C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Sale sull'Ursus per dire no alla direttiva Bolkestein.

  


Le torri nel corso della storia hanno rappresentato il simbolo del potere.
Una torre più era alta più era elevato il potere del committente.
Ma le torri rappresentano anche uno strumento di diffusione della voce della protesta.
Penso a Luca in Val di Susa, ai ferrovieri di Milano, ed ora a Marcello Di Finizio a Trieste.
La torre, un traliccio, una gru, che ti sollevano materialmente dalla terra ferma, per urlare al popolo sottostante, la rivendicazione di un diritto.
Cosa è giusto cosa è sbagliato è difficile dirlo.
A volte vivi la sensazione che forse ciò che reputi giusto sia errato e ciò che reputi errato sia giusto, è solo una questione di prospettiva, di sensibilità, che può mutare l'intera rappresentazione di una vita.
Quella di Marcello è una vicenda che da due giorni fa parlare.
Almeno a Trieste.
E' questo è già qualcosa.
Però prima voglio sottolineare una piccola ma significativa esperienza.
Una di quelle cose, chiamale se vuoi coincidenze, che devono lasciar riflettere.
Domenica mattina vagando sul lungo mare di Barcola, osservando il mare, notavi tra gli scogli un pezzo di cartone con una scritta blu, " continua lo sciopero della fame...Barcola" Una scritta che il tempo, inesorabile tempo, ha lentamente cancellato.
Ti chiedevi ma chi avrà scritto "sciopero della fame continua....Barcola" ?
Poche ore,e la risposta arriva.
Marcello Di Finizio, per due volte ha fatto lo sciopero della fame, è andato a Roma anche in bicicletta per protestare contro gli effetti della Direttiva Bolkestein che in sostanza prevede l'asta pubblica di tutte le concessioni demaniali. Una tematica sentita fortemente dai piccoli balneari perché il rischio che le future aste siano aggiudicate e vinte dai soliti colossi è un dato di fatto reale. 
Le valutazioni possono essere varie.
Penso alla vicenda di un piccolo imprenditore, che vede la propria attività andare in frantumi, prima per un incendio e poi per una mareggiata. Era un'attività sana che conferiva lavoro a varie persone. Era la sua vita.
Ma per gli effetti della Direttiva Bolkestein Marcello rischia di perdere tutto.
Anzi come ha denunciato dall'alto dell'Ursus, dove staziona, a circa 70 metri di altezza dal mare, da due giorni, non ha più nulla da perdere.
Non avere più nulla da perdere.
Quante volte ho sentito questa frase.
Questa esclamazione.
La forza della disperazione, ti spinge ad azioni incredibili, ma reali.
Una gru, arrugginita dal logorio di una società sempre più complessa e burocratica, una persona che urla la sua disperazione e l'ingiustizia figlia di una norma europea, Europa alla quale abbiamo ceduto senza batter ciglio la nostra sovranità popolare, e la città che continua, nonostante tutto, a vivere la sua ordinaria vita.
Marcello è ancora sul gigante di ferro. Farà bene? Farà male?
Credo che quando si vive il senso del non aver più nulla da perdere, si ribalta il senso di quel senso ordinario a cui la società per forza di cose ha abituato l'essere umano.
La civiltà.
Un gesto che molti definirebbero come incivile, ma è più civile la civiltà o civile l'inciviltà figlia della voglia di combattere una ingiustizia tipizzata dalle leggi di questo non più bel Paese?

Marco Barone
 

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