Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

I 7 punti di Violante sulla riapertura del caso Moro ed il rapporto tra BR e Sogno

Dopo un periodo di sospensione burrascoso, il 1 agosto del 1980, il giorno antecedente la maledetta strage di Bologna, riprenderà l'attività della Commissione Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassino di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, Verrà ascoltata la signora Eleonora Moro, la seduta ebbe inizio alle ore 10 del mattino e dichiarò che: “Francesco Cossiga è venuto una sola volta quando ‘papà (n.d.a. modo affettuoso con il quale la moglie indica il marito) è stato preso, a dire ‘State tranquilli perché ci penso io e va tutto a posto’. Poiché Cossiga lo conosco da moltissimi anni non ero tranquilla per niente.” Eleonora Moro aggiunge: “Il Governo e la DC non hanno fatto nulla per salvare Moro”.“Berlinguer è stato freddissimo quando è venuto a trovarmi”.  
Passano gli anni, inchieste e contro-inchieste ed il 16 febbraio 2015 l’Archivio storico della Camera trasmetterà copia del resoconto (di libera consultazione) della seduta del 13 maggio 1987 della Commissione parlamentare d’inchiesta sui risultati della lotta al terrorismo e sulle cause che hanno impedito l’individuazione dei responsabili delle stragi, costituita nella IX legislatura e presieduta dall’onorevole Gerardo Bianco, relativa all’audizione di Stefano Delle Chiaie alla nuova Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.
Il 17 febbraio la dottoressa Tintisona – ufficiale di collegamento con la Polizia di Stato – ha presentato quattro note concernenti, rispettivamente, l’autorizzazione richiesta dalla polizia scientifica per l’esecuzione di alcuni accertamenti sull’Alfetta della scorta di Aldo Moro, la demolizione delle autovetture rinvenute in via Licinio Calvo, alcuni verbali e relazioni relative a dichiarazioni rese da persone presenti in via Fani al momento dell’eccidio, l’acquisizione degli elenchi dei reperti relativi al caso Moro. 
Con riferimento alla prima delle suddette note, nel corso della riunione odierna l’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha autorizzato la polizia scientifica ad effettuare gli accertamenti riguardanti l’Alfetta della scorta di Aldo Moro
E' pervenuta dall’Archivio storico del Senato copia di un documento della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi della X legislatura. Si tratta di otto DVD (di libera consultazione) nei quali sono state riversate altrettante videocassette risalenti all’ottobre del 1990 e relative al covo di via Monte Nevoso. Nella giornata di venerdì 6 marzo o di lunedì 9 marzo avrà luogo l’audizione di monsignor Antonio Mennini, nunzio apostolico in Gran Bretagna. Mennini diventato noto per essere stato il “referente dei postini delle Brigate Rosse, Valerio Morucci e Adriana Faranda, per la consegna delle lettere scritte dal presidente della Dc nella «prigione del popolo». Il nome di «don Antonello» peraltro compare nella relazione parlamentare della commissione d'inchiesta sul caso Moro". E' da segnalare che  il senatore Ferdinando Imposimato ha chiesto di programmare la sua audizione successivamente alla decisione del GIP in ordine all’opposizione che, in qualità di legale della signora Maria Fida Moro, ha presentato alla richiesta di archiviazione formulata dalla Procura generale di Roma con riferimento al fascicolo riguardante gli occupanti della moto Honda presente a via Fani al momento della strage.
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Firenze, dottor Tindari Baglione, si è dichiarato disponibile ad intervenire in audizione a partire dal mese di marzo. Tra marzo e aprile saranno, infine, completate le audizioni dei magistrati che si sono interessati al caso Moro. Si tratta, in particolare, di Francesco Monastero, Ferdinando Pomarici, Gian Carlo Caselli, Armando Spataro, Luca Palamara, Giancarlo Capaldo, Giuseppe Pignatone e Carlo Mastelloni. A tali audizioni l’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi ha deliberato di aggiungere anche quelle di Niccolò Amato e di Luigi De Ficchy, che pure si occuparono di alcuni filoni dell’inchiesta sul caso Moro.
Facendo un piccolo passo indietro, è significativo soffermarsi sulla seduta del 17 febbraio 2015  quando si è svolta l'audizione dell'onorevole Violante ed emergeranno con chiarezza quali saranno i possibili se non i probabili punti che guideranno, in parte, la riapertura dell'inchiesta sul caso Moro.
I punti che ora riporterò riguarderanno le indicazioni e le dichiarazioni come fornite da Violante il quale ricorderà che “uno dei vantaggi che ha questa Commissione sia quello di non avere più davanti i responsabili dell'epoca”. Ciò perché lascerebbe intendere che verrebbero meno certe indebite pressioni. Infatti, Violante affermerà che “l'impressione che si ha, leggendo le sue dichiarazioni( Cossiga ndr) e le sue prese di posizione, è che la cosa importante fosse più sconfiggere le BR che trovare vivo Aldo Moro e che la morte di Moro o l'assassinio di Moro potesse accelerare la crisi dell'organizzazione terroristica” evidenziando che “c'era anche difficoltà di raccordo con i magistrati, nel senso che allora – mi permetto di segnalare una questione che forse non tutti conoscono – era considerata una lesione della deontologia professionale del magistrato parlare a un altro magistrato di un processo. Quindi, io non potevo chiedere a un collega: «Scusa, questa scrittura la conosci, l'hai vista ?». Questa era considerata una sorta di lesione, di violazione della riservatezza delle indagini”.

