Due
colpi di pistola all'angolo della via che conduce sulla
strada Francesco Giuseppe cambieranno la storia del mondo. Due colpi
di pistola che determineranno la diabolica goccia che trascinerà il
mondo nella prima guerra mondiale ed a tutto quello che, drammaticamente, ne conseguirà.
Tante anomalie accaddero in quel giorno di giugno a Sarajevo. C'è
chi dice che l'autista non era stato informato del cambio di
tragitto, c'è chi dice che l'autista aveva sbagliato strada, c'è
chi dice che la polizia non aveva fatto nulla per impedire il
passaggio “errato”. Mano
del terrorismo nazionalistico, si dirà. Pretesto
per punire un popolo intero, pretesto per domare una terra utile
nello scacchiere dell'imperialismo Imperiale. Una
guerra, due guerre, tante piccole e frammentate guerre, tra
dittature, rivoluzioni, lotte rivolte e quello che non è riuscito a
scatenare quel giorno, l'11 settembre del 2001, poi Londra e Madrid, forse riuscirà a
scatenarlo il 7 gennaio 2015. Anche
qui tante anomalie, anche qui mano di una sorta di terrorismo che non
nasce certamente dal nulla, anche qui il pretesto di punire, domare
per. I
fatti di Parigi non riguardano la libertà di pensiero, neanche la
libertà di stampa, non riguardano i principi di libertà,
uguaglianza e fraternità nonché quello di solidarietà come
affermato a Place de la République. No. E non è neanche una
questione di religione, da sempre “oppio dei popoli”. E' una
questione vecchia come il mondo, talmente vecchia che pur di negarla
la si circoscrive strumentalizzando dolore, sofferenza ed anche la
morte. A
Parigi nella nota manifestazione di domenica 11 gennaio sono accadute
due cose importanti e rilevanti. La prima è stata quella di un
popolo che ha risposto all'appello governativo, e ricordiamolo bene,
di scendere in piazza per la solidarietà, ed il popolo di Parigi ha
risposto evocando la bellezza dei principi della rivoluzione
francese, che poi ci siano stati più rivoluzionari ghigliottinati
nella storia di Francia che controrivoluzionari questo poco importa. E
quella forza, e quell'ideale è stata la spinta del muro di guerra
che ha camminato, salutando i francesi sui balconi, con visi
teatrali e tesi, per la guerra, quella che non riguarda il figlio
mostro dell'occidente, il terrorismo che strumentalizza la religione
per altri fini, come se poi nel corso della storia la religione
cattolica non abbia mai sporcato, tramite crociate di ogni natura, le
proprie mani con il sangue altrui, ma quella guerra che
riguarda attori che in quel dì a Parigi erano in secondo piano,
dietro le quinte, altri assenti. USA,
Russia, Iran e Cina, prima di ogni cosa. Le
ragioni sono sempre le stesse. Gli
schemi anche. Ma
con una differenza. Questa volta è stata l'Europa a reagire con lo scudo di Parigi, uno scudo che alle porte di questa primavera non farà
tremare il mondo per le rivoluzioni, per il sol dell'avvenire, ma per
quella guerra che è voluta, desiderata ed ora anche invocata da
buona parte del sistema tramite le sue articolazioni. Quell'Europa che ha alzato la testa, dimostrando di essere autonoma nelle proprie eroiche gesta, però poi nel momento dei momenti si chinerà, le decisioni che contano e che pagheremo tutti noi, dovranno essere prese nella casa al di là dell'oceano. La Grande guerra ebbe come elemento determinate, nella politica di propaganda, il nazionalismo, il patriottismo. Quella in cui stiamo cadendo ha molte analogie con la Grande Guerra, dalla causa scatenante, ai nazionalismi, all'imperialismo, alle intolleranze, allo scontro tra capitalismi per la propria sopravvivenza. Eppure si parla di guerra con una facilità così cruenta che dovrebbe indurre all'orrore. La guerra è orrore, la guerra è crimine contro l'umanità. E' innegabile che vi è una parte di Occidente che non aspetta altro e la propaganda è iniziata a colpi di bombardamenti univoci ed omologati mediatici. Propaganda che ha trovato nel cuore dell'Europa, nella mitica ed epica Parigi, soggetto ed oggetto dei nostri meravigliosi sogni, la possibilità di risvegliare alla velocità indomabile sentimenti univoci di accettazione dell'inevitabile tramite il peggior cavallo reazionario di Troia esistente, la religione e lo scontro tra civiltà. Si propone, addirittura, l'imposizione dell'italiano nelle moschee, principio, e scrivo da ateo, che ricorda molto il processo di italianizzazione nel Confine Orientale durante il fascismo. In quel tempo il motivo era l'imposizione della lingua italiana per motivi di nazionalismo finalizzati a sradicare l'identità secolare di comunità da sempre radicate nel territorio,a cui venne proibito, anche nelle Chiese, di utilizzare la propria lingua, oggi, con la scusa del terrore, della paura, e nel nome della sicurezza nazionale, si impone un ragionamento similare da rispedire totalmente al mittente.
