Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

La soppressione della cultura slovena durante l'occupazione italiana, le memorie di Bevk

Che il sistema Italia abbia anticipato le leggi razziali, proclamate nel '38 a Trieste, ben prima di quel tempo è un dato di fatto che ancora oggi reca stupore. Stupore perché vi sono storie poco conosciute oltre il Confine Orientale, ciò perché la via della memoria del sistema ha intrapreso una direzione a senso unico, quella che auto-assolve attraverso l'ignoranza ed il non dire, quella madre patria Italia che è sempre stata vittima e mai carnefice. 
Ma carnefice l'Italia è stata, sin dalla sua sanguinaria nascita. Eppure un sistema anche falsamente pentito dovrebbe pur curare tale apparenza, per esempio tutelando, incentivando la cultura di quella comunità che è stata barbaramente violentata dall'avvento dell'occupazione italiana dopo la prima guerra mondiale. 
Ma a parte qualche caso oramai celebre e per fortuna sussistente, come quello di Boris Pahor, che ho avuto la fortuna di conoscere di persona per la questione "Ronchi dei Partigiani", la letteratura slovena è praticamente sconosciuta, così come è difficile riuscire a trovare libri del panorama letterario sloveno tradotti in italiano e nelle librerie. Salvo qualche piccolo caso, per lo più dovuto al buon senso ed alla sensibilità delle librerie indipendenti od all'impegno di qualche eccezionale personalità, è nelle biblioteche comunali di alcune città che è possibile cercare e trovare diverse opere, certo non tante, ma vi sono. Una di queste è Crepuscolo di Francè Bevk edizione estlibris anno 1989. Descriverà la Gorizia conquistata dagli italiani, una città che nei primi anni italiani ha conosciuto investimenti di un certo rilievo, dopo la distruzione dovuta alla guerra, ed una forma di tolleranza verso quello che oramai veniva individuato come lo straniero in casa propria lo sloveno. Ma già nei primi anni '20 le cose iniziarono a mutare e rapidamente. Bastava anche pubblicare una satira, il decalogo delle reclute, sull'esercito italiano, per essere attenzionati severamente e conoscere severe pene. Quattro mesi di reclusione. Ma non tanto perché si era fatta satira sull'esercito ma perché questa era stata osata da una rivista slovena o da scrittori sloveni.  E Bevk racconterà bene i drammi vissuti per essere sloveno e scrittore sloveno ed amanti di libri sloveni. Certamente il simbolo, nel goriziano, di tale repressione sarà l'assalto del Trgovski Dom  al grido di " viva l'Italia" ed il 4 novembre di questo 2016 ricorreranno 90 anni da quel drammatico episodio che andrà ricordato a dovere. Bastava avere un libro rosso e sloveno per finire nel mirino del sistema repressivo italiano e fascista, e si badi rosso come copertina non perché automaticamente comunista o socialista, bensì perché veniva sospettato come tale solo dal colore. 
Ed i libri pian piano iniziarono ad essere diffusi di nascosto. Sì, vi è stato anche il contrabbando del libro, pur di salvaguardare quella cultura quella identità che l'Italia voleva spazzare via nel nome dell'italianizzazione forzata. Avere giornali e libri in sloveno comportava l'espulsione da Trieste per diversi anni, ad esempio, comportava la sorveglianza speciale, dove anche per andare al cinema si doveva chiedere l'autorizzazione che veniva negata per film reputati sospetti come quelli di Chaplin. Ma l'ostinazione, giusta, di non voler negare la propria identità e la propria cultura comportava anche il confino, che conoscerà anche se per 40 giorni, in ogni caso cose allucinanti eppure successe, eppure sconosciute dalla maggior parte dell'opinione pubblica occidentale. Basta pensare che sino al 1913 in Venezia Giulia vi erano ben 321 scuole slovene con 46.671 studenti, oltre 40 associazioni slovene, più di 32 riviste solo tra Gorizia e Trieste, per arrivare intorno al '25 all'azzeramento delle scuole slovene incluse le ore supplementari e di tutto ciò che minava l'identità italiana, associazioni, giornali, riviste. Eloquente sarà Bevk a pag 97 del suo libro: “i fascisti con l'annientamento delle scuole slovene, delle associazioni e dei giornali sloveni,con la trasformazione dei nomi di località e con grandi scritte pubbliche avevano ridipinto di italianissima la facciata della regione.E noi scrittori delle nostre opere testimoniavamo davanti al mondo intero che quella era pur sempre terra slovena abitata da gente slovena che a modo suo viveva,pensava e pativa. Questo era per loro come un pugno nell'occhio, come lo smascheramento della loro menzogna,e li faceva imbestialire. Io ero stato solo avvertito, ammonito,ma quello stesso anno venne sequestrato il racconto,sostanzialmente innocente Med srci in zemljo di Budal. Le autorità non si accontentavano del semplice sequestro volevano anche indagare sull'autore”. In quei giorni in cui un libro sloveno, solo per il fatto di essere sloveno, veniva considerato come dannoso o ostile allo Stato”. A Bevk sono state intitolate, per esempio, la biblioteca di Nova Gorica, una scuola statale slovena in Trieste, una via a Savogna d'Isonzo , ma certamente di più si deve e può fare, perché è un nostro obbligo morale, etico e sociale, per tutto quello che come Italia abbiamo fatto patire alla comunità slovena espropriata da quelle terre in cui hanno sempre vissuto, dalla propria identità, dalla propria cultura, semplicemente perché sloveni. 
Certamente continuerò la mia ricerca culturale, ho intenzione nel mio piccolo di andare alla ricerca di diversi libri appartenenti alla cultura slovena, di scrittori sloveni e tradotti in italiano, perché non conosco lo sloveno, affinché possano essere diffusi e conosciuti anche attraverso le riflessioni che si maturano in rete e non solo, affinché si possa capire cosa l'Italia, che si vanta di essere madre di ogni civiltà culla di ogni civiltà, ha cagionato in proprio nome.

Marco Barone

Commenti

  1. non solo se non avevi la tessera del fascio perdevi il lavoro se parlavi in sloveno venivi arrestato come il nonno di mia moglie perché non sapeva l'italiano ma parlava sloveno tedesco ungherese ceco e rumeno

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