Punto1: mancata collaborazione tra polizia e carabinieri 
“Il 6 maggio 1978 sono identificati e rilasciati Morucci, Faranda e altri terroristi riconosciuti come tali. Il 7 maggio 1978 è fatta una richiesta di perquisizione concessa soltanto il 9 maggio, cioè due giorni dopo. Oggi una richiesta di perquisizione per un sequestro di questo livello è data dieci minuti dopo. Il pubblico ministero Infelisi venne a sapere della scoperta del covo di via Gradoli due ore dopo, e non dalla Polizia che l'aveva scoperto, ma dai Carabinieri che avevano intercettato una comunicazione della Polizia. Quindi, era un problema di collaborazione tra le forze di polizia, che non c'era". 

Punto2: scomparsa atti 
“Scompaiono dagli atti del dottor Infelisi le fotografie scattate da un signore che era posto su un balcone al di sopra del luogo, fotografie ritenute non rilevanti dal dottor Infelisi. Poi credo che alcuni di voi abbiano avuto modo di leggere un'intercettazione telefonica di Freato e Cazora che parlavano tra loro con riferimento a una presenza della ’ndrangheta sul luogo della strage. Dico questo perché la foto presa dall'alto forse poteva consentire di riconoscere questa persona”.

Punto3: auto di Moro 
“L'auto di Aldo Moro venne ispezionata solo dopo cinque giorni dal sequestro e dall'assassinio della scorta. Per cinque giorni questa macchina stette nel cortile della questura e solo al quinto giorno qualcuno andò a vedere cosa ci fosse dentro e scoprì che c'erano altre tre borse, oltre le due che avevano portato via le BR. Ecco, questo è il quadro di incapacità: una Polizia allora abituata più all'ordine pubblico che alle indagini di polizia giudiziaria, mentre oggi magari è abituata più alle indagini di polizia giudiziaria che all'ordine pubblico”.


