Via Sant'Ambrogio una via alla ricerca della sua identità

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Un tempo via del Duomo, o del Teatro, oggi via Sant'Ambrogio che porta lo stesso nome del duomo consacrato dopo i disastri della prima guerra mondiale nell'ottobre del 1929, pur senza il campanile che dovette attendere la fine degli anni '50 per essere battezzato. Una via che nel corso della sua storia è sempre stata da transito di merce e persone e che è diventata negli ultimi tempi il teatro dello scontro identitario di una Monfalcone alla ricerca del proprio equilibrio sociale. Perchè è evidente che a Monfalcone, terra di passaggio, da quando è diventata grazie ai Cosulich città dei cantieri, per questo contesa dal regno d'Italia all'Austria, per privarla dei suoi cantieri insieme al porto triestino, ha conosciuto quelle dinamiche proprie delle città portuali. Gente che viene, gente che va. Approdo e partenza di nuove identità. Dal Sud Italia, all'Asia, passando da quel centinaio di nazionalità che a Monfalcone stanno cercando il proprio equilibrio, ognuna ne

Sarajevo, quell'unità tra le religioni ritrovata attraverso i divieti





Di Sarajevo si ricordano due cose, l'attentato del 1914 che diventerà il pretesto per massacrare la Serbia e da lì partirà la prima guerra mondiale e la guerra degli anni '90. Si respira tra le strade della città bosniaca l'aria di questo passato. Lo cerchi, e lo vedi. Come al mercato, con la strage che comportò 68 morti e 142 feriti, del 5 febbraio 1994, fatto che nell'estate del 1995 con 43 morti e 75 feriti, si ripeterà nuovamente ed ebbero entrambi, questi attentati, come conseguenza ovvia l'intervento delle forze  occidentali contro i serbi. La vedi questa storia sui muri dei palazzi che raccontano un periodo oggi ancora vivo e presente e che ha lasciato il segno con memorie non condivise a partire dal massacro di Srebrenica all'assedio della città che determinerà quasi 12 mila vittime. In una città profondamente araba, o meglio turca, i cartelli informativi sono in inglese, tedesco, bosniaco e turco. Bandiere della Turchia e della Bosnia le trovi ovunque.





Una città che soffre una crisi economica importante, ma dove lo spirito di solidarietà è impressionante. Vivono e convivono insieme quelle religioni che durante la guerra degli anni '90 divennero pretesto per uccidersi e ammazzarsi a vicenda in una città dove sorgono minareti ovunque, come sorgono chiese ovunque nelle città italiane .
Se c'è una cosa che paradossalmente ti colpisce visitando le moschee e le chiese di Sarajevo è la condivisione dei divieti che unisce due religioni per diversi aspetti più simili di quanto si possa pensare. Con delle particolarità. Nelle moschee sarà vietato portare pistole, fumare, portare animali, entrare in bicicletta, mangiare il gelato, urlare, baciarsi, entrare con la gonna corta, far volare il drone, o giocare a pallone.








Nella chiesa invece non viene indicato il divieto di entrare con la pistola, questo non significa che la si possa portare, ma non è emersa la necessità di doverlo riportare questo divieto, come non emerge il divieto di baciarsi.
Invece del divieto di entrare in bicicletta c'è quello di entrare con i pattini, e monopattini, ci sarà il divieto di entrare con il cappellino e di portarsi la bottiglia di plastica, di entrare in quella che sembrerebbe una tenuta da costume da bagno, e si evidenzia il divieto di fotografare e di usare il cellulare.

mb

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