Nella
scuola pubblica statale italiana si rileva, con riferimento al
personale scolastico, una percentuale altissima di lavoratori
appartenenti al sesso femminile.
Qualcuno
in passato ha, in via provocatoria, sostenuto la necessità di
avviare un processo di quota azzurra, volto a ridurre questa sorta
differenza di genere.
La
scuola ha una peculiarità particolare, è richiesta una sensibilità
sociale che difficilmente è riscontrabile nell'ambito maschile, e
certamente la scuola rappresenta un punto di avanzamento sociale
importante in tale caso, se di caso trattasi, poiché nel resto della
società, siano luoghi di lavoro privati che pubblici, per non
parlare della politica, la presenza di lavoratrici o politici di
sesso femminile è altamente insufficiente.
Quindi
io difendo questa presenza, una presenza che deve essere però
tutelata.
Purtroppo
gli ultimi interventi cantierati dal governo, ed in qualche modo,
grazie alla lotta dei Cobas e docenti, ritardati nell'applicazione
dal Ministero, attaccano non solo le fondamenta della scuola pubblica
italiana ma anche le donne.
Esistono
problematiche sociali, patologie di carattere medico, che vuoi per
statistica vuoi per ragioni fisiche, tendono a colpire le donne più
che gli uomini.
Penso
al tumore al seno, penso alla depressione, o ad altre patologie che
patiscono principalmente le donne.
La
problematica dei docenti idonei ad altri compiti, che per anni hanno
trovato nello strumento del contratto collettivo nazionale nonché in
quello nazionale integrativo, il riconoscimento di una importante
misura di protezione sociale, evidenza bene il come si attaccano
anche le donne nel mondo del lavoro. Infatti, imporre per legge il
passaggio d'ufficio ad altro profilo professionale e conseguente
mansione,da docente ad ATA, lede sia la contrattualizzazione di
questa materia, poiché trattasi di materia che riguarda la gestione
dei rapporti di lavoro e non l'organizzazione degli uffici, che la
dignità umana e professionale di migliaia di lavoratrici della
scuola.
Passare
ad altro profilo professionale per svolgere altro tipo di mansione,
in seguito ad un provvedimento di inidoneità permanente alle proprie
funzioni, comporta il rischio da un lato, come
previsto dall'Art. 41 del DGLS 81 del 2008, in tema di Sorveglianza
sanitaria
di sottoporre questi lavoratori a visita medica che potrebbe essere
preventiva al nuovo lavoro e nuova mansione oppure semplicemente per
attestare l'idoneità del lavoratore, come afferma il punto
d
del testo unico in tema di sicurezza sul lavoro: si
effettuerà visita
medica in occasione del cambio della mansione onde verificare
l'idoneità alla mansione specifica.
E
questo è un problema incredibilmente delicato.
Se
questi lavoratori, in maggior parte donne, per i problemi di salute
che vivono, correlati nella maggior parte dei casi a patologie che
ahimè colpiscono specialmente il sesso femminile, non sono idonee al
lavoro docente come possono esserlo ad altre attività che per le
peculiarità che le caratterizzano sono certamente più pesanti da
affrontare? Orario di lavoro di 36 ore per esempio. Orario che ora è
svolto da queste persone per esempio in biblioteca, ma un conto è
lavorare in biblioteca, un conto è svolgere l'attività propria
degli ATA.
Quale
è il rischio?
Il
rischio concreto è definito dal regolamento attuativo della riforma
Brunetta in tema di non idoneità al lavoro, il
licenziamento.
Perchè
se per i docenti idonei ad altri compiti si poteva applicare il
contratto integrativo che consentiva la realizzazione di una
importante misura di protezione sociale, consentendo l'utilizzo della
risorsa umana in vari ambiti come la biblioteca, passando ad ATA,
questo tutela cadrà, perchè il passo successivo sarà il
licenziamento.
Ovviamente
il problema si pone anche per coloro che sono ATA, io non voglio
intendere lo Stato come un datore di lavoro privato, lo Stato deve
essere altra cosa, deve tutelare le persone, non massacrarle.
Il
Codice
delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6
della L. 28 novembre 2005, n. 246 Libro
III Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici Titolo
I- Pari opportunità nel lavoro- Capo I - Nozioni di discriminazione-
al
comma 2
afferma : Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente
titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un
patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono
mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di
particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo
che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività
lavorativa, purchè l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per
il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
Si
può intendere questo caso, ovvero quello della dequalificazione
coatta e cambio di mansione, sempre coatta, come l'esercizio di una
discriminazione indiretta, poiché si colpiscono le donne che vivono
delle patologie che nella maggior parte dei casi colpiscono proprio
il sesso femminile?
Stesso
principio è richiamato anche dal D.Lgs.
9 luglio 2003, n. 216 -
Attuazione
della direttiva
2000/78/CE per
la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni
di lavoro il quale all' articolo 2 così afferma: si
ha discriminazione
indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto,
un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le
persone che professano una determinata religione o ideologia di altra
natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una
particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di
particolare svantaggio rispetto ad altre persone
E'
anche vero che all'articolo 3 si rileva il fatto che nel
rispetto dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza e purché
la finalità sia legittima, nell'àmbito del rapporto di lavoro o
dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di
discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di
trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle
convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento
sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività
lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti
di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e
determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima
E
qui si ritorna al punto di partenza. Se la contrattazione collettiva
è chiamata a definire le questioni che intervengono in materia di
gestione del rapporto di lavoro, quanto è legittima una legge che
lede questa prerogativa sindacale, ad oggi misteriosamente non
rivendicata dai sindacati che hanno il potere per legge di
contrattare? Quanto è legittima una norma che lede la dignità delle
lavoratrici della scuola? Che rischia di realizzare la fattispecie
della discriminazione?
Eppure
la legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate ricorda che La Repubblica
garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di
libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la
piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella
società;
previene
e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della
persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e
la partecipazione della persona handicappata alla vita della
collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici
e patrimoniali;
persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da
minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le
prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle
minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona
handicappata;
predispone
interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione
sociale della persona handicappata.
Certamente
potrà anche essere legale il provvedimento come definito dalla
spending review, perchè nato dalla necessità di soddisfare le
esigenze di bilancio dello Stato Italiano, ma non è legittimo.
Come
può essere legittimo un provvedimento disumano? Che si accanisce
verso chi soffre varie patologie? Verso chi altro non chiede che di
poter svolgere il proprio lavoro, così come ha sempre fatto, in quel
posto di lavoro, la biblioteca, che non è stato soppresso?
Quanto
è legittimo invocare il principio della cassa?
Quanto
è legittimo far vivere da due anni e più a migliaia di lavoratrici
e lavoratori le pene del peggior inferno dantesco?
Quanto
è legittimo accanirsi verso le donne che soffrono patologie
particolari?
Quanto
è legittimo licenziare queste persone, siano esse donne o uomini?
Perché
il rischio di licenziamento esiste.
Commenti
Posta un commento