Il territorio ronchese durante le drammatiche vicende della seconda guerra mondiale ha pagato dazio pesantemente soprattutto per il contributo dato da diverse famiglie nella lotta di liberazione. Decine di famiglie hanno visto spezzato il proprio legame, non hanno potuto veder crescere i propri figli, fratelli, sorelle perchè la guerra non conosce pietà alcuna. Tra le famiglie che maggiormente hanno lasciato il segno nella storia non solo locale ma anche internazionale c'è sicuramente quella dei Fontanot. Su cui sono stati scritti diversi libri, realizzati documentari e intitolate vie in diverse località. Eppure al cimitero di Ronchi non si può restare indifferenti allo stato attuale in cui si trova la tomba dei Fontanot. Scritte purtroppo totalmente illeggibili e alcuni segni di cedimento della struttura tombale. In quella tomba, si riportano i nomi di Fontanot Regina, Fonanot Licio, Fontanot Giovanni, Fontanot Maria, Fontanot Enea, Fontanot Armido, Fontanot Vinicio e Fontanot ed ...
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La cantada de Vermean, dalla polka bisiaca all'inno alla vinassa
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Triestini, furlani, bisiachi, ma a quanto pare in questa edizione anche austriaci, olandesi ed altri nordici, tutti uniti dopo il mezzogiorno di vino, rigorosamente nero e de quel bon. Il maestro sul palco, alle spalle il suonatore di Doberdò, alle cui spalle domina la chiesa di Santo Stefano nel giorno di Santo Stefano. Pagine della cantada sfogliate dall'aiutante, e la piazza canta e come canta. Una cosa del genere per capirla, la si deve vivere.
Se non la vivi neanche la più illuminante immaginazione può arrivare alla incredibile realtà di Vermean di Ronchi.
Le origini della cantada risalgono a tanti e tanti ed ancora tanti lustri fa. Qualcuno vocifera che gli uomini mentre aspettavano che le donne uscissero dalla messa, cantavano, altri che l'origine della cantada risale alla tradizione di cantare sul carro portato da un contadino nel bel bel mezzo della Piazza di Santo Stefano, tra giochi ed allegria nel giorno della festa, altri ricordano che un tempo le case della piazza erano tutte aperte, si entrava nelle case per sorseggiare un bicchiere di vino, la proprietà svaniva e la comunità veniva, altri che una canzone della cantada è stata censurata perché scandalizzava la sacralità della vicina chiesa ed altri,con nostalgia, ancora che un tempo si cantava "i tuoi occhi verdi", da tanti,oggi, sconosciuta.
Voci di corridoio, anzi di strada, spesso accompagnate dal vino, locale e buono e viva socialità, che magari dura quanto questa giornata di allegria, però ancora esiste ed è festa senza siesta. Certo, molti lamentano che la tradizione è compromessa, che, ad esempio, non vi è più la stessa quantità di case aperte di una volta, altri che rischia di divenire una sagra comune, la tradizione merita di essere salvaguardata e sicuramente con l'impegno della comunità questo avverrà, però la cantada è un qualcosa di così unico e raro, che solo qui in Bisiacaria poteva nascere e vivere.
Chi con il foglio in mano a seguire i versi delle canzoni, il cui repertorio è vario, si parte con "Paesanella" per continuare con altre canzoni tradizionali, come "Ancora un litro de quel bon", "La Valsugana", "le mule de la fabrica", da molti ricordata semplicemente con "chi che parla mal de Ronchi" il cui verso poi continua, "no xe degno del so pan, e nol pensa a quel che 'l dise o 'l servel no 'lo ga san", alla mitica "Mula di Parenzo", che ha riscaldato gli animi della piazza, al superbo ed anche sfigato "El tran de Opcina", per poi concludere dopo altri canti di omaggio al vino con la stupenda ma anche tragica, per il suo contenuto, "Jukeilì Jukeilà" di cui ora segue video...
Insomma la cantada è un capolavoro di socialità, dove il sentimento della comunità è vivo e dove canzoni popolari, dai contenuti variegati, tramandano nel tempo cultura, gesta, passioni di un tempo, fatti anche di cronaca ed ilarità che raccontano la vita di queste terre nel corso di epoche vive nella memoria di una moltitudine di persone che con la musica, il canto e l'allegria e qualche fiasco o bicchiere di vino vengono consegnate alle nuove generazioni che dovranno farne tesoro per non dimenticare.
Come calcolare capienza di una piazza durante manifestazione? La matematica non è una opinione qualcuno disse... 1) per un calcolo della superficie e della capienza, il limite preso di misura è un numero di 4 persone/mq, 2) Piazza del Popolo ha una metratura di di 17.100 mq con una capienza massima e teorica di 68.400 ; 3) Piazza san Giovanni ha una superficie di 39.100 mq, con una capienza totale, quindi, di 156.000 persone. Direi che è arrivato il momento di non dare più i numeri... Marco B. MANIFESTARE A ROMA, QUANDO I PARTITI DANNO I 'NUMERI' - La fisica, con il principio della impenetrabilità dei solidi, insegna che due oggetti non possono occupare lo stesso spazio. Eppure c'é chi ritiene che questo classico teorema non si applichi alle persone, soprattutto se convocate in un determinato luogo ad esprimere pubblicamente la loro opinione politica. Fuor di metafora: quando si tratta di conteggiare i partecipanti alle manifestazioni, i partiti "danno i numeri"...
Il 13 novembre in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale della Gentilezza, nata da una conferenza del 1997 a Tokyo e introdotta in Italia dal 2000. Per questa propongo una storia per le classi di scuola primaria. La storia che segue, ambientata a Trieste, ha per protagonisti tre supereroi ed una nonna, Rosellina. Il disegno è stato fatto in una classe di una scuola dove la storia è stata letta. mb I tre supereroi e la nonnina Rosellina C’era una volta, anzi no. C’erano una volta tre supereroi. Avete presente quelli con i super poteri che si vedono nei film? Nei cartoni animati? Nei fumetti? Sì, proprio loro. E si trovavano in una bellissima città italiana, Trieste. Non erano mai stati prima a Trieste. Rimasero stupiti nel vedere quanto era lungo il molo sul mare, e quanto era enorme la piazza con due alberi di due navi dove sventolavano le bandiere, ogni tanto. Dopo essersi fatti un selfie sul molo Audace che è costruito sui resti di una vecch...
Trieste, Triest, o Trst, Udine, Udin, Weiden o Viden. Due città distanti poco meno di 100 km. Con una cultura profonda, una storia complessa, che ancora oggi divide. Due città capoluogo di due regioni differenti, con identità differenti, il Friuli, Udine, la Venezia Giulia, Trieste per fondersi e confondersi con una mescolanza spesso mal digerita nell'unità del Friuli Venezia Giulia senza più alcun trattino divisore passando dal cuscinetto della Bisiacaria. Nonostante nel complesso si sia in una regione poco più piccola della sola provincia di Bari per popolazione. La sua area è pari a 7.924 km² cioè di poco superiore alla provincia di Sassari o Torino o Cosenza o Bolzano ad esempio. Ma con o senza trattino la divisione e la rivalità tra queste due città esiste, persiste e resiste. Dai dileggi, ai giochi, dallo sport, dal basket al calcio, a tutto ciò che può portare alla rivalità. Due bellezze contrapposte se non opposte, dalla bora di Trieste all'eleganza di Udine, ...
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