Un
giorno qualunque una singola RSU di una qualsiasi scuola chiede
l'utilizzo dei locali scolastici in orario di lavoro per lo
svolgimento dell'assemblea. Questa RSU è di un sindacato non
rappresentativo ma eletta democraticamente dai lavoratori.
Nel
99% dei casi cosa accade?
Che
od il sindacato rappresentativo provvede a diffidare immediatamente
la Dirigenza Scolastica rivendicando in toto di essere l'unico
titolare esclusivo per l'indizione del diritto di assemblea od in via
subordinata che tale diritto spetta alla RSU congiuntamente, o che la
Dirigenza Scolastica semplicemente nega l'autorizzazione.
Come
è noto la Dirigenza Scolastica rappresenta la delegazione di parte
pubblica nella contrattazione collettiva, dunque è chiaramente di
parte, non imparziale, così come la stessa ARAN, l'agenzia italiana
che rappresenta legalmente la Pubblica Amministranzione nella
contrattazione collettiva è di parte.
E
ciò non è cosa da poco conto, perché l'ARAN afferma ( nota 27
maggio 2004 - Prot. 4260) con atti che giuridicamente non hanno
alcun valore vincolante, che “ il diritto è in capo ai dipendenti
che possono esercitarlo partecipando, durante l'orario di lavoro,
all'assemblea sindacale per un minimo di 10 ore annue pro capite,
limite che può essere aumentato dal CCNL, a cui si rinvia. Si tratta
quindi di un monte-ore annuo individuale spettante esclusivamente ai
lavoratori, che l'Amministrazione deve ridurre in base alla effettiva
partecipazione dei lavoratori alle assemblee sindacali, sulla base
della rilevazione delle presenze che è di competenza
dell'Amministrazione. L'assemblea può essere indetta dalla RSU
unitariamente intesa, dalle Organizzazioni sindacali di categoria
rappresentative e dalle RSA della dirigenza. L'indizione può
avvenire singolarmente da ogni soggetto che ne ha la titolarità (ad
esempio dalla RSU o da una sola organizzazione) ovvero congiuntamente
da più soggetti (ad esempio da tutte le organizzazioni sindacali
assieme ovvero dalle stesse o parte di esse assieme alla RSU)”.
Ma
come può l'ARAN che è parte trattante per la Pubblica
Amministrazione arrogarsi il diritto di decidere chi può godere di
certe e date prerogative sindacali? Stesso discorso vale per la
Dirigenza Scolastica che non può, o meglio non dovrebbe, esercitare
alcuna ingerenza in tale ambito.
Lo
Statuto dei Lavoratori deve essere considerato a parer mio come
norma caratterizzata dal criterio di specialità e che dunque prevale
su quelle di carattere generale anche se successive e che contrastano
con questa nel nome del principio lex
specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat
legi priori speciali, ed
a conferma di ciò evidenzio l'articolo 40 dello Statuto dei
Lavoratori, lì ove afferma che Ogni
disposizione in contrasto con le norme contenute nella presente legge
è abrogata. Restano salve le condizioni dei contratti collettivi e
degli accordi sindacali più favorevoli ai lavoratori.
Ebbene
all'articolo 17 si legge che
È fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori
di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o
altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.
I
comportamenti assunti dalla Dirigenza Scolastica e dall'Aran possono
essere intesi come comportamenti di parte che sostengono le ragioni
della Pubblica Amministrazione che vuole,con i suoi orientamenti,
relegato il diritto assembleare solo a favore di certe e date
organizzazioni sindacali?
Le
norme contrattuali successive allo Statuto dei Lavoratori, gli
accordi quadro che ne sono derivati, violano quanto previsto
dall'articolo 19 e 20 dello Statuto dei Lavoratori, norma speciale, e
sono accordi stipulati solo da alcune organizzazioni sindacali che
ovviamente nutrono una serie di interessi affinché certi e dati
diritti non possano trovare affermazione per tutte le organizzazioni
sindacali. Il limitare il diritto di assemblea reca un grave
pregiudizio alla democrazia sindacale che si riflette anche sulla
libertà di associazionismo, ciò perché i lavoratori vedendo che il
diritto all'assemblea sindacale non viene riconosciuto a tutte le
organizzazioni sindacali che ne hanno diritto, conseguentemente
vedono lesi quei diritti ricollegati al libero diritto di associarsi
in un sindacato.
L'articolo
11 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo presenta tale
libertà come una forma o un aspetto speciale della libertà di
associazione (arrêts Syndicat national de la police belge c.
