Cosa è rimasto del primo maggio nazionale a Monfalcone?

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Si parlava di Gorizia, della storia del suo confine, anche se si era a Monfalcone, che non ha avuto alcun muro nel corso della sua storia, ma solo un confine con Duino, quando si dovevano scegliere le sorti del territorio con la questione del TLT osteggiata tanto dall'Unione Sovietica, quanto dagli americani. Altri tempi, altre storie, nella storia. Ma come è risaputo la scelta di Monfalcone per il primo maggio 2024 è stata logistica ed un ripiego rispetto alla scelta principale di Gorizia in vista della capitale europea della cultura 2025. Una piazza della Repubblica gremita di militanti sindacali, tanti provenienti dal vicino Veneto e anche dal resto d'Italia, tante bandiere, ci si aspettava forse una partecipazione più importante della rappresentanza dei lavoratori immigrati della Fincantieri. Scesero in piazza in 6 mila per rivendicare il diritto a pregare. Il diritto sul lavoro e le questioni del lavoro non sono sicuramente meno importanti, anzi, tutto parte da lì. E gli i

A Trieste un allenatore di una squadra giovanile: "Non capisco il minuto osservato per Anna Frank"

Non vi è stato il canonico minuto di silenzio per Anna Frank, ma il minuto di riflessione. E sono due cose  per alcuni aspetti diverse. Perchè questa volta, in tutta Italia ed in tutte le competizioni, da quelle professionistiche a quelle giovanili e dilettanti, si doveva leggere un passo del suo diario prima del calcio d'inizio: “Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l'ordine, la pace e la serenità”.

Forse in non tutte le realtà è stato possibile e forse si è liquidato tutto con un minuto di silenzio in segno di rispetto per Anna Frank e tutto ciò che lei rappresenta.

Quando parli della Shoah il primo nome che ti viene in mente è quello di Anna Frank. Non è certamente d'obbligo leggere il suo diario, ma non si può non conoscere l'olocausto,  non si può non sapere cosa è stato, e perchè lei ne è diventata un simbolo.

Probabilmente è vero che quando si parla di Anna Frank ai più forse oggi questo nome dice poco. E questo è un problema con generazioni che forse sanno tutto di Harry Potter o del Signore degli Anelli e niente di storia. Ma non dice poco a chi lo ha infangato questo nome giocando sulla sua storia, sul simbolismo, sulla sua morte, con un perfido gioco di parole e di immagini. Perchè si è consumato una sorta di botta e risposta sulla pelle di Annelies Marie Frank, tra Anna Frank tifa Lazio come si è letto su alcuni muri ma senza che ciò abbia creato alcun tipo di scalpore, all'adesivo di Anna Frank con la maglia della Roma all'interno dell'Olimpico. 

Anna Frank si è correttamente detto che è morta di tifo due volte. Ma vi è di più. E' stata scelta lei, non solo perché ebrea e perché forse qualcuno ha voluto augurare il peggio al rivale, con l'ambiguità della parola tifo. Ma anche perché femmina. Vi è stata una vera e propria combinazione di oscenità e mostruosità, tra simpatie verso il nazismo, sessismo sfrenato ed odio brutale che dovrebbero far tremare i polsi a chiunque.

Ed allora quando un allenatore di una squadra giovanile sul Piccolo di Trieste scrive che, pur rimarcando la condivisione dei valori antirazzisti da parte dei suoi ragazzi, sia la sua squadra di quattordicenni che lo stesso mister, a detta sua,  non capiscono " il senso del minuto osservato domenica scorsa" significa che vi è qualcosa alla radice che non va. Erano quasi coetanei Anna Frank ed i ragazzi della squadra di calcio di quel mister.

A Trieste vi è la Risiera di San Sabba, non serve andare lontani per capire il senso del minuto di riflessione o di silenzio per Anna Frank. Basta recarsi in quel posto, per capire. Non vi è altro da aggiungere.

Marco Barone 

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