Chiamare ancora oggi Ronchi "dei Legionari" sarebbe come chiamare Latina, Littoria

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Come è risaputo dal 1925, la città di Ronchi di Monfalcone, ha visto mutare il proprio nome in Ronchi dei Legionari, per la precisione il 2 novembre del 1925 con il Regio Decreto firmato da Rocco pubblicato nella G.U n° 283 del 5 dicembre 1925. Quest'anno pertanto ricorrono ben cent'anni da questa ricorrenza dovuta all'omaggio voluto dal fascismo per celebrare la presa di Fiume da parte di D'Annunzio che partì casualmente da Ronchi dopo aver dormito per qualche ora in una dimora nella vecchia via di Trieste. E come è ben risaputo nessun cittadino di Ronchi partecipò a quell’atto eversivo che ha subito la città di Fiume per 500 giorni con tutte le conseguenze che ne derivarono per i fiumani che nel 1924 scivolarono anche grazie a quel fatto storico e politico sotto il fascismo. Continuare a chiamare Ronchi "dei Legionari" come se appartenesse a chi mai ha appartenuto nel corso della sua storia, minandosi pertanto ogni identità storica del territorio, sarebbe co...

Se una maestra di Monfacone chiede: "Che senso ha allora parlare di nazione e di Patria?"

"Ci siamo accorte però che nelle nostre sezioni avviene una discriminazione al contrario, viene meno la trasmissione della nostra cultura e dei nostri valori. Che senso ha allora parlare di nazione e di Patria? Ben venga l'integrazione, chi porta una cultura diversa arricchisce tutti ma solo se la nostra identità è forte e rappresentata." Queste  alcune delle parole di una maestra della scuola dell'infanzia di Monfalcone intervenuta, nello spazio lettere del Piccolo di Trieste, sulla questione del tetto per gli studenti stranieri in città. Il testo dell'accordo è noto che ha come obiettivo primario quello di "incentivare le iscrizioni a Monfalcone in particolare da parte delle famiglie italofone". E ci si domanda come è possibile che dei rappresentanti della scuola pubblica abbiano potuto sottoscrivere un simile testo. Il resto che ne deriva, a partire dalle fantomatiche percentuali, alle classi ponte considerate da tanti come classi ghetto sono solo una conseguenza di quello scopo primario. Un concetto incredibile quello di voler incentivare le iscrizioni delle famiglie italofone. Soprattutto per una regione piccola e complessa come il FVG che ha conosciuto e vissuto nel '900 una storia che si è rivelata essere unica, per la sua drammaticità, nel panorama occidentale europeo che dovrebbe aver lasciato qualche minimo insegnamento. Ritornando alla domanda della maestra, che senso ha parlare di patria e nazione? Piacerebbe sinceramente capire quale sia il nesso di patria e nazione con la questione dei bambini stranieri alla scuola dell'infanzia ed i "valori" che andrebbero insegnati nella stessa scuola. Come quello della "nostra" identità. Che dovrebbe essere forte e rappresentata a detta della maestra. Cosa si intende per nostra identità? Cosa si intende per forte? In una regione come quella del Friuli Venezia Giulia, poi? E cosa c'entra tutto ciò con il lavoro alla scuola dell'infanzia?

Marco Barone

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