bronzo al valore militare.
Anche
a risarcimento morale di questa paradossale attribuzione del 1958,
emanata non sotto dittatura, bensì nella consolidata Repubblica
Italiana, propriamente nata dalla Resistenza, l’evento ha onorato
questa giovane Donna, carismatica esponente nazionale della lotta di
liberazione e dell’emancipazione femminile, attraverso visuali e
testimonianze che partendo dal prestigioso pionierismo resistenziale
della nostra Regione, sono concorse a farne conoscere lo
straordinario profilo, lo spirito di sacrificio e l’altruismo che
la distinsero.
Per
attualizzare i concetti universali di Libertà di Alma Vivoda,
traghettati in linea diretta dalla sua discepola Ondina, ho invitato
esponenti della cultura sensibili a questa chiamata, tra questi
Khaled Fouad Allam, islamista e studioso dei paesi arabi che ha
fornito un parallelo tra Resistenza algerina e Resistenza italiana
dal punto di vista delle donne. Le storiche Anna Di Gianantonio,
Marina Rossi, Ester Pacor, il segretario provinciale CGIL, Adriano
Sincovich, Stanka Hrovatin, Presidente provinciale dell'ANPI. Nicolò
Gnocato, studente dell’Università di Trieste ha sottolineato,
l’estrema importanza della trasmissione della conoscenza dei Valori
fondanti dei Padri Resistenti nell’attualizzazione del processo di
trasferimento culturale da questi ai giovani di oggi.La
giovane Shirly Chinchio ha letto una testimonianza della bisnonna,
Pierina Chinchio.
Siamo
intervenuti io e la Vicesindaco Marzi. Infine
la giovane attrice Marta Cuscunà ha recitato una parte del suo
spettacolo “E' bello vivere liberi!” dove c'è un cammeo dedicato
all'impegno di Alma, Ondina e le giovani antifasciste del
monfalconese.
COSA
VOLEVA SIGNIFICARE IN QUEL TEMPO ESSERE LA PRIMA STAFFETTA PARTIGIANA
D’ITALIA?
Allora
penso non abbia significato nulla. Lei e le sue compagne si
lanciarono in quel vortice motivate da un tale desiderio di
cambiamento, di rivolta, di sete di libertà sociale, politica e
culturale, che tutto risultò automatico ed entusiasmante. L’aver
scoperto d’esser stata “la prima”, come dire, semmai la
divertiva, ma assolutamente mai la sentì manifestare questa
originalissima posizione infatti che mantenne dato privato. Mia
madre mi accennò soltanto un paio di volte a quest’attribuzione.
Ha sempre dimostrato ritrosia a mettersi in luce, a esporre quella
sua effettiva originalità, quella precocità che la vide
protagonista. Nella nostra ricerca (assieme alla Di Gianantonio)
intervistai lungamente il suo granitico vicecomandante del
Battaglione Triestino, Riccardo Giacuzzo, nel dopoguerra Vicesindaco
di Pirano, che con piglio dichiarò che molte azioni ad alto rischio
e di estrema fiducia furono intenzionalmente assegnate a Ondina. A
una ragazza di diciott’anni. Fu lei tra le pochissime Donne a
partecipare alla Battaglia di Gorizia, primo scontro in armi
organizzato dalla resistenza italiana in Italia settentrionale.
Mi
ha parlato stringatamente della Resistenza. Ancora in seguito,
tramite approfondimenti e riscontri incrociati ho meglio compreso che
a prescindere di indiscussi eroismi, clandestinità e Resistenza
furono un colossale massacro generazionale. Il Comandante Partigiano,
Silvano Bacicchi evidenziò durante un incontro a Monfalcone qualche
anno fa un dato sorprendente: il 70% dei partigiani aveva meno di
venticinque anni. Sottolineando anche una aspetto rimasto fino a
tempi recenti colpevolmente secondario: il fondamentale apporto e
supporto del contingente Donna alla Lotta di Liberazione Nazionale:
La
partecipazione della Donna alla Lotta di Liberazione nazionale dal
nazifascismodel
Senatore Silvano Bacicchi - Presidente ANPI Monfalcone, in mp3.
Registrazione integrale del suo intervento del 5 novembre 2009 presso
la Casa dei Giovani di Monfalcone: parte
1,parte
2,
parte
3,parte
4,parte
5eparte
6
QUANTO
ERA DIFFICILE PER UNA DONNA EMERGERE IN UNA SOCIETÀ PREVALENTEMENTE
PATRIARCALE E MASCHILISTA?
