Cosa è rimasto del primo maggio nazionale a Monfalcone?

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Si parlava di Gorizia, della storia del suo confine, anche se si era a Monfalcone, che non ha avuto alcun muro nel corso della sua storia, ma solo un confine con Duino, quando si dovevano scegliere le sorti del territorio con la questione del TLT osteggiata tanto dall'Unione Sovietica, quanto dagli americani. Altri tempi, altre storie, nella storia. Ma come è risaputo la scelta di Monfalcone per il primo maggio 2024 è stata logistica ed un ripiego rispetto alla scelta principale di Gorizia in vista della capitale europea della cultura 2025. Una piazza della Repubblica gremita di militanti sindacali, tanti provenienti dal vicino Veneto e anche dal resto d'Italia, tante bandiere, ci si aspettava forse una partecipazione più importante della rappresentanza dei lavoratori immigrati della Fincantieri. Scesero in piazza in 6 mila per rivendicare il diritto a pregare. Il diritto sul lavoro e le questioni del lavoro non sono sicuramente meno importanti, anzi, tutto parte da lì. E gli i

"Nell'architettura fascista c'è parte della nostra identità", elogio delle costruzioni fasciste a Lineanotte



Tg3 Linea notte  è un programma ben conosciuto e noto.
La puntata del 14 luglio tra le varie cose ha dedicato spazio alla pagina dedicata all'arte, alla cultura , come ospite Costantino D'Orazio, critico d'arte ed a quanto pare esperto dell'architettura del periodo fascista. E' emerso che ci sono molte cose interessanti di quel periodo, che è stata la prima vera architettura che ha unito l'Italia, non si è parlato di apologia di fascismo, ma del "lascito straordinario" del fascismo, dal punto di vista "artistico" questo è emerso e complessivamente con un certo entusiasmo.
Ed ancora che "il risultato è stato eccezionale che l'Italia non ha più toccato", elogiato soprattutto il palazzo della civiltà italiana e la "frase meravigliosa riportata sul Colosseo quadrato", "dove in fondo c'è parte della nostra identità" riferendosi al Colosseo quadrato che è uno dei simboli dell'architettura fascista,  e poi si è continuata ad apprezzare l'architettura fascista con vari esempi di strutture ben note, sottolineando il fatto che questo tipo di architettura ha una vera e propria anima, ma se ne è sminuito, nel corso della trasmissione, il carattere di propaganda. Ora, se da un lato è innegabile che durante il fascismo si è costruito molto, anche se non si dice come,  e diverse strutture sono anche apprezzabili esteticamente, non si può assolutamente scorporare il tutto da quello che è stato il fascismo, perchè anche l'opera più bella realizzata nel fascismo era funzionale al fascismo, ad un regime dittatoriale criminale. Che necessità vi era di dover esprimere una sorta di elogio verso quel tipo di architettura proprio nel momento in cui in Italia si è compreso il rischio del nuovo fascismo? E poi, giusto per non farci mancare nulla, su Rai Tre, sul servizio pubblico.

Marco Barone

 

Commenti

  1. Meno male che gente come colui che ha scritto ciò che avete appena letto incominciano a scomparire dalla faccia della terra, o per ragioni anagrafiche e morte naturale o perchè gli italiani incominciano a discernere tra cultura e bassa politica, tra arte e politicizzazione della cultura. C'è stato un periodo che biechi e incolti politicanti (tra cui, immagino, l'autore di questo blob) volevano abbattere, solo perché simbolo della Patria, il monumento a Vittorio Emanuele II (meglio noto come Altare della Patria), oggi rivalutato perché considerato uno dei capolavori della storia architettonica dell'umanità. Vergognosi atteggiamenti di individui incolti vorrebbero abbattere tutto ciò che è stato creato nella prima metà del XX secolo solo perché concepito negli anni delle dittature del secolo, fascismo, nazismo e comunismo: un secolo di architettura da rinnegare. Quegli stessi esseri immondi vorrebbero distruggere tutta la produzione artistica del Rinascimento perché prodotta durante i secoli delle Signorie in Italia: ricordo benissimo queste tesi perché ho abbastanza anni per averle dovute ascoltare, inorridito, durante i famigerati anni del '68, da parte di quegli stessi individui che sono oggi a capo, in veste di manager, di alcuni dei dei più importanti gruppi finanziari nel paese.

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