Punto4: via Gradoli 
“Come sapete via Gradoli viene scoperta perché c’è il famoso telefono della doccia collocato, con il rubinetto aperto, verso un'apertura del muro. Però chi fece questo e perché ? Lo dico poiché quell'appartamento non era una base «fredda», ma c'erano documenti, targhe, come ricordate, quindi c'era qualcuno che voleva far scoprire quella roba. E perché ? Che interessi aveva che venisse scoperta ? Nessuno che abbia occupato una base ha interesse a farla scoprire, per ovvi motivi, dalle impronte digitali a tutto il resto. Quindi era qualcuno che aveva interesse a farla scoprire ed è qualcuno che aveva l'accesso. Perché c'era questo interesse ? Ci fu una rottura nelle BR ? C’è una cosa da capire. Forse qualcuno dei superstiti di quella vicenda potrà spiegare qualche aspetto. O anche perché si voleva dirottare l'attenzione verso quel posto perché doveva accadere qualche altra cosa da un'altra parte, è da vedere. Però, tra tutte le illazioni che sono state fatte su via Gradoli, credo che capire perché qualcuno interno alle BR ha fatto scoprire quella base, con documenti anche importanti e così via, sia una questione non secondaria. A parte questo, credo che non vennero né prese né identificate tutte le impronte che potevano esserci. Allora non c'era la possibilità di rilevare il DNA eccetera, però credo che non venne fatto quel tipo di analisi. La signora Moro, come forse qualcuno di voi ricorderà, dice che avendo chiesto a un funzionario di Polizia per quale motivo avessero ritenuto che alla parola «Gradoli» corrispondesse un luogo piuttosto che una strada, questo aveva risposto che via Gradoli non c'era sullo stradario perché era una via di recente costituzione. La signora Moro lo dice”.

Punto5: tipografia Triaca
“Quanto alla tipografia Triaca, che ha, come sapete, una stampante di provenienza dei servizi di sicurezza, è interessante perché alcuni dicono che il Raggruppamento Unità Speciali era un'articolazione dei servizi. Il responsabile dice che si è trattato di un supporto logistico puro e semplice, di scarso rilievo. In realtà, pare che si trattasse davvero di un nucleo dei servizi di sicurezza. Come una stampante possa passare da un nucleo dei servizi di sicurezza a un'organizzazione terroristica, certo qualcuno lo spiegherà, ma credo che occorrerà perlomeno farsi qualche domanda su questo punto. Devo dire che, come forse ricorderete, quella tipografia aveva anche un'altra macchina che proveniva da un ufficio pubblico, credo del Ministero dei trasporti. È abbastanza singolare che chi svolgeva quel tipo di attività disponesse di macchinari che provenivano da apparati pubblici. C’è poi tutta la sequenza dei documenti non consegnati – adesso forse voi potete acquisirli, e anche alcuni uffici giudiziari li hanno acquisiti successivamente – che riguardano tutte le riunioni che si tennero, quelle del CIS, del CESIS, dei comitati di crisi e così via. A noi ne consegnarono pochissimi, ma poi in realtà gli altri sono stati trovati successivamente. Leggendo quei documenti si vede una straordinaria improvvisazione. Sembrava quasi che non interessasse trovare... Devo dire che c'era anche un'impreparazione. Forse alcuni di voi – magari i meno giovani – ricorderanno che capitò varie volte che durante le perquisizioni delle auto dimenticassero il MAB, il mitra, nel portabagagli. Quindi, nel posto di blocco successivo la macchina veniva fermata e trovavano il mitra dentro. Ci furono alcuni problemi da questo punto di vista. Era una struttura non adeguata a questo tipo di operazioni”.

Punto6 : luogo della prigionia di Moro 
“Il luogo della prigione è rimasto un mistero. Certamente non può essere stato sempre la base di via Montalcini, che era un appartamento piccolo, ristretto, mentre il corpo del presidente Moro risultò essere tonico, non di chi sta cinquantacinque giorni legato a un letto, insomma. Tuttora, credo che quello sia uno dei grandi punti interrogativi della vicenda e che sia un punto significativo. Ricordo che nel luglio 1979 il SISDE riuscì a effettuare un'intercettazione ambientale di una conversazione tra due brigatisti detenuti all'Asinara in cui uno diceva all'altro che Moro era stato tenuto bene, trattato bene, mangiava, beveva, camminava, quindi non poteva essere stato imprigionato in un ambiente angusto come a via Montalcini. Circa la base di via Montalcini, quello è un altro punto interrogativo, perché la perquisizione ne fu disposta soltanto quando la proprietaria Braghetti se n'era andata: aspettarono da luglio ad ottobre. A luglio ebbero segnalazione che lì ci poteva essere una base terroristica, due funzionari dell'Ucigos, se non ricordo male, andarono a interrogare tutti i condomini per sapere chi fosse la persona che vi abitava. Ora, se c’è una lotta da fare al terrorismo la si fa, non si chiede ai condomini se si può fare o meno”.

