Li
classificano, etichettano, normano, come casi di suicidio.
Ed, ahimè, sono sempre di più.
A
livello di immaginario collettivo è spesso, la condotta del
suicidio, ferma, immobile e relegata alla vicenda strettamente personale dell'individuo che ha deciso di porre fine alla propria esistenza. A
livello di immaginario collettivo, di percezione sociale, il suicidio,
proprio perché tale, deve essere coperto dal velo del silenzio, per
il rispetto del lutto, un silenzio che alimenta l'omertà mai sazia
di essere tale, un silenzio che sarà l'ennesimo atto irrispettoso nei confronti di chi è stato ucciso. Io
penso che le cose devono essere chiamate con il loro nome e punite e
represse con il loro nome affinché si possa, prima di ogni cosa,
intervenire in modo condiviso, diffuso, sistemico, a livello sociale,
per contrastare un fenomeno che non è fenomeno temporaneo, ma la
realtà che non si vuole vedere.
Nasci
in un contesto chiuso, vivi in un Paese ove l'omofobia, che è razzismo, esiste ma dall'alto dei poteri del sistema è negata oppure minimizzata, e dal basso della società è altamente diffusa e diabolicamente praticata, vivi in un Paese dove l'atto della
confessione assolve ogni peccato e libera la tua coscienza da ogni
malanno sociale, ma vivi anche in un Paese dove una certa religione
tradizionale e conservatrice fomenta quell'omologazione da cui nasce l'odio, l'odio verso il diverso
che diverso non è semplicemente perché siamo tutti esseri umani e
liberi di essere tali.
Ti
diranno che devi andare a farti curare da uno psichiatria,
pregheranno il loro dio perché tu possa cambiare, possa ritornare
sulla “giusta strada”, lanceranno anatemi contro chi lotta per i
tuoi diritti che poi sono i diritti per una società giusta e civile,
dunque di tutti, e non riusciranno neanche a pronunciare quella
parola, perché tu sarai semplicemente quella cosa.
Quella
cosa è l'omosessualità.
Giorno
dopo giorno,violenza dopo violenza, quasi sempre consumata
all'interno del nucleo conservatore familiare, perché tu pretendi di
essere accettato, perché tu pretendi di non essere rifiutato,
piangerai, o ti isolerai o ti negherai.
Non
potrai vivere la tua vita in modo libero.
Non
potrai essere libero.
Ma
tu vuoi semplicemente essere ciò che sei.
E
la società, che corre e scorre oltre quelle mura, oltre quella
porta, è cattiva.
Una
cattiveria che ti farà sentire diversamente diverso, quasi un
soggetto alieno rispetto all'omologazione apparente di questa epoca
ipocrita e negazionista della dignità umana e di ogni diritto
civile.
Ma
tu devi andare oltre quel nucleo, devi rompere quel cordone, devi
staccarti da quel muro che non potrai mai demolire .
Si deve trovare la forza di andare contro il giudizio ed il pregiudizio, contro l'ignoranza e la cattiveria, ma non da soli, bensì insieme.
Perché
altrimenti sarai tu ad essere demolito.
Esistono
realtà associative fondamentali, esistono persone che contrastano,
ogni santo laico giorno, questa negazione dell'esistenza.
Bussa
a quella porta.
Bussa
a quella porta e non sarai più solo.
La
solitudine dovuta a quelle violenze psicologiche tremende, disumane,
che hai subito, patito, rischiano di condurti, nella fragile e comprensibile umanità, alla morte.
Lo
chiamano suicidio.
Ma
è omicidio. La
tua morte è stata cagionata come conseguenza di una mera azione
violenta e consapevole e cosciente. L'assassino, sia individuo che società,
risponderà di quel fatto proprio, deve rispondere di quelle violenze
che tu hai subito, non è solo violenza un cazzotto, non è solo omicidio l'atto fisico diretto finalizzato a sopprimere la tua vita, la più grande
violenza è il violentare la tua esistenza, il tuo essere.
Tanti
casi di suicidio chiusi in un cassetto e dimenticati od archiviati come semplice suicidio. Ma
noi quel cassetto lo dobbiamo aprire.Dobbiamo
denunciare, dobbiamo urlare al mondo intero perché è successo, e
perché ciò non si ripeta mai più.
Un mai più che possa essere realmente mai più e perché tale mai più sia tale si deve comprendere che non si tratta di vicenda individuale o personale, ma sociale, collettiva.
L'omertà
ucciderà ancora. Eri
semplicemente te stesso, perché hai conosciuto e vissuto te stesso,
perché la tua omosessualità non è stata accettata. Ed uno Stato
che non è in grado di legiferare in materia è il primo ad essere
responsabile della tua tremenda morte.
A
Roma il giorno 7 dicembre 2013 alle ore 15.00 in Piazza SS Apostoli
ci sarà un grande grido “per le persone lesbiche, gay e
transessuali, e per coloro che vogliono uscire dal medioevo culturale
di questo Paese”. Gli organizzatori della manifestazione scrivono
anche che “l'unica strada è portare avanti con coerenza e dignità
un progetto che chiede uguaglianza di diritti, riconoscimento
giuridico e sociale delle relazioni, la salvaguardia dell'integrità
individuale, di coppia e collettiva. Il tempo dei diritti è questo e
nessun compromesso e dilazione sono accettabili. Scenderemo nelle
piazze delle città d'Italia per rivendicare un sistema di leggi che
garantiscano le libertà, l'autodeterminazione, i diritti civili!”.
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