Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

La 'ndrangheta attacca il pentitismo? Il caso Lo Giudice




Un video messaggio con sottofondo musica araba, la ripresa verrà effettuata da una donna.
Lo Giudice, ex pentito in fuga, scriverà il numero 43 sulla busta chiusa con del nastro adesivo, forse spedita da Macerata, perché quella è la città indicata nella lettera dopo la sua firma.
Una busta che conterrà una lettera destinata al Tribunale di Reggio Calabria, e verrà portata in Tribunale dal figlio di Lo Giudice e probabilmente il numero 43 servirà a dimostrare l'autenticità della stessa come ripresa nel video,anche questo è un messaggio di sfiducia verso le istituzioni.
Una lettera di cinque pagine che riporterà la sigla nino 59, corrispondente al diminutivo del suo nome,Antonino e sua data di nascita, 1959, che farà parte di un documento complessivo di ben 15 pagine, su cui dirà di tutto e di più, attaccherà, ponendo in dubbio la credibilità dei magistrati Giuseppe Pignatone, l'aggiunto Michele Prestipino, il pm Beatrice Ronchi e l'ex capo della squadra mobile di Reggio, Renato Cortese. Ogni pagina verrà firmata, scritta in un italiano pessimo, inizierà con un non è mai esistita la Cosca Lo Giudice seguito da ben 26 punti esclamativi e si concluderà con un lasciatemi in pace seguito da tre punti esclamativi e lascia intendere, più di una volta,che al momento opportuno, quando lo deciderà lui, dirà quello che dovrà dire.
La negazione dell'esistente è la tipica mentalità ben nota della cultura mafiosa, la mafia non esiste, la 'ndrangheta non esiste.
Tra le cose particolari segnalo, dopo aver letto la lettera come pubblicata in rete, che lui, il presunto boss, dopo aver letto il libo di Gratteri, ha in sostanza emulato gli ordini ed i relativi gradi della 'ndrangheta, conferendosi da solo il titolo del padrino, solo grazie a quel libro, perché non conosceva nulla né di gradi né di ordini, ed infatti preciserà che ha attuato quanto scritto nel libro del magistrato.
La cosa più inquietante, che invece, ben delinea il succo e lo scopo della lettera, è quanto emergerà a pagina 4.
“I collaboratori sono sempre dei burattini che possono causare danni irreparabili colpendo in ogni direzione costruendo dei castelli sulla roccia e difficili da smontare. Questo servirà a giudicare sempre più attentamente chi si presenterà davanti ai Giudici, che non si dia nulla per scontato, che le apparenze ingannano”.
Le cose sono due, o si è in presenza di uno strano caso giudiziario, oppure la 'ndrangheta attacca la credibilità dei collaboratori. La 'ndrangheta è nota per aver un numero di collaboratori debolissimo, stante il forte legame di sangue che lega gli 'ndranghetisti, questa iniziativa, mediatica e destinata all'opinione pubblica e non alla magistratura,  destinata ai collaboratori di giustizia e non alle forze dell'ordine, può essere intesa come un chiaro messaggio di attacco al fenomeno del pentitismo? Minare la credibilità dei collaboratori di giustizia è un sorta di arma efficace, forse più efficace di qualsiasi atto intimidatorio o di ricatto o di uccisione.


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