Credo
sia stata una conquista quotidiana, un avvicendamento di emozioni
lungamente negate, di privazioni identitarie schiacciate
dall’oscurantismo ignorante imposto dalla dittatura. La
rivincita si è disputata a carissimo prezzo, direttamente sul campo,
sul terreno, in quella dimostrazione di coraggio, inventiva e
strategia talvolta superiore a quella maschile.
PERCHÉ
È IMPORTANTE DEDICARE UNA VIA, A TRIESTE, A ONDINA PETEANI?
Perché
è la sua città, perché la città deve a buon titolo ricordare,
come scrive il Presidente della Repubblica, di aver dato i natali
alla prima Staffetta partigiana d’Italia. Ha l’opportunità di
intitolare a Ondina anche per un equilibrio con il passato
contemporaneo, in risposta ad esempio all’aberrante discorso
antisemita di Mussolini in Piazza dell’Unità d’Italia, il 18
settembre 1938, punto di non ritorno verso la distruzione della
Nazione e dell’Europa, in quell’aberrante alleanza con il nazismo
che si trasformerà nel più feroce scacco della Storia.
CHE
RAPPORTI AVEVA CON TRIESTE ONDINA?
La
visuale del suo impegno si formulò a largo e diversificato spettro
ma sempre nella prospettiva dell’assistenza, supporto e
aggregazione sociale. Dalla pianificazione della rete guida e
sostegno domiciliare alle partorienti, alla costituzione del polo
librario assieme a mio padre, il giornalista bellunese Gianluigi
Brusadin, già corrispondente da Belluno assieme a Tina Merlin nella
grande campagna avversa all’erigenda e infausta diga del Vajont.
Poi lo sviluppo dell’associazionismo culturale-educazionale per i
giovanissimi, in una mission
di recupero di molte realtà individuali all’interno di contesti
familiari segnati da criticità e difficoltà in genere, attraverso
una grande coesione intersociale prettamente anticlassista. Istituì
doposcuola, attività ricreative, viaggi, vacanze estive e invernali,
in Italia e all’estero. Forzò divieti e guadagnò consensi.
Si
catapultò nel Friuli terremotato e con abnegazione organizzò
soccorsi, campi base, tendopoli, poli sanitari ecc. Quindi l’ingresso
nel Sindacato Pensionati dove impresse un nuovo corso che
allontanasse lo stereotipo dell’anziano come retaggio di inutilità
sociale, rivoluzionando il gravare della categoria altresì in
risorsa. In diverse assise nazionali la cronaca trasse spunto
appuntandole un appellativo: ”Sbarcate in Italia le Pantere
Grigie”, giocando sul mix del già affermato movimento statunitense
e … i suoi capelli pepe/sale, molto precoci che mai nascose.
Successivamente
nell’Associazione Nazionale Ex Deportati ANED, assieme alla
Segretaria Nazionale (Milano) Miuccia Gigante (figlia della Medaglia
d’Oro Vincenzo Gigante, Martire della Risiera di San Sabba) il
grande ultimo lavoro della sua vita, la ricognizione testimoniale tra
le ex Deportate del Friuli Venezia Giulia, per l’archiviazione
storico-documentale. Quadro di riferimento nell’ANPI Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia, si mantenne in disparte da enfasi
celebrative spesso rifiutando approcci retorici.
Sintetizzando
cosa caratterizzasse Ondina, posso affermare sia stato il dinamismo
vincolato da superiore onestà morale a coniugare la sua
intransigente sfida di fondo: all’ingiustizia, alle convenzioni, al
banale e all'ipocrisia. Un affilato humor, punteggiato da sarcasmo la
distingueva, emanava sicurezza e molta determinazione che abbinate a
una statura fisica al tempo considerevole per una donna, più di un
metro e settanta, suggerivano ulteriore rispetto.
ESSERE
FIGLIO DI ONDINA PETEANI: QUALE RESPONSABILITÀ SENTI SULLE TUE
SPALLE?
Sento
la responsabilità di promuovere sempre e con ogni mezzo il Dovere
della Memoria. Per ricordare quanto avvenne a Birkenau-Auschwitz e in
tutti i Lager di sterminio, inclusa la Risiera di San Sabba, unico
campo di sterminio munito di forno crematorio messo a regime in
Italia e nell’ Europa meridionale durante l’aggressione nazista,
irrimarginabile cicatrice per la Trieste Medaglia d’Oro della
Resistenza. Sento la grande responsabilità dell’esercizio della
consapevolizzazione della tragedia di Auschwitz, simbolo per
antonomasia dell’orrore del XX Secolo, radicando il Dogma che mai
abbia a ripetersi, assicurando fermezza nello sbarramento totale a
qualsiasi forma di razzismo, di discriminazione e prevaricazione
razziale, sociale, culturale e religiosa. Per l’affermazione di una
società democratica, fondata sulla pace e sulla giustizia a garanzia
della libertà. Per un mondo migliore, capace di solidarietà, lavoro
e cultura, per tutti e per ognuno.