Belgique, 27 octobre 1975, série A n. 19, pp. 17-18, § 38, et
Syndicat suédois des conducteurs de locomotives c. Suède, 6 février
1976, série A n. 20, pp. 14-15, § 39). I concetti per la difesa
dei suoi interessi come citati nell'articolo 11, trovano tutela
all'interno della detta Convenzione che difende la libertà del
sindacato di tutelare gli interessi professionali degli aderenti
mediante l’azione collettiva.
La
detta Convenzione è parte integrante del diritto comunitario ed ha
acquisito
il primato sul diritto interno che contrasta con la detta
Convenzione. La Corte costituzionale , per esempio con la sentenza
dell’8 giugno 1984 n. 170 (Granital)
afferma in sostanza che il giudice deve assicurare l’applicazione
delle norme del diritto dell’Unione disapplicando direttamente,
senza necessità di alcun intervento della Corte costituzionale,
disposizioni interne in conflitto con le suddette norme. Sulla
stessa linea di principio il Consiglio di Stato, Sezione IV, nella
sentenza del 2 marzo 2010 n. 1220/2010 od il T.A.R. Lazio, Sezione
II bis, con la sentenza del 18 maggio 2010 n. 11984.
La
legge 4 agosto 1955 n. 848 ha ratificato la detta Convenzione ed
emerge l’ordine di esecuzione, che comporta il riconoscimento nel
nostro ordinamento dei diritti previsti nella Convenzione citata ,
ciò ha trovato conferma anche con con le sentenze n. 348 e n. 349
del 24 ottobre 2007 della Corte Costituzionale che ha affermato che
l’art. 117, 1° comma, impone al legislatore italiano il limite del
rispetto degli obblighi internazionali, conseguentemente una legge
ordinaria incompatibile con una disposizione della Convenzione
violerebbe lo stesso art. 117, 1° comma, e sarebbe incostituzionale.
Ma
vi è di più.
La
Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea
nel dicembre 2009, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona,
ha acquisito lo stesso effetto giuridico vincolante dei trattati. A
tal fine, la Carta è stata modificata e proclamata una seconda volta
nel dicembre 2007. L'articolo 12 della citata Carta che è pressoché
identico all'articolo 11 della Convenzione, afferma : Ogni
persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà
di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico,
sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni persona di
fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei
propri interessi.
Dunque
chi ha diritto a convocare l'assemblea sindacale nella scuola?
La
giurisprudenza non è consolidata, però gli orientamenti positivi sono
diversi ed affermano che “Il CCNQ del 7 agosto 1998 e i contratti
nazionali di lavoro disciplinano, il primo in via generale e i
secondi nella specificità di comparto, le modalità di richiesta e
di svolgimento dell'assemblea (cfr. in particolare il CCNL della
Scuola Ai sensi dell'art. 20 SL e dell'art. 5 dell'AI 20/12/93, il
diritto di indire assemblee retribuite deve essere riconosciuto a
ciascuna singola componente della Rsu, e tale diritto non può essere
limitato neppure da regolamenti interni alla Rsu”(Trib. Milano
10/1/2003, Est. Santosuosso, in D&L 2003, 307).
Oppure
che Il singolo componente della Rsu è titolare del potere di
convocazione delle assemblee ai sensi dell'art. 20 SL (Trib. Milano
16 ottobre 1999 (ord.), est. Atanasio, in D&L 2000, 112, n
FRANCESCHINIS, Sui poteri del singolo Rsu. In senso conforme, v.
Trib. Milano 9 dicembre 1999 (ord.), pres. ed est. Ruiz, in D&L
2000, 112; Trib. Milano 4/12/00, est. Vitali, in Orient. Giur. Lav.
2000, pag. 916; Trib. Milano 14/3/2002, decr., Est. Gargiulo, in D&L
2002, 597).
La
giurisprudenza di merito ha ripetutamente statuito (v. ex plurimis
Trib. Firenze15.12.2003, Trib. Milano 10.1.2003, Corte Appello Roma
13.9.2001) che la convocazione di assemblea ex art 20 Stat. Lav. è
un diritto che
spetta a ciascuna singola componente delle RSU e non deve
necessariamente essere esercitato dall’organismo unitario nel suo
complesso.
Oppure
in merito all'utilizzo dei locali, il Tribunale
di Pinerolo nella causa 282/01 R.G.L
afferma che “il datore di lavoro non può opporsi a che le
assemblee si tengano in luoghi della propria azienda che non
coincidano (esattamente) con l’unità produttiva, soprattutto
quando la scelta dei rappresentanti sindacali sia funzionale a
consentire la contestuale partecipazione all’assemblea dei
dipendenti appartenenti a diverse unità produttive che abbiano sede
nel medesimo territorio. Una siffatta opposizione, fondata su una
formalistica interpretazione del dato normativo che ne tradisce
invece la ratio
e
non sorretta dalla necessità di tutelare alcun apprezzabile
interesse, si traduce inevitabilmente, nella lesione gratuita di uno
dei fondamentali diritti riconosciuti dallo Statuto per l’esercizio
delle libertà sindacali nel luogo di lavoro (cfr., per questa più
ampia accezione topografica dell’ambito d’operatività del
diritto d’attività sindacale, l’art. 14 Stat. Lav.).
