Il mondo gattopardiano dopo il coronavirus

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C'è stato un tempo sconvolgente che sembrava non finire più. Sembrava che il mondo perduto non sarebbe più potuto tornare. Sembrava tutto. E invece, non è cambiato niente. Dopo settimane di bombardamenti mediatici ai limiti del terrorismo psicologico su come ci si dovesse comportare per evitare di essere contagiati dal cornoavirus e non incorrere nella covid19, sembraba impensabile pensare che il post coronavirus, potesse essere come il prima. Nulla sarà come prima, si diceva. Ci sarà un prima coronavirus, un dopo coronavirus. Si ripeteva.  La stretta di mano sembrava essere destinata all'estinzione, gli abbracci, essere ridotti al minimo, il baciarsi sulla guancia, due, tre volte, all'italiana, a rischio estinzione come i dinosauri, e che dire della distanza di sicurezza sociale di almeno un metro? Si temeva che questo potesse essere il modo tipico delle relazioni "aosciali".  Si pensava che potesse derivarne l'Italia dei balconi di D'Annunzio e Mussol...

Trieste quel Magazzino 26 disoccupato



Tra le macerie di una società disastrata ed un degrado che in qualche modo può affascinare ed essere d'ispirazione per qualche componimento poetico, tra asfalto e binari che si intersecano invadendo reciprocamente ognuno la propria funzionalità, tra tetti senza tegole, e ruderi senza più alcun senso, mentre la vegetazione continua a conquistare, giorno dopo giorno, notte dopo notte, spazi contesi da interessi specifici che non sempre coincidono con quelli della collettività, ecco sorgere il Magazzino 26, un magazzino disoccupato. Una perla nel pieno degrado figlio di quell'immobilismo che uccide la povera Trieste. Un magazzino che ha ospitato, dopo lunghi e costosi interventi di recupero, diversi eventi, uno fra tutti, la 54a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia. Pur essendo soggetto a vincolo da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, pur essendo una testimonianza della superata architettura industriale, oggi è lì senza sapere che destinazione avrà.

Eppure di cose se ne potrebbero fare a migliaia.
Destinarlo all'Università, alle associazioni del territorio, adibirlo a laboratorio polivalente culturale, adibirlo a qualcosa insomma che sia degno di quel luogo e dignitoso per Trieste.
D'altronde i venti della vita spensierata possono sempre bussare a quelle porte ora chiuse. In tal momento epocale abbiamo bisogno di ricostruire una società letteralmente a pezzi, ma non sulle sue macerie, perché quelle macerie le getteremo via e verranno spazzate anche dalla bora. Abbiamo necessità esistenziale di edificare un tempo che sia il nostro tempo, abbiamo bisogno di demolire il degrado e l'immobilismo, con atti sostanziali, con progettualità, con quella voglia, libera da sterili opportunismi, che dia la possibilità all'individuo di sentirsi realmente partecipe di una collettività e quel magazzino 26, disoccupato, è l'esempio materialistico del contrario.



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