Dopo questa intervista, Gianni, mi segnalerà altri documenti e note, che ora pubblico, che meritano di essere letti.
I
valori della Resistenza - Testo Note di Ondina Peteani per una
conferenza sul significato della Resistenza redatte in prossimità
della Festa della Liberazione del 1990
L’espressione del contributo
della Donna alla Lotta di Liberazione rappresenta ancor’oggi
l’affermazione delle paritetiche potenzialità dell’Universo
Femminile. La storia di quelle giornate eroiche determinò
l'inderogabile cognizione della nuova collocazione che la Donna, con
sacrifici inimmaginabili aveva finalmente guadagnato. Il martirio
socio-culturale imposto dal regime fascista durante tutti i vent’anni
di dittatura accentuò in noi giovani l’irrefrenabile bisogno di
Libertà. La negazione di una Cultura Libera e Democratica e
l’imposizione di una ferrea censura indusse schiere di giovani ad
acuire la curiosità e l’interesse in direzione di una sostanziale
sete di Sapere. L’aver imbavagliato la Libertà di Conoscenza si
tradusse infatti in uno degli stimoli contrapposti più intensi per
la creazione spontanea dei primi gruppi di dibattito, di contrasto e
poi d’azione, contro un Governo reo fra l’altro dell’applicazione
delle aberranti Leggi Razziali del 1938, tese nell’apocalittico
progetto comune al Reich Hitleriano della Germania Nazista. Così ci
schierammo. Decidemmo da che parte stare. Oltre ad un ideale forte e
coeso anche il versante emotivo ebbe un ruolo inconsapevolmente
determinante. Eravamo straordinariamente felici. Un rigoglioso
altruismo ci univa e ci rafforzava nella consapevolezza ben più
matura della nostra giovane età, portandoci con convinta
determinazione alla soglia di scelte di sacrificio troppo spesso fra
la Vita e la Morte. Fronte operaio, povero di mezzi ma ricco di un
entusiasmo vincente, puro ed orgoglioso. Nessuna di noi, come nessuno
dei nostri giovani temerari compagni di Lotta poteva immaginare quale
livello di scontro fossimo prossimi ad affrontare. Assolutamente
inimmaginabile fu l’orrore in cui milioni di bambini, donne,
anziani e uomini sarebbero stati trascinati dalla degenerazione della
Ragione partorita dalla lucida follia della Soluzione Finale che
trova oggi in AUSCHWITZ il terrificante simbolo di un passato che ha
profondamente segnato e mutato il corso della Storia.
Resistenza.
Resistenza, sinonimo dell’
ostinata Forza della Libertà all’apice della motivazione primaria
dell’oppresso contro il suo oppressore. Resistere fu il verbo che
ci permise di affrontare un nemico forte della più organizzata e
potente macchina bellica mai concepita. E mentre Wermacht ed SS, in
sanguinaria collaborazione con il fascismo locale sbranavano villaggi
interi, trucidando, torturando, impiccando civili innocenti, le
nostre piccole formazioni eran divenute Brigate, Battaglioni. Quasi
dei reggimenti con giovani e giovanissimi animati da un unico ideale:
Libertà! Queste formazioni perlopiù di giovani, affamati, con
equipaggiamenti raffazzonati, il più delle volte guadagnati a caro
prezzo sul campo, spesso con stracci al posto delle calzature e zero
esperienza di tattica di guerriglia, imposero altresì la nuova
realtà anche nello scacchiere dell’Italia nord-orientale. I primi
significativi risultati quali il sabotaggio dei velivoli all'aeroporto e l’eroica Battaglia di Gorizia a cui ebbi l’onore
di partecipare, rafforzarono nelle nostre genti la speranza e
talvolta la convinzione di poter sconfiggere il nemico e riguadagnare
l’agognata Libertà. Sul terreno il consenso verso di noi crebbe ed
anche se pesantemente ostacolato da delazioni (risultato di un
capillare apparato spionistico installato e diffuso dal nemico
propriamente per sconfiggerci) le nostre Brigate crebbero, aumentando
di unità, spiegamento di mezzi e potenza di fuoco. La Lotta
Partigiana crebbe d’intensità e le iniziali nostre numerose,
rocambolesche fughe lasciarono spazio a precisi e tattici assalti ai
quali il nemico dovette soltanto arrendersi. Personalmente non vissi
la gioia della Liberazione. Mi trovavo in quei giorni, assieme ad una
babele di relitti umani, a più di mille chilometri di distanza, in
ciò che rimaneva dell’Europa messa a ferro e fuoco. Ero
sopravvissuta ad AUSCHWITZ e Ravensbruck. Ma irrimediabilmente
provata nel fisico e brutalizzata nella mente. Né più né meno di
tutti i reduci da quell’ orrore d’Inferno. Spesso mi chiedo come
personalmente ne sia uscita viva. La ragione puntualmente mi porta
l’unica risposta possibile: Resistenza!Resistenza
contro l’aggressore nazifascista. Resistenza in Cantiere e in
Fabbrica. Resistenza di casa in casa. Resistenza mentre le pallottole
fischiavano sopra la testa. Resistenza sotto interrogatorio.
