La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Sapori d'inverno con i versi di Domini

Ronchi è un cuore di un corpo, un corpo multiforme, un corpo ora donna ora uomo ora né uomo e né donna. Un corpo dove scivola il sole fin sull'Adriatico, dove l'alba della luna sul rosso Carso risveglia i fantasmi della notte, rumori di un tempo sepolto da guerre.  E poi l'estremo opposto il silenzio delle acque, Isonzo e Timavo, la forza delle Alpi che si confondono con le nuvole, ma è neve. Neve d'inverno. Neve d'inverno, odori di legna bruciata, profumi di brovada, risate da privata e poi "in sto moment de sogno ciàpa ala i recordi a vose". Pensi alla bora che "se lementa un zespar, disperà pal ramàz per ta la note " onde onde 'l xe  ndà?"
Non solo su Trieste, ma anche qui è giunta, nel cuscinetto tra contee e territori che mai si son amati e da sempre divisi,  tra la patria del Friuli e l'alabarda rossa furente di Trieste ora ulula più che mai il vento dell'Est. "Sbusina la bora de l'anema Senza vose". Che spazza via ogni cosa, anche quella fumata che conduce la Bisiacaria nel purgatorio dantesco, né inferno, né paradiso, e "de bando zèrco le strade perse ta penze tele de ragno in 'sta fumata scarpida de zento man vago tastando".

Un piccolo omaggio ad un grande poeta della Bisiacaria, Silvio Domini.
p.s le parti virgolettate sono versi di alcune poesie di Domini.

Marco Barone 

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