C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

"Gli automobili".

Gli automobili inventati dall'ingegno umano  nei primi del lontanissimo 1800, che in poco tempo hanno trovato diffusione capillare su tutte le vie abitate e non del nostro povero pianeta, sono quei strani contenitori di lamiera che veicolano i  terrestri in giro per le strade asfaltate dall'isteria umana.
Gli automobili. Ma gli automobili forse rappresentano una delle prime conquiste del femminismo meccanico e grammaticale. Il volgo chiamava gli automobili con la parola macchina, e nel tempo questa strana ed affascinante ambiguità grammaticale  ha ingenerato il termine "l'automobile", intesa proprio come  sinonimo del  generico "la macchina".
Chi lo avrebbe mai detto?
Eppure sembra che le cose siano andate proprio così.
Ora vi chiederete quale è il senso di questa riflessione.
Beh certamente non è sulla linea dell'ultimo video di Jovanotti,  dal titolotutto l'amore che ho che sinceramente parlando non c'entra proprio nulla con la canzone, molto bella, da lui cantata.
Un video letteralmente senza senso.
Questa riflessione nasce dall'osservare in via continuativa seduto su una sedia di una strada di paese la guida delle automobili . Ora le chiamerò in modo come dire femminile, quasi come segno di quell'eleganza che non hanno più specialmente per il modo in cui son condotte.
E qui arriva il bello.
L'elemento strano ma nello stesso tipico di questa strana malata e frenetica società.
La conclusione ancor prima di scrivere o meglio continuare la riflessione è la seguente: le automobili rispecchiano e riflettono il modo di essere di una persona.
Direte cosa c'è ma di strano in tutto ciò?
Le cose strane sono proprio quelle che accadono ogni giorno che vivi ogni giorno, che noti ogni mattina, pomeriggio e sera e poi lasci scorrere via sulla tua pelle inquinata dallo smog.
Povera pelle.
E pensare che la pelle è una delle cose più belle del corpo umano.
Vi immaginate uomini e donne senza pelle?
Che disastro.
Ecco la persona insicura.
Guida piano piano, talmente piano che anche una tartaruga la supererebbe in velocità.
Ma talmente piano che è anche un pericolo per gli altri, nel senso che l'estrema lentezza è davvero pericolosa.
Eccola giungere in una di quelle rotonde super moderne con tanto di sculture o fontane o pinete costruite dentro. Come minimo farà il giro della rotonda non so quante volte per capire dove deve andare.
Poi sopraggiunge il super figo. Macchina con luci colorate, stereo a palla, discoteca ambulante,e quasi volante,  ed ecco l'immancabile volante tigrato. Via sgomma come un matto sulla rotonda dove intanto l'insicuro è ancora lì che gira poveretto alla ricerca della via d'uscita.
All'improvviso giunge l'incazzato nero o rosso. In ogni caso sempre incazzato. Eccolo che suona il clacson.
Sembra quasi che la sua mano sia nata incollata a quel clacson.
Che folle simbiosi.
Suona suona e suona poi non si comprende per quale motivo fino a quando anche , la sua guida isterica non regala qualche impronta di gomma all'asfalto.
Mentre l'insicuro continua a girare, è come minimo al terzo giro di rotatoria, ecco che giunge l'automobilista rilassato.
Fuma la sigaretta, si guarda allo specchio, è il padrone assoluto della strada.
Quella strada è stata creata per volontà popolare con tanto di plebiscito solo per lui.

Beh le altre persone devono rassegnarsi la strada è sua quindi, tutti in coda.

Ecco che l'insicuro finalmente giunge alla via d'uscita.
Sarà quella giusta?
Non importa, perchè ora è il momento del nuovo arrivato.
Il tamarro del paese.
Eccolo.
Macchina nera.
Vetri neri.
Finestrino leggermete aperto.
Vedi che scivola via sotto il sedile e ti chiedi come faccia a guidare.
La sua testa è quasi al livello del volante.
Il suo sguardo super minaccioso intimorisce quei poveri passeri che si stavano cibando dentro la pineta destinata a divenire foresta della rotonda costruita con i fondi comunitari.
Quante rotonde hanno costruito nelle città?
Ogni cento mentri una rotonda.
E poi tutte colorate, tutte decorate.

Il modo di guidare l'automobile è il modo in cui si esterna il proprio stato umorale ma anche il proprio modo d'essere.
Credo che se prima di salire sull'auto alla maggior parte degli automobilisti, io incluso, facessero il test umorale,  l'auto sarebbe destinata a rimaner parcheggiata in qualche via secondaria del dormitorio perifierico metropolitano pubblico.

Insomma quello che volevo dire è che a volte, fermarsi per un secondo ed osservare il modus in cui ruota il mondo intorno al nostro mondo, tutto personale ma strettamente connesso a quello più grande che ci circonda, avvolge e soffoca anche, si comprende lo status sociale del sistema e come la frenesia collettiva stia divenendo sempre più diffusa ed invadente.
Se continuiamo di questo passo, diverremo tutti automobilisti con il clacson attaccato alla mano, e probabilmente lo porteremo anche a letto con noi prima di andare a visitare il dolce, ma non sdolcinato,mondo dei sogni.

Prima di andare oltre il confine della realtà è necessario fermarsi un secondo, tutti, e meditare, su dove la frenesia moderna conduce alba dopo alba l'essere umano.
Marco Barone

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