Resistenza in Carcere. Resistenza davanti ai miei aguzzini al comando
SS di Piazza Oberdan a Trieste dove venni segregata. Resistenza
mentre mi si tatuava il numero 81672 sul braccio. Resistenza contro
la perdita di dignità e l’annientamento di umanità. Resistenza
contro una fame demoniaca. Resistenza al latrare di cani aizzatici
contro. Resistenza al sottile desiderio di lanciarsi contro il filo
spinato ad alta tensione per farla finita. Resistenza contro le
bastonate e le frustate inferte dai nostri carnefici. Resistenza
contro uomini fregiati dalla svastica che di umano non avevano ormai
nulla. Resistenza per Resistere all'Inferno di AUSCHWITZ.
Contro
ogni forma di razzismo, contro qualsiasi discriminazione e
prevaricazione razziale, sociale, culturale e religiosa,
Ostinatamente, Ora e Sempre: Resistenza!
Prefazione di Liliana Segre
alla biografia di Ondina Peteani Contributo
alla biografia di Ondina Peteani della milanese Liliana
Segre, deportata ad Auschwitz a 13 anni, oggi tra i massimi esponenti
testimonialiitaliani
dell’Olocausto.
La
storia di Ondina ci mostra, dall’inizio alla fine, il ritratto di
una donna che fin da giovanissimaera una portatrice di
ideali, indomita e coraggiosa. Passa attraverso l’orrore del lager
da vincente, per
aver scelto di essere una donna libera che nessun reticolato e
nessuna prigione avrebbero potuto sconfiggere. Anzi,
la prigionia era la conferma che la sua scelta era stata giusta: i
vigliacchi assassini che uccidevano e torturavano donne e uomini
inermi erano proprio quelli che lei voleva combattere, i nazisti.
Liberata, riprende il suo ruolo di “pasionaria” conun’esperienza
di vita e di morte assolutamente fuori dal comune. Per questa ragione
e per la sua intelligente alacrità copre incarichi e mansioni di
grande rilievo morale e pratico. Ho letto la sua storia, anch’io
per motivi diversi ho avuto la stessa esperienza di Auschwitz e di
Ravensbruck. Ho vissuto il freddo, la fame, le botte, ho visto la
fiamma e il fumo e la cenere nel vento. Ma
ho vissuto tutto questo con lo stupore per il mio destino. Ho
sopportato il lavoro da schiava, le marce della morte, le morti dei
miei cari non per una scelta ideale come Ondina, ma da tredicenne
colpevole solo di essere nata ebrea. Ho
letto quindi la storia di Ondina con un profondo senso di fratellanza
e di ammirazione per tutti coloro che, come lei, fecero una scelta di
campo così coraggiosa, con la sola forza dei loro ideali.
Liliana Segre
***
Prefazione
di Don Andrea Gallo alla biografia di Ondina Peteani
Ho
sempre creduto ai «Segni».
La
lettura di questa «storia» mi ha concesso di incontrare una Donna:
Ondina Peteani, la prima staffetta partigiana d’Italia. Una
ragazzina lavoratrice che nella tragedia della seconda guerra
mondiale sceglie la Libertà. Un
incontro utile in questo periodo di imbarbarimento del nostro
Pianeta, in cui il virus perenne del fascismo è nuovamente in libera
uscita. Mi
sono commosso ritrovandomi a cantare sottovoce con Ondina e la
giovane Ucraina, nel campo di concentramento, l’Internazionale.