Vogliono farci sentire in guerra per legittimare quella guerra che ancora non è iniziata e che si può evitare e fermare. E nel mentre di tutto ciò non si può che anche cogliere l'attimo della reazione che nel solito nome della sicurezza, paradossalmente, andrà a colpire proprio quella libertà di espressione, stampa e pensiero che, con viva ipocrisia, si è difesa per le strade d'Europa in questi giorni. Internet è sempre nel mirino e lo saranno anche concetti e paroline che in via massiva rischiano non tanto di favorire il così detto terrorismo fascista del nuovo millennio, ma rivolte, dissensi, condivisioni critiche contro quel sistema che fomenta paure per preservare se stesso. Certo,
esiste sempre la possibilità che tutto quello che ci è stato
prospettato sia corrispondente all'apparire e vivremo in un mondo con
più libertà, fraternità ed uguaglianza, ma chi ci crede realmente? Eppure la storia dovrebbe aver insegnato qualcosa, dovrebbe aver insegnato quanto sono tremende le guerre, anche quelle che si fanno a casa di altri e non solo nostra. Dovrebbe aver insegnato che tutto questo lo si può e lo si deve fermare quando giungono i primi segnali, e di segnali ve ne sono molti, tanti, troppi e non li si devono ignorare. L'indifferenza e l'ignoranza ucciderà l'umanità. A differenza del maledetto 11 settembre 2001, con il passaggio di mezzo di Londra e Madrid,e con il contorno di quelle realtà continuamente massacrate a cui noi occidentali nulla realmente interessa, Parigi ha edificato lo scudo d'Occidente con la forza della paura del suo popolo e la lancia è pronta, pronta per colpire. Eppure la soluzione vi era e vi è, sostenere processi di resistenza, ad oggi volutamente isolati, come quelli di Kobane, che contrastano il capitalismo, l'imperialismo, il fondamentalismo religioso, nel nome della laicità, dei diritti umani e di quel modello sociale che proprio non si deve osare, chiamalo socialista o comunista od anticapitalista. Modello che resiste combattendo contro quella realtà che è figlia del capitalismo, dell'imperialismo, del fondamentalismo religioso, il così detto Isis, per esempio. Però, la domanda è ovvia, come può il capitalismo sostenere modelli di lotta anticapitalista? Intanto, suggerisco la lettura di questo post:
La guerra all’#ISIS, il ruolo del #PKK e la zona autonoma del #Rojava pubblicato su GIAP a cura di Wu Ming , nonché di questo
reportage Di ritorno dal KURDISTAN…Confine Con la Siria a cura di alcuni militanti Cobas che tra le altre cose hanno visto con i propri occhi che "in Rojava si sta sperimentando una forma di uguaglianza tra i generi che, dice, non è molto diffusa neanche nei paesi occidentali. Tutti i ruoli sono infatti condivisi al 50% tra uomini e donne, in campo politico, culturale, educativo e militare...".
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