La Corte dei Conti- Sezione Giurisdizionale
d'Appello per la Regione Siciliana, con una Sentenza del 5 ottobre
2012 n° 243, afferma un principio, che se interpretato in modo
estensivo, potrebbe recare molti problemi ai docenti di sostegno che
per anni hanno insegnato nella scuola pubblica italiana, con il
tacito consenso della stessa Amministrazione, senza il titolo
richiesto dalla normativa esistente.
Il caso parte da un docente che negli
anni scolastici 2003/2004, 2004/2005, 2005/2006, 2006/2007, 2007/2008
e 2008/2009, aveva ottenuto il conferimento di incarichi a tempo
determinato come insegnante di sostegno nelle scuole materne,
mediante la presentazione di false dichiarazioni scritte in ordine al
possesso del titolo di studio indispensabile per l’espletamento di
tale tipo d’attività.
Dopo
le verifiche del caso, emergeva che il lavoratore, aveva in sostanza
dichiarato il falso.
Dunque
viene condannato a restituire la somma di € 80.338,98, da
maggiorarsi degli accessori (rivalutazione monetaria ed interessi
legali, calcolati secondo le modalità ivi specificate) e delle spese
processuali, per i danni cagionati al Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca.
La
Corte dei Conti rileva che l’art. 8 del D.P.R.
31.10.1975, n.970, e l’art. 325 del D.L.vo 16.4.1994, n.297, e
successive modificazioni, hanno espressamente stabilito che gli
insegnanti di sostegno, incaricati di svolgere attività didattiche
nelle classi in cui sono inseriti alunni “portatori di handicap”,
debbono essere in possesso di uno specifico diploma di
specializzazione, che può essere conseguito soltanto al termine
della frequenza di un corso di formazione teorico-pratico di durata
biennale, tenuto da Istituti di rango universitario, riconosciuti dal
Ministero della Pubblica Istruzione.
Per effetto di tale normativa, quindi,
l’espletamento dell’attività come insegnante di sostegno
presuppone il possesso di una preparazione professionale di tipo
specialistico, la quale deve aggiungersi a quella richiesta al
docente “comune”.
Ma la Corte dei Conti rileva che quando
l’Amministrazione scolastica affida un incarico d’insegnamento di
sostegno, essa non richiede l’espletamento di un’attività
didattica qualsiasi ma esige che sia resa una prestazione
professionale particolarmente qualificata, per l’effettuazione
della quale la legge impone, come regola generale, il possesso di un
particolare titolo di specializzazione.
Ne consegue che l’attività svolta dal soggetto
privo delle cognizioni tecnico-culturali tassativamente prescritte
dalla legge (conseguibili soltanto mediante la frequenza
dell’apposito corso di formazione ed il superamento dei relativi
esami) non può affatto qualificarsi come “insegnamento di
sostegno” in senso tecnico e dunque la prestazione lavorativa
che venga, comunque, resa dal soggetto sfornito del titolo di
specializzazione non può ontologicamente produrre (a causa
dell’oggettiva carenza del necessario di capacità
professionale) l’utilità che l’Amministrazione aveva
preventivato di conseguire in sede di stipula del contratto di
lavoro.
Un principio che è
un monito all'Amministrazione centrale, ma anche ai genitori, che
ricorda l'importanza dell'insegnamento del sostegno e che non può
essere effettuato da chi è privo di titolo. Detto in breve il
docente di sostegno che ha insegnato la detta disciplina, privo del
titolo di specializzazione prescritto, avrebbe compiuto una attività
illegittima perché non utile all'Amministrazione poiché privo della
preparazione specifica. Attività illegittima che però, questo deve
essere detto, per non creare allarmismo, si è realizzata nella
maggior parte dei casi con il pieno consenso e complicità
dell'Amministrazione scolastica ed in casi come questi l'azione di
rivalsa sarebbe a dir poco fuorviante.
Il caso della onerosa condanna trova
luogo per altro principio come riportato nella presente sentenza
ovvero, nell’ipotesi in cui un soggetto abbia fraudolentemente
ottenuto il conferimento di un incarico come insegnante di sostegno
mediante false dichiarazioni sul possesso del prescritto titolo di
studio, deve ritenersi che: il rapporto sinallagmatico, che deve
sussistere tra la prestazione lavorativa specializzata prevista nel
contratto e la retribuzione erogata dall’Amministrazione scolastica
(in conformità al C.C.N.L. di categoria), sia irrimediabilmente
inficiato dal fatto che il docente in questione sia privo della
professionalità richiesta dalla legge; le retribuzioni da questi
percepite siano giuridicamente prive di “giusta causa”,
ragion per cui, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza
della Corte dei Conti (v. ex plurimis: Sez. Lazio n.16/1998; Sez.
Puglia n.14/2000; Sez. III^ Centrale d’Appello n.279/2001; Sez.
d’Appello per la Sicilia n.154/2006, n.127 e n.234 del 2010 e
n.127/2011), determinano l’insorgenza di danno erariale e della
conseguenziale responsabilità amministrativa a carico.
Dunque i lavoratori sono avvisati, le amministrazioni scolastiche
anche e le famiglie pure.
All'attività di sostegno si deve conferire la giusta dignità.
Purtroppo si registrano corsi e business tipici ed affermati nel settore della Pubblica Amministrazione, il cui unico scopo è quello di realizzare profitto che eticamente ed ontologicamente si scontra con il concetto di dignità.
Ma quale colpa? D'altronde è la società che funziona così.
Marco Barone
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