Con
questo intervento, manifesto un parere che completa il quadro
normativo come proposto su Orizzonte Scuola, da Paolo Pizzo, in
merito ad una problematica reale e concreta, ovvero può essere
riconosciuto il permesso di cui all'articolo 15 comma 3, CCNL scuola, alle coppie
omosessuali che contraggono matrimonio all'estero?
Paolo
Pizzo, dopo la sua articolata analisi, qui il link, così conclude:
“A mio avviso, quindi, e si precisa che il parere è esclusivamente
di natura tecnica, in assenza di una specifica deroga al CCNL, la
scuola potrebbe negare il permesso”.
Veniamo al dunque della riflessione con la quale evidenzio, a parer mio, invece come il citato diritto può essere riconosciuto.
L’art.
15 comma 3 del CCNL comparto Scuola afferma che il dipendente ha,
altresì, diritto ad un permesso retribuito di quindici giorni
consecutivi in occasione del matrimonio, con decorrenza indicata dal
dipendente medesimo ma comunque fruibili da una settimana prima a due
mesi successivi al matrimonio stesso.
Dunque
si parla genericamente di matrimonio.
La
Corte di Cassazione con la sentenza 13 marzo 2012, n. 4184, statuiva
che: "La
diversità di sesso dei nubendi è, dunque, richiesta dalla legge per
la stessa identificabilità giuridica dell'atto di matrimonio.
Proprio di qui la conseguenza, condivisa dalla giurisprudenza di
questa Corte e dalla prevalente dottrina, che l'atto mancante di
questo requisito comporta la qualificazione di tale atto secondo la
categoria non della sua validità, ma della sua stessa esistenza.
Categoria, questa dell'inesistenza (la cui prima elaborazione risale
ai canonisti medioevali, i quali consideravano appunto inesistente il
matrimonio contratto da persone dello stesso sesso, perché, pur in
assenza di una norma positiva, contrario al concetto "naturale"
del matrimonio), che consente, sul piano pratico, di impedire il
dispiegamento di qualsiasi effetto giuridico dell'atto di matrimonio,
sia pure meramente interinale, a differenza dell'atto di matrimonio
nullo che, invece, tali effetti può, quantomeno interinalmente,
produrre".
Dunque
diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia,
derivante dall'art. 2 Cost., comporta che i componenti della coppia
omosessuale abbiano il diritto di chiedere un trattamento omogeneo a
quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata,
"omogeneizzazione
di trattamento giuridico che la Corte costituzionale può garantire
con il controllo di ragionevolezza".
Ai
sensi dell’articolo 1 della direttiva 2000/78 CE emerge che: «La
presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta
alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni
personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto
concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro[,] al fine di
rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di
trattamento».
Ai
fini del paragrafo 1:
a)
sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi
dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno
favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra
in una situazione analoga;
b)
sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un
criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una
posizione di particolare svantaggio le persone che professano una
determinata religione o ideologia di altra natura, le persone
portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare
età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre
persone, a meno che:
i)
tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente
giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il
suo conseguimento siano appropriati e necessari; (...)
L’articolo
3, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 così recita: «Nei limiti
dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica
a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore
privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto
attiene:
(...)
c)
all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni
di licenziamento e [di] retribuzione;
Riguardo
all’applicazione della direttiva 2000/78 alle disposizioni di un
contratto collettivo è giurisprudenza della Corte di Giustizia
Europea che, quando questi contratti adottano misure rientranti
nell’ambito di applicazione di detta direttiva, le parti sociali
devono agire nel rispetto della medesima (v. sentenze del 13
settembre 2011, Prigge e a., C-447/09, Racc. pag. I-8003, punto 48,
e del 7 giugno 2012, Tyrolean Airways Tiroler Luftfahrt, C-132/11,
non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).
"Infatti,
una disparità di trattamento fondata sullo status matrimoniale dei
lavoratori, e non esplicitamente sul loro orientamento sessuale, è
pur sempre una discriminazione diretta in quanto, essendo il
matrimonio riservato alle persone di sesso diverso, i lavoratori
omossessuali sono impossibilitati ad soddisfare la condizione
necessaria per ottenere i benefici rivendicati. Peraltro,
trattandosi di discriminazione diretta, essa può essere giustificata
non tanto da una «finalità legittima» ai sensi dell’articolo 2,
paragrafo 2, lettera b), della direttiva, disposizione che concerne
unicamente le discriminazioni indirette, quanto, ed esclusivamente,
da uno dei motivi di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della
stessa, ovvero sicurezza pubblica, tutela dell’ordine pubblico,
prevenzione dei reati nonché tutela della salute, dei diritti e
delle libertà altrui".
Così
concludendo:
L’articolo
2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio,
del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la
parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di
lavoro, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una
disposizione di un contratto collettivo, come quella di cui trattasi
nel procedimento principale, a termini della quale a un lavoratore
dipendente unito in un patto civile di solidarietà con una persona
del medesimo sesso sono negati benefici, segnatamente giorni di
congedo straordinario e premio stipendiale, concessi ai dipendenti
in occasione del loro matrimonio, quando la normativa nazionale
dello Stato membro interessato non consente alle persone del medesimo
sesso di sposarsi, allorché, alla luce della finalità e dei
presupposti di concessione di tali benefici, detto lavoratore si
trova in una situazione analoga a quella di un lavoratore che
contragga matrimonio.
Da
ciò, in via analogica e di principio, si desume che il contratto collettivo di lavoro scuola, come
vigente, nella sua genericità non preclude il riconoscimento del
congedo matrimoniale a favore delle coppie omosessuali, e vista la
Direttiva comunitaria come sopra riportata, non può che altresì desumersi,
che ogni discriminazione o negazione di tale permesso e diritto,
comporterebbe una discriminazione diretta nei confronti dei citati
lavoratori, ciò a prescindere dal fatto che in Italia il matrimonio
omosessuale possa essere trascritto o meno, o sia riconosciuto o
meno.
Sarebbe
auspicabile, a tal proposito, una presa di posizione congiunta da
parte delle Organizzazioni sindacali, in primis quelle firmatarie del
ccnl considerato nonché da parte dell'Aran, affinchè, in armonia
con i precetti comunitari e le sentenze comunitarie il ccnl scuola
possa adottare in modo inequivocabile le misure rientranti
nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, poichè è
obbligo delle parti sociali quello di agire nel rispetto della
medesima (v. sentenze del 13 settembre 2011, Prigge e a., C-447/09,
Racc. pag. I-8003, punto 48, e del 7 giugno 2012, Tyrolean Airways
Tiroler Luftfahrt, C-132/11, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 22).
E
pensare che una volta l'Italia veniva considerata come patria della
civiltà e del diritto.
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