Il tempo si è letteralmente fermato alla stazione di Miramare di Trieste

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Un gioiellino liberty di epoca asburgica, che consente di arrivare al castello di Miramare, attraversando il polmone verde di Trieste, che affascina il viaggiatore, perchè il tempo si è fermato in via Beirut, a  Grignano come in nessun altro luogo a Trieste.  Un gioiellino che è ora chiuso, ora aperto, ma che necessita di essere valorizzato, riqualificato. Purtroppo già in passato preso di mira da azioni di vandali, ragione per cui venne eliminato il glicine che caratterizzava la pensilina esterna, preso di mira con vandalismi che hanno comportato spese per migliaia di euro da parte di RFI per effettuare interventi di restauro di natura  conservativa. Quella piccola stazione affascina e non ha eguali in Italia, ed è auspicabile che si possano trovare le risorse, gli intenti, la volontà, per farla ritornare ai fasti di un tempo. Purtroppo il tempo fa il suo corso e dei lavori di manutenzione sono necessari per ripristinare quel bene storico che viene invidiato da chiunque si soffermi a

Dall'esodo calabrese ed istriano a quello del XXI secolo nell'Italia dove il diritto umanitario è clandestino

Uno dei fenomeni più significativi e certamente più dimenticati, nell'ambito della emigrazione, che ha conosciuto l'Italia, è stato quello che ha riguardato la Calabria, che per paradosso sistemico, pare si chiamasse Italia ancora prima che tale nome fosse fatto proprio dall'intera penisola. Due i periodi di riferimento, che sono successivi comunque alla nascita del Regno d'Italia, quale quello 1871/1951 con 773 mila calabresi emigrati nelle Americhe, e 1951/1971 con 741 mila calabresi emigrati tra il nord Europa ed il Nord Italia (fonte Fondazione Migrantes - Servizio Migranti). Dunque 1 milione e 514 mila persone che hanno abbandonato la propria terra di origine, fenomeno che ancora oggi, pur  in ovvia misura ridotta, continua.  Le ragioni sono state variegate, principalmente collegate ad un sistema quale quello italiano che non è stato in grado di risolvere la questione meridionale,che la stessa Italia ha se non cagionato certamente aggravato in modo decisivo, inesistenza di lavoro, criminalità organizzata sempre più diffusa e condizioni di vita difficili se non impossibili. Nitti, per esempio, affermava che nel 1860 la situazione del Regno delle Due Sicilie, di fronte agli altri stati della penisola vedeva le imposte inferiori, "i beni demaniali ed i beni ecclesiastici rappresentavano una ricchezza enorme, e, nel loro insieme, superavano i beni, della stessa natura, posseduti dagli altri stati, il debito pubblico, tenuissimo, era quattro volte inferiore a quello del Piemonte, e di molto inferiore a quello della Toscana, il numero degli impiegati, calcolando sulla base delle pensioni nel 1860, era di metà che in Toscana e di quasi metà che nel Regno di Sardegna, la quantità di moneta metallica circolante, ritirata più tardi dalla circolazione dello Stato, era in cifra assoluta due volte superiore a quella di tutti gli altri Stati della penisola uniti insieme”. Non è un mistero che la Borsa di Napoli fosse all'epoca una delle più importanti di Europa nel campo agricolo, che la prima ferrovia costruita in Italia fu la tratta Napoli Portici nel 1839, che i salari degli operai erano non inferiori a quelli del resto del Paese ma il costo della vita inferiore consentiva un tenore di vita migliore, la marina mercantile borbonica superava quella del Regno di Sardegna,per investimenti, per la grandezza delle navi, per i capitali, ma con l'avvento del Regno d'Italia tutto questo venne meno, a partire dalla rilevanza della marina mercantile che venne letteralmente smantellata. Situazione di distruzione dell'economia locale che in via similare e non casuale accadrà a Trieste o Fiume con la caduta dell'Impero e l'avvento poi del fascismo, dunque dell'Italia. Certo, molte cose non funzionavano, molte diseguaglianze sussistevano, molti problemi sociali vi erano, l'istruzione non era al massimo dei livelli, anche se a livello culturale il Sud, quel Sud, nulla aveva da invidiare al resto d'Europa, però poi, dopo il 1861, le cose mutarono in modo decisamente catastrofico. Ed allora armati di valigia e ricordi, di oggetti e dignità, tanta dignità, oltre un milione di calabresi sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, la propria terra, i propri amori con l'amaro in bocca, per rincorrere una speranza di vita migliore, il sogno impacchettato nella valigia ed un giorno da condividere con i propri cari per la ricerca di quella vita migliore che l'Italia ha negato sin dalla sua origine, ma, come la tradizione popolare e la storia ha insegnato "una valigia piena di sogni mi son portato, emigrante dentro una fabbrica mi son trovato". Insomma verrebbe brutalmente da dire cornuto e mazziato. L'altro fenomeno, così detto di massa, di cui tanto si parla negli ultimi tempi, è