Punto7: Scioglimento Ispettorato Antiterrorismo
“L'ultimo punto sul quale mi permetto di richiamare l'attenzione della Commissione è il problema dello scioglimento dell'Ispettorato antiterrorismo, allora diretto dal questore Santillo (a me capitò di lavorare come magistrato con questa struttura). Tale organismo era caratterizzato da un'intelligenza di questo tipo: è inutile avere un corpo massiccio; è bene invece avere un corpo di polizia fatto di 25, 30, 40 persone capaci di muoversi sul territorio. Dove c’è bisogno, ad esempio, di fare trenta perquisizioni per il tale giorno, si chiamano uomini che sappiano fare quel lavoro, e l'Ispettorato li mandava. Quindi, magari servivano a Napoli, poi a Roma e via dicendo. Quel corpo cominciava a recuperare la mancanza di scambi di notizie che caratterizzava gli uffici giudiziari, perché c'era una base che, facendo quel tipo di operazioni, acquisiva tutte le informazioni e le restituiva ai singoli uffici: riferiva che, ad esempio, su una tale persona stava lavorando anche Padova o Verona o Roma o Napoli, e questo aiutava nel lavoro. Successivamente il corpo fu ristrutturato meglio e costituito, se non ricordo male, di quattro divisioni: una divisione riguardava il terrorismo di sinistra, una il terrorismo di destra, una quello internazionale e la quarta era questa struttura mobile che, ripeto, era di grandissima utilità e intelligenza strategica”.

É da evidenziare anche il confronto che è emerso in tale seduta tra Violante e Grassi.

GERO GRASSI domanderà a Violante “lei ha detto che le due borse del 16 marzo, a differenza di quelle rinvenute alcuni giorni dopo nell'automobile, furono portate via dalle BR. Come fa a sostenere una cosa del genere ?”

LUCIANO VIOLANTE. "Dopo che Moro venne ucciso, vennero restituiti alla famiglia alcuni documenti od oggetti che erano in quelle borse. Scusate, sto andando a memoria".

GERO GRASSI. "È vero. Sapevo che era questa la ragione, ma volevo una conferma da lei. Riguardo alla base di via Gradoli, lei giustamente si chiede per quale motivo e chi ha deciso di farla scoprire. A questo proposito si ipotizza che ci sia stata una scientifica azione interna alle Brigate Rosse. Quello che non si dice, invece, è che nel covo di via Gradoli le bombole del gas – all'epoca non c'era il gas di città – le portava il signor Enzo Gismondi, che era un sottufficiale dei Carabinieri. E quello che non si dice, inoltre – ma ci sono interrogatori dei coinquilini di via Gradoli che lo attestano – è che Moretti spesso era visto parlottare la mattina con il signor Arcangelo Montani, che aveva tre caratteristiche: abitava dello stabile di fronte al 96 (via Gradoli, per chi non la conosce, è larga poco più di tre metri e mezzo); era di Porto San Giorgio come Moretti; era nato tre anni prima di Moretti, ma soprattutto faceva il maresciallo dei Carabinieri. Arrivo alla domanda. La sua conoscenza, la sua esperienza esclude che la base di via Gradoli possa essere stata conseguenza di un'informazione delle stesse forze dell'ordine ?"

LUCIANO VIOLANTE. "Scusi, escludo che la conoscenza... ?"

GERO GRASSI. "Che la possibilità della scoperta di via Gradoli sia conseguenza di una «delazione» delle stesse forze dell'ordine ?"

