Via Sant'Ambrogio una via alla ricerca della sua identità

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Un tempo via del Duomo, o del Teatro, oggi via Sant'Ambrogio che porta lo stesso nome del duomo consacrato dopo i disastri della prima guerra mondiale nell'ottobre del 1929, pur senza il campanile che dovette attendere la fine degli anni '50 per essere battezzato. Una via che nel corso della sua storia è sempre stata da transito di merce e persone e che è diventata negli ultimi tempi il teatro dello scontro identitario di una Monfalcone alla ricerca del proprio equilibrio sociale. Perchè è evidente che a Monfalcone, terra di passaggio, da quando è diventata grazie ai Cosulich città dei cantieri, per questo contesa dal regno d'Italia all'Austria, per privarla dei suoi cantieri insieme al porto triestino, ha conosciuto quelle dinamiche proprie delle città portuali. Gente che viene, gente che va. Approdo e partenza di nuove identità. Dal Sud Italia, all'Asia, passando da quel centinaio di nazionalità che a Monfalcone stanno cercando il proprio equilibrio, ognuna ne

Pensavamo fosse una "gita", finimmo nei campi di concentramento

Mario è una testimonianza storica vivente pazzesca. Quando parla, lo ascolti. Tutti si fermano. Non racconta sempre le stesse storie Mario, perchè la sua storia, è così grande e complessa, che ogni volta si aggiunge di particolari diversi che se non ne cambiano il succo, amaro, sicuramente, è come se fosse una storia diversa. Particolari che ti aiutano a comprendere cosa è successo in quel tempo maledetto del '900 sotto il nazifascismo.
Il secondo "carico" delle deportazioni è quello che ha interessato Mario, a Ronchi. Il primo avvenne a Soleschiano nel febbraio del '44. Se ne è parlato per la prima volta in questo blog dopo una ricerca.
Racconta Mario che erano lì sul camion, pensavano di andare a fare una "gita", una esperienza di vita diversa in Germania. Sapevano che avrebbero evitato il Coroneo di Trieste, il carcere dove non sempre si usciva vivi. E per questo erano contenti. Anzi, racconta Mario, che qualcuno quando li vedeva sul camion, era tentato di salire, perchè si pensava di andare a lavorare in Germania, a vedere per la prima volta quel Paese che nella memoria delle famiglie chissà quante volte sarà stato raccontato con il vecchio mito dell'Impero alleato della Germania. Caricati poi sul treno merce, erano in ogni vagone una cinquantina di persone, scortati, su ogni vagone, da due carabinieri armati di fucile. Dice Mario che i carabinieri, sottovoce, gli dicevano di non scappare. Non sa dire che fine fecero poi quei carabinieri che li accompagnarono fino ai campi di concentramento in Germania. Erano lì con le porte aperte, in qualsiasi momento potevano scappare. Nessuno lo fece. Nessuno scappò, pur avendone la possibilità. Un viaggio di due giorni in quel fine maggio del '44, il cibo e l'acqua gli vennero forniti dalle suore, durante una sosta, e poi, quando arrivarono a Dachau, ricorda sempre Mario Candotto, con il suo umorismo, con cui cerca di sdrammatizzare quell'incubo, che un deportato, come lui, quando vide una persona venirgli incontro con la divisa a righe, disse, ci vengono a salutare con il pigiama. Si resero conto di tutto, quando scesero dal treno, partito da Trieste. Quella Trieste che attende ancora il suo binario 21. In fila, con i cani tenuti al guinzaglio dai nazisti.E lì è iniziato il terrore. Pensavamo fosse una "gita", finimmo nei campi di concentramento. E quel due giugno, era il giorno in cui Mario festeggiava il suo compleanno. Nacque il 2 giugno 1926. Vennero prese in quel 24 maggio del 1944, purtroppo, 70 persone, tra cui praticamente tutta la famiglia di Mario. Suo padre, sua madre e due sorelle. Gli altri due fratelli erano partigiani.
mb

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