L’illegittimità di questa lettura della disposizione di legge è
stata altresì affermata, in modo netto, dal Supremo Collegio nelle
non molte occasioni in cui si è pronunciato sulla questione (cfr.
Cass., Sez., Lav.,17-5-1985 n. 3038 e, recentemente, e proprio in un
caso relativo ad una pubblica amministrazione, molto simile a quello
oggetto del presente giudizio, Cass., Sez. Lav. 17-5-2000 n. 6442).
Trattandosi,
anche nel caso dell’individuazione del luogo dell’assemblea, di
una prerogativa che trova il proprio fondamento direttamente nella
norma imperativa di legge, non sarebbero comunque legittime
pattuizioni contrattuali limitative. Nel caso di specie, peraltro,
questo non è avvenuto. Le previsioni contrattuali, anzi, appaiono
rispettose della ratio legis, nella misura in cui non
circoscrivono necessariamente a locali del singolo istituto
scolastico il luogo dove le assemblee possono svolgersi. L’art. 2
comma 1 del CCNLQ 7/8/1998 e l’art. 13 del CCNL del comparto scuola
siglato il 15/2/2001 menzionano, genericamente, "idonei locali"
concordatati con l’amministrazione, e il parere reso dall’ARAN
nella nota n. 1299 del 30/1/2001 –che, peraltro, faceva riferimento
al diverso tenore dell’allora vigente art. 13 del CCNL (il quale,
addirittura, espressamente ammetteva lo svolgimento di assemblee "in
locali scolastici concordati con il capo d’istituto o in altra
sede") – utilizza la locuzione, generica, di "luogo di
lavoro", con ciò escludendo (giustamente, ad avviso di questo
giudice) che le assemblee in parola possano essere convocate in
luoghi pubblici o privati che siano estranei allo svolgimento
dell’attività lavorativa e non pertinenti all’amministrazione di
appartenenza, senza tuttavia richiedere che la riunione si tenga, per
ciascun gruppo di lavoratori, nel proprio istituto
scolastico”.
Ma
con la sentenza della Corte
Costituzionale, n. 231 del 2013, le cose sono destinate a cambiare.
Questa ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'articolo
19, 1° comma, dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970, nella
parte in cui "non prevede che la rappresentanza sindacale
aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni
sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati
nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla
negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei
lavoratori dell'azienda".
Ora,
l'articolo 20 dello Statuto dei Lavoratori afferma che
i lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unita' produttiva in
cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonche'
durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le
quali verra' corrisposta la normale retribuzione. Migliori
condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.
Le riunioni - che possono
riguardare la generalita' dei lavoratori o gruppi di essi - sono
indette, singolarmente o congiuntamente, dalle
rappresentanze sindacali aziendali nell'unita' produttiva,
con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del
lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni,
comunicate al datore di lavoro. Alle
riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di
lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la
rappresentanza sindacale aziendale. Ulteriori
modalita' per l'esercizio del diritto di assemblea possono
essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche
aziendali.
Da
una lettura incrociata con l'articolo 17, 19, 20, 40, dello Statuto
dei Lavoratori, con l'articolo 18, 21 e 39 della Costituzione Italia,
con l'articolo 11 della Convenzione Europea per i diritti dell'Uomo e
l'articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione Europea, che è certamente un diritto sia della singola
componente della RSU che della singola componente della RSA che
può ben costituirsi nell'ambito di associazioni sindacali che, pur
non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità
produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa
agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori
dell'azienda, convocare l'assemblea sindacale come normata
dall'articolo 20 dello Statuto dei Lavoratori.
Che
il datore di lavoro essendo non imparziale certamente non può
esercitare alcuna ingerenza o diniego di autorizzazione, stante anche
il fatto che la negazione del diritto all'assemblea comporta una
chiara lesione del diritto di
ogni persona di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi
per la difesa dei propri interessi.
A
tal proposito è il caso di ricordare che chiunque
può presentare una denuncia alla Commissione Europea contro uno
Stato membro per ogni provvedimento (legislativo, regolamentare o
amministrativo) o una prassi imputabile a uno Stato membro che
considerano contrari ad una disposizione o un principio del diritto
comunitario.
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