LUCIANO VIOLANTE. "Guardi, in questo campo non si può escludere mai nulla. Tutti i dati vanno presi, valutati uno per uno con grande freddezza, senza ipotesi precostituite. Certamente, mi permetto di dire, se fosse venuta una soffiata, non ci sarebbe stato bisogno del marchingegno della doccia. Però, guardi, in queste vicende può darsi tutto. Certamente, però, se questi sono signori che parlavano con un capo delle BR, avrebbero dovuto denunciarlo subito, no ? Invece lo fanno successivamente. Quindi, può darsi anche che si siano incrociati vari elementi. Quello che allora mi fece sollevare qualche incertezza che oggi qui ho confermato, è la precostituzione del ritrovamento della base con i documenti dentro, sulla base del principio che se io faccio il terrorista e sto in una base lascio il meno possibile dentro. Basti pensare a quello che fece Riina a casa sua, cioè il fenomeno opposto. Lì non si trovarono neanche le mattonelle e i muri, in questo caso invece si trovarono i documenti e le targhe".

GERO GRASSI. “L'ultima domanda che voglio farle riguarda via Montalcini. Moretti non ha mai affermato che la base in cui era stato tenuto Moro fosse in via Montalcini. L'hanno detto altri, ma Moretti non l'ha mai detto. Lei ha giustamente ricordato una fase molto lunga tra il 9 maggio e la scoperta del covo, con una morte sospetta, quella dell'ingegner Manfredi, che aveva testimoniato, e la cui moglie, vivente, non vuol più sentire parlare del caso Moro. Al riguardo, c’è un elemento da segnalare: l'appartamento di via Montalcini fu venduto per procura dalla Braghetti e l'atto notarile lo fece un notaio. Quel notaio era stato fino a pochi mesi prima dipendente del Ministero degli interni. Nella storia di Moro ci sono due notai che da ex dipendenti del Ministero degli interni fanno contratti anomali. Lei sa che il contratto di vendita di via Montalcini fu stipulato per procura da parte della zia di Laura Braghetti. Le cito questo episodio per suffragare la sua giusta sensazione che tra la scoperta del covo e l'apertura da parte delle forze dell'ordine passò un tempo immemorabile”

LUCIANO VIOLANTE. “Via Montalcini è possibile che sia stata una base in cui custodire e tenere Moro, ma non credo per molto tempo, per le ragioni che ho detto prima, ossia perché il corpo dell'onorevole Moro non era un corpo indebolito dalla stasi. Questo è impossibile. Devo dire che in tutte queste vicende, come ho accennato all'inizio, parlando in buona fede, non tutto è coerente. Non tutto può essere coerente, trattandosi di vicende molto complesse. Furono condotte con un tale disordine che certamente è così. Resta il fatto che quella base suscita notevoli interrogativi, soprattutto se lei fa il parallelo con la base di via Gradoli. Una base è pulita, non c’è nulla, ed è via Montalcini. L'altra è, invece, piena di elementi. Visto che lei fa riferimento alla vendita, ci ponemmo il problema allora, come magistrati, di come fare per trovare le basi delle BR. Allora fu varata quella norma, che qualcuno ricorderà, che stabiliva che bisognasse denunciare gli ospiti entro un dato numero di giorni. Chiedemmo che venisse fatta quella norma”.

Interessante annotare una delle piste che segue la Commissione citata, il possibile legame tra la vicenda Sogno ed il terrorismo così detto rosso