Mi
sono detto: «è vero un nuovo mondo è possibile».
Dal
cantiere di Monfalcone, alla resistenza, fino al Lager, un percorso
personale, politico per cambiare le istituzioni e il costume con
un’intuizione fondamentale: la
Donna è una risorsa preziosa e irrinunciabile per una rivoluzione
culturale e sociale, per la Pace e la giustizia per tutti gli
oppressi. Ondina
cresce in terre di confine dopo la prima e «inutile strage» della
grande guerra, tra difficili contraddizioni, a contatto con lo
sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, in un regime
totalitario. Lucidamente,
decisamente è giovanissima antifascista della «prima ora». Nel 1944
inizia il Suo Calvario nei Lager nazisti. Ci
ha creduto e ha donato tutto, gratuitamente. «È sopravissuta senza
piegare mai». Non
ha predicato la libertà, la giustizia, ma le ha testimoniate.
Chi
è senza memoria è senza futuro.
C’è
una frattura profonda con revisionismi e capovolgimenti. È
lodevole raccogliere questi frammenti della qualità dell’esperienza
umana di Ondina e rilanciarli verso i modelli dei riferimenti
culturali: la globalizzazione dei Diritti. Scoprire,
con Lei, la partecipazione. C’è
un filo rosso interminabile della Resistenza. Nel mondo non si
interrompe mai: Ondina è un anello di questa catena. C’è entrata
e mai ne è uscita. Non
ci indica una traccia da seguire. Stimola ciascuno di noi ad
assumersi la propria responsabilità per una scelta democratica,
laica, antifascista.
Il 13 novembre in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale della Gentilezza, nata da una conferenza del 1997 a Tokyo e introdotta in Italia dal 2000. Per questa propongo una storia per le classi di scuola primaria. La storia che segue, ambientata a Trieste, ha per protagonisti tre supereroi ed una nonna, Rosellina. Il disegno è stato fatto in una classe di una scuola dove la storia è stata letta. mb I tre supereroi e la nonnina Rosellina C’era una volta, anzi no. C’erano una volta tre supereroi. Avete presente quelli con i super poteri che si vedono nei film? Nei cartoni animati? Nei fumetti? Sì, proprio loro. E si trovavano in una bellissima città italiana, Trieste. Non erano mai stati prima a Trieste. Rimasero stupiti nel vedere quanto era lungo il molo sul mare, e quanto era enorme la piazza con due alberi di due navi dove sventolavano le bandiere, ogni tanto. Dopo essersi fatti un selfie sul molo Audace che è costruito sui resti di una vecchia n
Come calcolare capienza di una piazza durante manifestazione? La matematica non è una opinione qualcuno disse... 1) per un calcolo della superficie e della capienza, il limite preso di misura è un numero di 4 persone/mq, 2) Piazza del Popolo ha una metratura di di 17.100 mq con una capienza massima e teorica di 68.400 ; 3) Piazza san Giovanni ha una superficie di 39.100 mq, con una capienza totale, quindi, di 156.000 persone. Direi che è arrivato il momento di non dare più i numeri... Marco B. MANIFESTARE A ROMA, QUANDO I PARTITI DANNO I 'NUMERI' - La fisica, con il principio della impenetrabilità dei solidi, insegna che due oggetti non possono occupare lo stesso spazio. Eppure c'é chi ritiene che questo classico teorema non si applichi alle persone, soprattutto se convocate in un determinato luogo ad esprimere pubblicamente la loro opinione politica. Fuor di metafora: quando si tratta di conteggiare i partecipanti alle manifestazioni, i partiti "danno i numeri"
"Con il termine foiba, che deriva dal latino fovea, vengono chiamati gli inghiottitoi naturali tipici delle aree carsiche; tali abissi si prestano assai bene a far scomparire in maniera rapida oggetti di dimensioni anche notevoli nelle zone in cui la natura rocciosa del terreno rende problematico lo scavo. In tal senso nella Venezia Giulia (ex province di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume) le f. vennero largamente utilizzate durante la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra, per liberarsi dei corpi di coloro che erano caduti a causa degli scontri tra nazifascisti e partigiani". Così la Treccani . Ma la foiba ha fatto parte in tempi non sospetti e con un certo cinismo o sarcasmo del testo di alcune canzoni, poesie proprie della "cultura" popolare. Pisino (in croato Pazin) in Croazia, nel 1925 vi era un testo di una canzone patriottica "italiana" nei cui versi così faceva: "fioii mii, chi che ofende Pisin, la pagherà:In fondo alla foiba finir el do
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