La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Confessioni sulla scuola



Con la scuola ho sempre avuto il classico rapporto di odio e amore, anzi più odio che amore.
Ricordo che alle scuole elementari era d'obbligo il grembiule blu, il fiocco rosso ed avevo un solo maestro. Bacchetta di legno sulle mani, qualche schiaffone, od in punizione dietro la lavagna, con il timore di essere messo in ginocchio sopra i ceci. Non ricordo di punizioni con i ceci, ma ben ricordo che sussisteva questo timore e ben ricordo le punizioni dietro la lavagna. Certo, ero un ribelle, parlavo sempre, vivevo il mio mondo, ma ero solo un bambino. Ricordo un mio compagno di classe, che era anche mio vicino di casa. Gli inseguimenti subiti con il motorino, io a piedi e lui sul motorino, cercava di investirmi, le minacce se non gli davo i soldi quotidiani. Ma non cedevo, mai un soldo gli ho dato. Alla fine lui ora sconta diversi anni di galera per aver compiuto un omicidio.
La scuola ha fallito con lui. Schiaffoni, rigore ed urla non erano idonei. Il periodo delle scuole medie è stato letteralmente fugace ed indifferente. Tre anni volati via senza sapere come e forse neanche senza conoscere il perché.
Poi il Liceo Classico.
Avevo i miei ritmi di studio, studiavo ciò che mi piaceva, ma studiare ciò che piace non è consentito.
Ricordo di aver rischiato la bocciatura diverse volte, perché ero un disastro in matematica, mi rifiutavo di studiare l'inglese, lingua che non mi è mai piaciuta, vissuta sempre come una imposizione, ero un disastro nella grammatica latina e greca, invece mi piaceva la letteratura italiana, latina e greca, storia e filosofia, erano le materie dove andavo meglio.
Ho odiato alcuni professori. Ti prendevano di mira. A volte ti chiedevi ma loro le frustrazioni quotidiane le sfogano su di te? Ma ho avuto anche due professoresse e due professori che mi hanno aiutato ad amare la scuola, ciò che studiavo, con passione e coinvolgimento.
Ricordo le mie prime occupazioni,il primo pugno alzato, l'inutilità della religione. Era difficile se non impossibile allora dire no all'insegnamento della religione. Perché fare ciò, in un Liceo Classico, voleva dire essere visto come il diverso, anche matto, e vivevi il rischio di una sorta di isolamento. D'altronde la tua era una famiglia rigorosamente cattolica, come disubbidire. Ed allora durante quell'ora inutile ti perdevi nei tuoi pensieri e ti interrogavi sul perché si debba insegnare la religione cattolica, almeno la storia delle religioni, no, non era possibile.
Ricordo la precarietà, ogni anno cambiavano i tuoi professori, ed ogni volta dovevi adattarti ad un nuovo stile, non sempre con successo. Flessibilità, già, ti insegnavano in via sostanziale la flessibilità e la precarietà. Oppure la prima volta seduto con un compagno di classe con disabilità intellettiva.
Pregiudizi ed occhi puntati addosso.  Raccontava una marea di bugie, ma solo per essere al centro dell'attenzione, e ci riusciva bene. Lo sapevamo che mentiva, ma lo abbiamo assecondato. Non dimenticherò le tinteggiature delle classi, si faceva a gara tra le classi. Chi ripuliva meglio i muri cosa vinceva? Lavoro gratis, ma anche senso di responsabilità. I muri sono un bene comune, come i banchi e le sedie, manteniamoli puliti. Classi e sezioni. I famigerati corsi, A e B, una sorta di concentrato dei così detti figli di papà. Alta borghesia, figli di medici, notai, avvocati, tutti insieme ed avevano i migliori professori, così almeno si diceva.
Gli altri corsi erano quelli reputati come “ sfigati”, i corsi dei paesani e dei figli di impiegati od operai, io ero dentro uno di questi, e mi sentivo a mio agio.
Una scuola classista in piena regola, e dalla viva competizione, quasi agonistica, una regolamentazione che ha anticipato ciò che ora si vuol fare in larga misura.
Le file per comprarsi il panino, la prima sigaretta nel bagno tutto sfasciato,  i fogliettini per copiare le prove, solidarietà stupenda tra alcuni compagni di classe, le “salate” tante e durature fino a quel fatidico giorno. La telefonata del professore a casa. Un giorno da incubo. Mai nessuno che si fosse chiesto il perché di quel gesto, salvo il preside che era un preside all'antica ma ha compreso le mie difficoltà. Però vinceva il senso della repressione e relativa fuga da una scuola che non amavi ma odiavi, fuga dall'autoritarismo, le note sul registro che ignoravi, i pregiudizi, la libertà di studiare per i fatti propri sulla riva del mare o semplicemente distrazione perché ti senti diverso, stai diventando un piccolo uomo, ma non riesci a comunicare, a dialogare a confrontarti.
Ecco, la mancanza di confronto sereno, la mancanza di fiducia verso l'adulto autoritario è stata la causa delle mie fughe. Sarebbe bastato un gesto, un sorriso e probabilmente non sarei più fuggito. Ho sempre ripudiato l'autoritarismo, ma al tuo silenzio si rispondeva con la violenza del potere della cattedra. Ma le urla e la minaccia della bocciatura hanno prevalso. Alla fine dei conti il mio pensiero dominante era, devo uscire da qui, da questa prigione, il prima possibile.
Ma la tentazione di fuggire è emersa anche il giorno della prova orale della maturità.
Salterai l'appello.
Tutti nel panico. Tutti a pensare “Marco è fuggito”.
Sì,ho pensato di fuggire mentre con un mio caro amico affrontavo l'ultima ripetizione di matematica all'interno di una baracca. La matematica, mai compresa e mai la comprenderò.
Poi ti vedranno arrivare.
Sollievo.
Tu di corsa incontro alla professoressa di chimica e biologia che ti accoglierà con un sorriso e affronterai l'ultima prova.
Domande, tensione, risponderai a tutto. E poi uscito dai cancelli della scuola un bel vaffanculo con tanto di dito medio alzato fermo e sospeso. Un gesto con cui hai chiuso un ciclo di diversi anni.
E' finita la scuola.
Salto il periodo dell'università e di tutto quello che è venuto dopo, ne parlerò quando e ne avrò voglia, ma perché ho deciso di occuparmi di scuola, non solo dal punto di vista lavoristico ma anche critico e sociale? Dopo tutto quello che ha rappresentato per me la scuola? Un frullato di negatività?
Perché non voglio una scuola autoritaria, con le divise, non voglio una scuola che non riesca a recuperare chi vive disagi sociali enormi e sapere che poi quella persona ucciderà qualcuno e vivrà la sua vita in galera, non voglio una scuola senza stimoli positivi, senza coinvolgimento attivo allo studio, dove i professori pensano solo a giudicare e valutare o ad esercitare il loro potere autoritario dalla cattedra, un registro e freddi numeri, non voglio una scuola pubblica senza laicità piena, non voglio una scuola classista, non voglio una scuola che non sappia educare alla integrazione . La scuola deve insegnarti a studiare, a ragionare, alla consapevolezza, deve accompagnarti con umanità durante il tuo divenire uomo o donna, la scuola è la tua seconda famiglia, la scuola è la culla sociale dove crescerà un ribelle oppure una persona ligia ed indifferente.
É anche per questi motivi, che mi occupo di scuola.




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