Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Etiopia, allarme per la costruzione della diga italiana Salini

Kampala
Da tempo immemore Mursi, Nyangatom e almeno un’altra dozzina di popolazioni nomadi della bassa Valle dell’Omo a sud dell’Etiopia, scandiscono la propria esistenza al ritmo delle piene dell’omonimo fiume. Una volta ritiratesi le acque esondate, la terra è pronta per la semina, il raccolto e per portare gli animali al pascolo.
Non sono molti, tra i Mursi, le cui donne adornano orecchie e labbro inferiore con dischi d’argilla essiccata, a sapere che nei progetti del governo di Addis Abeba, il corso del loro fiume sarà per sempre deviato in nome del progresso. Il progetto di costruzione della diga Gibe III, al confine tra Etiopia e Sudan è stato avviato nel 2006 ed è affidato all’italiana Salini costruttori, che nello stesso paese ha già costruito l’impianto idroelettrico Gibe II, parzialmente collassato per problemi tecnici a pochi giorni dall’inaugurazione alla presenza del ministro Frattini a gennaio 2009. Per completare i lavori di Gibe III sono necessari altri due miliardi di dollari, che il Presidente etiope Zenawi pensa di ottenere da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale.
Il valore dell’impresa giustifica ampiamente la spesa, rassicura il capo dell’Autorità per la protezione ambientale in Etiopia, Tewolde Gebre Egziabher, che promette vantaggi per tutti, per la nazione, le popolazioni della Valle dell’Omo e il vicino Kenya, che riceverebbe, a pagamento, energia elettrica.
A differenza di quello che dicono il governo etiope e la Salini, che minaccia azioni legali a chi diffonde «attacchi diffamatori» contro il progetto, senza tenere conto conto del «benessere delle popolazioni del Corno d’Africa», un cartello di Ong internazionali, tra cui la Campagna per la riforma delle Banca Mondiale - Crbm, ha lanciato una campagna Web per fermare la costruzione della diga, che metterebbe a rischio la sopravvivenza di circa 500mila persone. Secondo Terri Hatway direttore della sezione africana di International Rivers, altro gruppo tra i promotori della protesta, la Gibe III condannerebbe non solo mezzo milione di persone alla fame, ma porterebbe a conflitti per le risorse. Stessa posizione è stata assunta da Survival International che ha chiesto al governo etiope di sospendere il progetto, per evitare «un cataclisma di proporzioni ciclopiche». In base alle previsioni delle Ong che si oppongono al progetto, il flusso dell’Omo sarà riotto del 70%. Di conseguenza, il livelo del lago Turkana a nord del Kenya, di cui il fiume il cui corso sarebbe deviato dalla diga è affluente, si abbasserà di 10-12 metri. A cascata, ma in questo caso solo per modo di dire, si determinerebbe un’aumento della salinità delle acque del lago, con un impatto devastante sulle attività di pesca, senza contare la prospettiva della crisi idrica per le 300mila persone che dipendono da questo bacino, in un’area già afflitta dall’avanzare della desertificazione. Così si crea a tavolino terreno fertile solo al prosperare di nuove guerre per le risorse, prima tra tutte quella per l’acqua.
Una volta costruita, la Gibe III diventerebbe il secondo bacino idroelettrico d’Africa, con una capacità di produzione pari a 1800 megawatts. La diga non impedisce il flusso del fiume, insiste Zenawi.
La Salini, ha bollato la campagna lanciata dalle Ong per fermare la diga come un’iniziativa basata su affermazioni «false» sebbene «suggestive per i non addetti ai lavori», oltre che «irresponsabile e priva di competenze tecnico-scientifiche».
Se tutti sembrano aver qualcosa da dire sul progetto, non risulta che la popolazione locale sia stata adeguatamente informata, né consultata a riguardo.
Secondo un rapporto della Crbm, basato su mesi di indagini sul campo, il governo etiope, ha in progetto, nella stessa Valle dell’Omo, anche concessioni di ampi appezzamenti di terreno a paesi stranieri per coltivazioni su larga scala. E in vista delle prossime elezioni, previste a maggio, l’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, Human Rights Watch (Hrw) denuncia che, come nel 2005, si profilano in Etiopia repressioni massicce dell’opposizione, intimidazioni e possibili brogli, orchestrati dal partito di governo Eprdf.
Esprimere dissenso nel paese «è molto pericoloso» ha dichiarato la responsabile di Hrw Africa, Georgette Gagnon. A differenza delle proteste per il voto che cinque anni fa provocarono 200 morti secondo Hrw, 50 secondo altre fonti, la battaglia per fermare la Gibe III corre sul Web. Potrebbe essere questa la salvezza dei Mursi, i Nyangatom e le altre tribù nomadi della Valle dell’Omo, che aspettano l’esondazione e il ritiro delle acque del fiume. Non l’elettricità e nemmeno Internet.
http://roma.indymedia.org/node/18577

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