Con la scuola ho sempre
avuto il classico rapporto di odio e amore, anzi più odio che amore.
Ricordo che alle scuole
elementari era d'obbligo il grembiule blu, il fiocco rosso ed avevo
un solo maestro. Bacchetta di legno sulle
mani, qualche schiaffone, od in punizione dietro la lavagna, con il
timore di essere messo in ginocchio sopra i ceci. Non ricordo di
punizioni con i ceci, ma ben ricordo che sussisteva questo timore e
ben ricordo le punizioni dietro la lavagna. Certo, ero un ribelle,
parlavo sempre, vivevo il mio mondo, ma ero solo un bambino. Ricordo un mio compagno
di classe, che era anche mio vicino di casa. Gli inseguimenti subiti
con il motorino, io a piedi e lui sul motorino, cercava di
investirmi, le minacce se non gli davo i soldi quotidiani. Ma non
cedevo, mai un soldo gli ho dato. Alla fine lui ora sconta diversi
anni di galera per aver compiuto un omicidio.
La scuola ha fallito con
lui. Schiaffoni, rigore ed urla non erano idonei. Il periodo delle scuole
medie è stato letteralmente fugace ed indifferente. Tre anni volati via senza
sapere come e forse neanche senza conoscere il perché.
Poi il Liceo Classico.
Avevo i miei ritmi di
studio, studiavo ciò che mi piaceva, ma studiare ciò che piace non
è consentito.
Ricordo di aver rischiato
la bocciatura diverse volte, perché ero un disastro in matematica,
mi rifiutavo di studiare l'inglese, lingua che non mi è mai
piaciuta, vissuta sempre come una imposizione, ero un disastro nella
grammatica latina e greca, invece mi piaceva la letteratura italiana,
latina e greca, storia e filosofia, erano le materie dove andavo
meglio.
Ho odiato alcuni
professori. Ti prendevano di mira. A volte ti chiedevi ma loro le
frustrazioni quotidiane le sfogano su di te? Ma ho avuto anche due
professoresse e due professori che mi hanno aiutato ad amare la
scuola, ciò che studiavo, con passione e coinvolgimento.
Ricordo le mie prime
occupazioni,il primo pugno alzato, l'inutilità della religione. Era
difficile se non impossibile allora dire no all'insegnamento della
religione. Perché fare ciò, in un Liceo Classico, voleva dire
essere visto come il diverso, anche matto, e vivevi il rischio di una
sorta di isolamento. D'altronde la tua era una famiglia rigorosamente
cattolica, come disubbidire. Ed allora durante quell'ora inutile ti
perdevi nei tuoi pensieri e ti interrogavi sul perché si debba
insegnare la religione cattolica, almeno la storia delle religioni,
no, non era possibile.
Ricordo la precarietà,
ogni anno cambiavano i tuoi professori, ed ogni volta dovevi
adattarti ad un nuovo stile, non sempre con successo. Flessibilità,
già, ti insegnavano in via sostanziale la flessibilità e la
precarietà. Oppure la prima volta
seduto con un compagno di classe con disabilità intellettiva.
Pregiudizi ed occhi
puntati addosso. Raccontava una
marea di bugie, ma solo per essere al centro dell'attenzione, e ci
riusciva bene. Lo sapevamo che mentiva, ma lo abbiamo assecondato. Non dimenticherò le
tinteggiature delle classi, si faceva a gara tra le classi. Chi
ripuliva meglio i muri cosa vinceva? Lavoro gratis, ma anche senso di
responsabilità. I muri sono un bene comune, come i banchi e le
sedie, manteniamoli puliti. Classi e sezioni. I famigerati corsi, A e
B, una sorta di concentrato dei così detti figli di papà. Alta
borghesia, figli di medici, notai, avvocati, tutti insieme ed avevano
i migliori professori, così almeno si diceva.
Gli altri corsi erano
quelli reputati come “ sfigati”, i corsi dei paesani e dei figli
di impiegati od operai, io ero dentro uno di questi, e mi sentivo a
mio agio.
Una scuola classista in
piena regola, e dalla viva competizione, quasi agonistica, una regolamentazione che ha anticipato ciò che ora si
vuol fare in larga misura.
Le file per comprarsi il
panino, la prima sigaretta nel bagno tutto sfasciato, i fogliettini per copiare le prove, solidarietà stupenda tra alcuni compagni di classe, le “salate”
tante e durature fino a quel fatidico giorno. La telefonata del
professore a casa. Un giorno da incubo. Mai nessuno che si fosse
chiesto il perché di quel gesto, salvo il preside che era un preside
all'antica ma ha compreso le mie difficoltà. Però vinceva il senso
della repressione e relativa fuga da una scuola che non amavi ma
odiavi, fuga dall'autoritarismo, le note sul registro che ignoravi, i
pregiudizi, la libertà di studiare per i fatti propri sulla riva del
mare o semplicemente distrazione perché ti senti diverso, stai
diventando un piccolo uomo, ma non riesci a comunicare, a dialogare a
confrontarti.
Ecco, la mancanza di
confronto sereno, la mancanza di fiducia verso l'adulto autoritario
è stata la causa delle mie fughe. Sarebbe bastato un gesto, un sorriso e probabilmente non sarei più fuggito. Ho sempre ripudiato
l'autoritarismo, ma al tuo silenzio si rispondeva con la violenza del
potere della cattedra. Ma le urla e la minaccia
della bocciatura hanno prevalso. Alla fine dei conti il mio pensiero
dominante era, devo uscire da qui, da questa prigione, il prima
possibile.
Ma la tentazione di
fuggire è emersa anche il giorno della prova orale della maturità.
Salterai l'appello.
Tutti nel panico. Tutti a
pensare “Marco è fuggito”.
Sì,ho pensato di fuggire
mentre con un mio caro amico affrontavo l'ultima ripetizione di
matematica all'interno di una baracca. La matematica, mai compresa e
mai la comprenderò.
Poi ti vedranno arrivare.
Sollievo.
Tu di corsa incontro alla
professoressa di chimica e biologia che ti accoglierà con un sorriso
e affronterai l'ultima prova.
Domande, tensione,
risponderai a tutto. E poi uscito dai cancelli
della scuola un bel vaffanculo con tanto di dito medio alzato fermo e
sospeso. Un gesto con cui hai chiuso un ciclo di diversi anni.
E' finita la scuola.
Salto il periodo
dell'università e di tutto quello che è venuto dopo, ne parlerò
quando e ne avrò voglia, ma perché ho deciso di occuparmi di
scuola, non solo dal punto di vista lavoristico ma anche critico e
sociale? Dopo tutto quello che ha rappresentato per me la scuola? Un frullato
di negatività?
Perché non voglio una
scuola autoritaria, con le divise, non voglio una scuola che non
riesca a recuperare chi vive disagi sociali enormi e sapere che poi
quella persona ucciderà qualcuno e vivrà la sua vita in galera, non
voglio una scuola senza stimoli positivi, senza coinvolgimento attivo
allo studio, dove i professori pensano solo a giudicare e valutare o
ad esercitare il loro potere autoritario dalla cattedra, un registro
e freddi numeri, non voglio una scuola pubblica senza laicità
piena, non voglio una scuola classista, non voglio una scuola che non
sappia educare alla integrazione . La scuola deve insegnarti a
studiare, a ragionare, alla consapevolezza, deve accompagnarti con
umanità durante il tuo divenire uomo o donna, la scuola è la tua
seconda famiglia, la scuola è la culla sociale dove crescerà un
ribelle oppure una persona ligia ed indifferente.
É anche per questi
motivi, che mi occupo di scuola.
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