Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Cambridge: Una durissima lettera di centinaia di professori universitari a difesa della tutor di Giulio Regeni



Il primo firmatario è  Mahvish Ahmad, studente di dottorato, Università di Cambridge a seguire oltre 300 firme di professori universitari anche italiani  nella lettera aperta scritta dopo l'articolo di Repubblica del 2 novembre 2017 ove emergevano insinuazioni nei confronti di  Maha Abdelrahman la tutor di Giulio Regeni. Una lettera ove emergono passaggi chiari, quelli che l'Italia non ha osato ancora effettuare, anzi rimandando l'ambasciatore in Egitto, certamente non effettuerà.
 Giulio "uno Studente di dottorato italiano, che stava conducendo ricerche sui sindacati indipendenti egiziani quando fu rapito, torturato e assassinato all'inizio del 2016. Esistono prove schiaccianti che implicano fortemente le forze di sicurezza egiziane nell'omicidio di Giulio. Infatti, Declan Walsh, corrispondente del Cairo del New York Times, ha scritto nell'agosto 2017 in un resoconto dettagliato che gli Stati Uniti avevano "prove incontrovertibili di responsabilità ufficiale egiziana", ma non era in grado di rendere pubbliche le prove senza compromettere la loro fonte."

Ed ancora: " Malgrado un corpus cumulativo di fatti che indicano chiaramente la polizia egiziana, La Repubblica tenta di assegnare una parte della colpa dell'omicidio di Giulio al dottor Abdelrahman. L'articolo elenca le seguenti domande che il pubblico ministero italiano vuole mettere al Dr Abdelrahman: 1. Chi ha scelto il tema specifico della ricerca di Giulio? 2. Chi ha scelto il tutor per supervisionare il lavoro sul campo di Giulio al Cairo? 3. Chi ha scelto il metodo di ricerca partecipativa che Giulio ha perseguito? 4. Chi ha ideato le domande di ricerca che sono state poste ai venditori ambulanti che Giulio stava intervistando? 5. Giulio ha presentato i risultati delle sue ricerche al Dr. Abdelrahman? 

Mentre capiamo che alcune di queste domande potrebbero essere rilevanti per l'indagine italiana, troviamo il riassunto tendenzioso di La Repubblica e l'analisi di esse è volutamente fuorviante. Ad esempio, La Repubblica sostiene che il dott. Abdelrahman abbia "incaricato" Giulio di lavorare su un argomento che lei sapeva essere pericoloso e che era riluttante a perseguire. Inoltre, è stata lei a scegliere per lui il tema di ricerca, i metodi di ricerca, le materie di ricerca e le domande di ricerca di Giulio. Troviamo queste asserzioni assurde. Tradiscono una fondamentale ignoranza delle procedure riconosciute a livello internazionale nella richiesta e nell'assunzione di un dottorato di ricerca.  

I supervisori accademici non scelgono i loro studenti di dottorato; piuttosto, sono gli studenti che li scelgono. I supervisori del dottorato non impongono i loro programmi di ricerca a studenti ignari; gli studenti, di solito, lavorano per una determinata area di ricerca per un po 'di tempo prima di intraprendere un dottorato di ricerca e poi cercano un supervisore in quella zona. Nel caso di Giulio, era stato interessato ai sindacati indipendenti per anni e aveva già lavorato in Egitto prima ancora che si rivolgesse al Dr Abdelrahman come suo supervisore. Sulla questione del metodo di ricerca partecipativa impiegato da Giulio, qualunque scienziato sociale potrebbe dirti che sarebbe il metodo di scelta per indagare sulle questioni contemporanee.
 
Queste e altre accuse nell'articolo sono caratterizzate da ignoranza intenzionale, travisamento e distorsione, nonché pura invenzione e menzogne ​​di base. Inoltre, non c'è modo che il Dr Abdelrahman, o chiunque altro, possa aver anticipato ciò che è accaduto al suo studente. Il risultato più eclatante che alcuni ricercatori stranieri in Egitto avrebbero potuto temere al momento della scomparsa di Giulio fu la deportazione. Basandosi sul senno di poi, La Repubblica sta insinuando che la tragedia di Giulio avrebbe potuto essere prevista. Questo non è inequivocabilmente vero.
Un ultimo punto importante su cui La Repubblica è errata. Il dott. Abdelrahman NON ha rifiutato di parlare con le autorità italiane. Ai funerali di Giulio a febbraio 2016, è stata intervistata per un ora e mezza dal procuratore italiano. Il 15 giugno 2016, ha risposto per iscritto a molte domande supplementari poste dal pubblico ministero italiano e ha dichiarato di essere felice di rispondere a qualsiasi ulteriore domanda. Fino a poco tempo fa non vi erano ulteriori comunicazioni con le autorità italiane quando hanno presentato la richiesta di cui all'articolo della Repubblica. In risposta, il dott. Abdelrahman accettò di buon grado di essere nuovamente intervistato.
Giulio non fu l'autore della sua stessa tragedia. Né il dott. Abelrahman era responsabile della sua morte in alcun modo, forma o forma. La responsabilità per il rapimento, la tortura e la morte di questo brillante studente di Cambridge ricade direttamente sul regime egiziano. Ed è necessario che i giornalisti investigativi seri facciano brillare la loro luce dove giace la vera oscurità."




Un testo durissimo e chiaro. In realtà l'unica domanda che io avrei fatto a Cambridge è quali precauzioni adottano nei confronti dei propri studenti, quando questi operano in zone calde del mondo. Che è una cosa diversa rispetto a tutte le insinuazioni che sono emerse, come il coinvolgimento dei servizi segreti inglesi e tante altre robe o porcate di distrazione che hanno avuto come unico scopo quello di distogliere il faro della luce che si è acceso per la prima volta a livello planetario nella terra delle piramidi, dall'unico imputato, dall'unico responsabile, dall'unico criminale, che va cercato lì ove l'Italia e l'Europa si è inchinata senza pretendere nulla in cambio, l'Egitto ed il suo sistema di potere .

Marco Barone

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