quello istriano. Almirante nella seduta parlamentare dell'8 ottobre 1948 quantificava in non più di 2/300 mila i profughi istriani, altri, invece hanno imposto il dogma dei 350 mila che troviamo oggi in diversi monumenti, altre fonti come il Ministero degli Esteri parlano di 250.000 circa, per Sandi Volk si tratta invece di circa 237.000; di cui 140.000 italiani autoctoni, 67.000 italiani immigrati da altre regioni d'Italia dopo il 1918, e 30.000 di sloveni e croati. Fenomeno complesso, distinto, presentato come una sorta di unicum e di fenomeno spontaneo, quando di unicum ha avuto poco e sulla spontaneità vi sarebbe molto da dire, poiché ogni così detto esodo ha una sua storia, una sua origine, storia ed origine che trovano principalmente fondamento nella conseguenza della caduta del fascismo e dunque nel fascismo, nei bombardamenti alleati, nel trattato di Pace del 1947, nel rifiuto di uno stato Comunista e considerato straniero quale quello Jugoslavo. A tutto ciò si deve aggiungere la volontà politica del governo italiano e della Dc di sostenere tale esodo, non fermarlo, di organizzarlo per ragioni di anticomunismo, per ragioni antijugoslave e nazionalistiche che dovevano tornar probabilmente utili in sede di trattativa internazionale in merito alle vicende del confine orientale ed assegnazione delle terre così dette contese. Per esempio il 2 giugno 1948 il sottosegretario di Stato per gli affari esteri del Governo italiano affronterà il problema della questione dell'opzione e del trasporto degli esuli per dare un segnale all'Italia rilevando tra le varie cose che "Per 1’autorità locale egli, l'optante, è ancora jugoslavo, peggio, uno jugoslavo che ha dichiarato di non volerlo più essere" .
Ecco, questo è il punto centrale della questione. Non voler essere jugoslavo, ma italiano ed in terra italiana, non accettare il comunismo ed il nuovo Stato, in terre che hanno vista imposta la Sovranità italiana, coincidente praticamente con tutta la durata del regime fascista, quando originariamente le pietre certamente non parlavano italiano, visto e rilevato che la maggioranza era slavofana e slava. E comunque decine di migliaia di italiani che non hanno visto nella Jugoslavia né un nemico né un sistema ostile hanno deciso di rimanere in quelle terre continuando la loro ordinaria vita.
Non si è mai parlato, in questi due fenomeni importanti e che hanno riguardato italiani, di invasione. Eppure i numeri sono stati significativi. Perché, oggi, pensando alla questione dei migranti, profughi, esuli di questo nuovo secolo, che fuggono prevalentemente da guerre e persecuzioni politiche, o dall'ISIS, mostro figlio dell'Occidente, si parla d'invasione? Di quote? Di impossibilità di accettare, accogliere altre persone che in FVG, ad esempio, sono poco più di 2000 forse 3000 su una popolazione di oltre un milione di abitanti? Per non parlare di realtà che si oppongono a qualsiasi tipo di accoglienza?
E cosa dire di quelli che fuggono da situazioni economiche disperate, i così detti migranti economici? La crisi come determinata dal capitalismo non è come una guerra? Eppure per il nostro sistema questi sono i primi a dover essere rimpatriati. Stando a questi ragionamenti, i calabresi e gli esuli istriani ecc fuggiti prevalentemente per questioni sociali ed economiche, o perché non accettavano il nuovo status che si era definito in date realtà, andavano respinti.
La differenza è il colore della pelle, è soprattutto l'essere di origine italiana od italiano. Ci si scandalizza tanto per gli slogan di alcune realtà neofasciste, nazionaliste, che a livello mediatico trovano sempre spazio, che invece andrebbero totalmente ignorate se non bandite, quando poi nella realtà si seguono i principi che alimentano certi slogan. I media del sistema hanno una responsabilità enorme per quello che qui accade. Hanno trasformato e presentato un fattore che dovrebbe essere non sconvolgente per un Paese che dice di essere una delle grandi potenze mondiali e che è andato a fare la guerra per il petrolio nei luoghi da cui parte di queste persone fuggono, in un tragedia. Una tragedia che ha come effetto l'intolleranza nei confronti di chi non solo è non italiano, ma anche italiano ma non allineato all'ordine ed alla disciplina sociale, penso ai rom, ad esempio. Insomma l'Italia è in prevalenza razzista, dove il dovere umanitario di accoglienza viene trasformato in buonismo, dove l'odio e l'intolleranza per il diverso è immenso. La giornata internazionale del rifugiato in Italia vedrà solo tanta ipocrisia, in un Paese, dove esistono realtà sociali ed associative che lottano quotidianamente per l'integrazione e l'accoglienza, ma che vengono da più parti accusate di essere le responsabili dell'arrivo di tanti richiedenti asilo, rifugiati, profughi, liquidati violentemente in clandestini. Ecco, in questo Paese, è il diritto umanitario ad essere clandestino.

MarcoBarone 


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