Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Alcuni murales per le strade di Belgrado e rivivi la storia del calcio della Jugoslavia


A Belgrado non è difficile notare diversi murales per le sue grandi e piccole strade. Alcuni sembrano immobilizzare il tempo, fermo e decadente, altri, invece, ricordano la gloria calcistica della Jugoslavia e soprattutto del Partizan. Per esempio, tra il mercato di Belgrado e la centralissima Knez Mihailova , si possono notare due murales a firma del Grupa JNA the Partizan Artist .


Ci sarà Petar Borota (Belgrado, 5 marzo 1952 – Genova, 12 febbraio 2010) noto per aver giocato oltre 100 partite con la maglia del Chelsea, oppure Miloš Milutinović 

che realizzò la rete decisiva nell'1-0 tra Jugoslavia e Francia, che aprì i mondiale del 1954 e si trattò del primo goal di una partita dei mondiali ad essere trasmesso in diretta televisiva. Insomma, i  muri parlano e raccontano un pezzo di storia sia di Belgrado che della cara e vecchia Jugoslavia. 


Marco Barone 

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