Il Comune di Ronchi "adotti" la tomba storica della famiglia Fontanot e le tombe storiche a rischio oblio del cimitero

Immagine
Il territorio ronchese durante le drammatiche vicende della seconda guerra mondiale ha pagato dazio pesantemente soprattutto per il contributo dato da diverse famiglie nella lotta di liberazione. Decine di famiglie hanno visto spezzato il proprio legame, non hanno potuto veder crescere i propri figli, fratelli, sorelle perchè la guerra non conosce pietà alcuna. Tra le famiglie che maggiormente hanno lasciato il segno nella storia non solo locale ma anche internazionale c'è sicuramente quella dei Fontanot. Su cui sono stati scritti diversi libri, realizzati documentari e intitolate vie in diverse località. Eppure al cimitero di Ronchi non si può restare indifferenti allo stato attuale in cui si trova la tomba dei Fontanot. Scritte purtroppo totalmente illeggibili e alcuni segni di cedimento della struttura tombale. In quella tomba, si riportano i nomi di Fontanot Regina, Fonanot Licio, Fontanot Giovanni, Fontanot Maria, Fontanot Enea, Fontanot Armido, Fontanot Vinicio e Fontanot ed ...

Pensavamo fosse una "gita", finimmo nei campi di concentramento

Mario è una testimonianza storica vivente pazzesca. Quando parla, lo ascolti. Tutti si fermano. Non racconta sempre le stesse storie Mario, perchè la sua storia, è così grande e complessa, che ogni volta si aggiunge di particolari diversi che se non ne cambiano il succo, amaro, sicuramente, è come se fosse una storia diversa. Particolari che ti aiutano a comprendere cosa è successo in quel tempo maledetto del '900 sotto il nazifascismo.
Il secondo "carico" delle deportazioni è quello che ha interessato Mario, a Ronchi. Il primo avvenne a Soleschiano nel febbraio del '44. Se ne è parlato per la prima volta in questo blog dopo una ricerca.
Racconta Mario che erano lì sul camion, pensavano di andare a fare una "gita", una esperienza di vita diversa in Germania. Sapevano che avrebbero evitato il Coroneo di Trieste, il carcere dove non sempre si usciva vivi. E per questo erano contenti. Anzi, racconta Mario, che qualcuno quando li vedeva sul camion, era tentato di salire, perchè si pensava di andare a lavorare in Germania, a vedere per la prima volta quel Paese che nella memoria delle famiglie chissà quante volte sarà stato raccontato con il vecchio mito dell'Impero alleato della Germania. Caricati poi sul treno merce, erano in ogni vagone una cinquantina di persone, scortati, su ogni vagone, da due carabinieri armati di fucile. Dice Mario che i carabinieri, sottovoce, gli dicevano di non scappare. Non sa dire che fine fecero poi quei carabinieri che li accompagnarono fino ai campi di concentramento in Germania. Erano lì con le porte aperte, in qualsiasi momento potevano scappare. Nessuno lo fece. Nessuno scappò, pur avendone la possibilità. Un viaggio di due giorni in quel fine maggio del '44, il cibo e l'acqua gli vennero forniti dalle suore, durante una sosta, e poi, quando arrivarono a Dachau, ricorda sempre Mario Candotto, con il suo umorismo, con cui cerca di sdrammatizzare quell'incubo, che un deportato, come lui, quando vide una persona venirgli incontro con la divisa a righe, disse, ci vengono a salutare con il pigiama. Si resero conto di tutto, quando scesero dal treno, partito da Trieste. Quella Trieste che attende ancora il suo binario 21. In fila, con i cani tenuti al guinzaglio dai nazisti.E lì è iniziato il terrore. Pensavamo fosse una "gita", finimmo nei campi di concentramento. E quel due giugno, era il giorno in cui Mario festeggiava il suo compleanno. Nacque il 2 giugno 1926. Vennero prese in quel 24 maggio del 1944, purtroppo, 70 persone, tra cui praticamente tutta la famiglia di Mario. Suo padre, sua madre e due sorelle. Gli altri due fratelli erano partigiani.
mb

Commenti

Post popolari in questo blog

Come calcolare capienza di una piazza durante manifestazione?

Una storia per bambini della scuola primaria nella giornata Mondiale della Gentilezza

Quale la città più bella tra Udine e Trieste?