PRESIDENTE. “Affronto una questione per un canale che stiamo seguendo, che riguarda la vicenda di Edgardo Sogno e degli eventuali coinvolgimenti o rapporti con gli ambienti dell'eversione di sinistra delle BR. La domanda è in relazione, in particolare, a un libro, Gli infiltrati nelle Brigate Rosse, scritto da Roberto Bartali, che forse conosce, in cui si mette in evidenza come, secondo Franceschini, Mara Cagol fosse stata messa in contatto con una persona di estrema fiducia di Corrado Simioni, tal Dotti. Questo Dotti era lo stesso del necrologio sul Corriere della Sera, della Terrazza Martini ed era la persona a cui la Cagol doveva consegnare le schede delle BR e a cui si doveva rivolgere se aveva bisogno di soldi. Questo ci serve per avere uno spaccato, perché, come dicevamo ieri nel colloquio informale, le organizzazioni trasparenti sono difficili da infiltrare. Quelle segrete sono molto permeabili e molto infiltrate. L'altro aspetto è se sono a sua conoscenza rapporti di investigazione tra la strage di via Fani e l'omicidio del giornalista Casalegno, la cui istruttoria fu fatta dall'autorità giudiziaria torinese".

LUCIANO VIOLANTE. "A me non risulta nulla che possa riguardare il rapporto tra Edgardo Sogno e organizzazioni di estrema sinistra, anzi, Sogno si pose a un certo punto in un altro schema. Mi riferisco al problema di impedire ed evitare che la sinistra italiana, cui lui addebitava anche delle responsabilità per i primi segni che ci furono allora. Erano ancora segni minimi, nel 1973-74, di queste cose, ma, per quello che ne so io, escluderei del tutto questa possibilità. Sogno, in un libro-intervista che ha poi rilasciato, ha riconosciuto pienamente di aver organizzato quel tentativo di colpo di Stato. La questione si pone in correlazione con tutto ciò che si agitava all'epoca in Italia. Rileggendo con calma l'interrogatorio di Delle Chiaie, si vede che egli anticipa molti anni prima la vicenda Gladio. Dice che c'erano persone, partigiani bianchi, sinceramente anticomuniste, come è legittimo in democrazia, ed altre che si erano organizzate in strutture segrete per prevenire quell'eventualità. Le dichiarazioni di Andreotti verranno molto tempo dopo. Allora non capimmo di che cosa si trattava. Può darsi che Sogno fosse – a me non risulta – dentro quel tipo di strutture, ma non mi risultano assolutamente rapporti con il terrorismo di sinistra. So che le BR avevano delle informazioni, delle schede su Sogno. In un sequestro che si fece a Torino venne fuori quel materiale, ma lo vedrei in senso antagonistico, non nel senso di colleganza".

GERO GRASSI. "Si riferisce al sequestro di Vittorio Vallarino Gancia ?"

LUCIANO VIOLANTE. "Sì, mi riferisco al sequestro Gancia".

PAOLO CORSINI. " E la questione di Casalegno ?"

LUCIANO VIOLANTE. "Qual era la questione Casalegno, per capire meglio ?"

PRESIDENTE. "L'autorità giudiziaria torinese fece tutte le indagini sull'omicidio di Casalegno. Vorremmo sapere se lei ha memoria, nel corso di quelle indagini, di vicende che riguardarono via Fani"

PRESIDENTE. "L'ultima questione riguarda via Gradoli e, in modo particolare, il ruolo svolto dalla famiglia Conforto nel caso Moro. La proprietaria dell'appartamento di via Gradoli era Luciana Bozzi, legata da un rapporto di amicizia con Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, il cui nome figurava nella lista Mitrokhin. Giuliana Conforto era la proprietaria di un altro covo, in cui furono arrestati Valerio Morucci e Adriana Faranda; anche per la zia di Giuliana Conforto si è ipotizzato, nei lavori della XIII legislatura, un coinvolgimento in relazione a un deposito di armi di terroristi di sinistra. Chiedo se nella sua memoria c’è qualcosa di particolare".

LUCIANO VIOLANTE. "No".

Sarebbe interessante,a parer mio, riaprire anche il caso Calabresi, perché a dire la verità sussistono molti dubbi e perplessità su quella vicenda rispetto alla verità giudiziaria, a partire dalla dinamica dell'omicidio, dall'incidente avvenuto durante la fase dell'omicidio, ad oggetti rinvenuti dalla proprietà misteriosa e non solo.

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