Go2025 altro che capitale europea della cultura, chiamatela capitale europea dei Casinò

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  Il 2025 è l'anno della Slovenia per il titolo della capitale europea della cultura, che verrà condiviso, tra la città di Nova Gorica e la confinante italiana, Gorizia. Dunque, non è Gorizia ad essere capitale europea della cultura, come frettolosamente qualche media tende a comunicare, ma Nova Gorica. Un progetto nato diversi anni addietro, che ha avuto delle difficoltà, dei ripensamenti, come il progetto della piazza Transalpina che ne sarebbe uscita stravolta rispetto al contesto storico ed urbanistico nel quale è inserita, ci sono dei lavori pubblici che lasceranno il segno, come è normale che sia, tanto di qua, quanto di là, ma nulla di così stravolgente, forse è più la città di Gorizia ad averne approfittato rispetto a Nova Gorica in materia di lavori pubblici con il rinnovamento della piazza della Transalpina e della Casa Rossa, che Nova Gorica stessa. Ci saranno degli eventi come è normale che sia, il programma è ampio , anche se il sistema ricettizio locale non è all...

Camminando sul Carso cent'anni dopo

 

San Martino del Carso è un borgo noto per la poesia di Ungaretti. Il testo è ricordato da pochi. 

Così scriveva il grande poeta italiano:

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato

Un borgo  suo malgrado vittima eccellente della più grande catastrofe che abbia mai conosciuto il Carso nel corso della sua storia.

 

 

Quando vedi la terra rossa pensi sempre al sangue delle vittime. Se ne è parlato così tanto del Carso macchiato di rosso, che quel rosso lo associ alla violenza, alla guerra. Un paesotto carsico, che ha visto famiglie intere essere spazzate vie, come quella dei Visintin, discendenti della popolazione vicentina trasferita sul Carso per ripopolare il territorio intorno al 17° secolo. Sulla locale chiesa c'è una targa che riporta i nomi dei Visintin che persero la vita a causa della grande guerra. Tanti, troppi. Regna il silenzio in questo borgo, che attraverso i suoi sentieri, dopo aver lasciato alle spalle una scuola elementare abbandonata e intitolata a Emanuele Filiberto di Savoia, ti congiunge verso il monte San Michele sovrastato dall'antenna che domina dall'alto il Carso che si perde sino al golfo di Trieste passando dalla ciminiera bicolore di Monfalcone. 

 


Sentieri, cippi, ungheresi e italiani che si ammazzarono come belve, non avevano scelta, o io o tu. Passando da targhe realizzate in piena guerra che in modo sorprendente rendevano onore al nemico nella "fratellanza" ritrovata nella morte. Paradossi.

Retorica nazionalistica, militarista, comprensibile perchè il tempo era quello. Si ragionava così. Ma non può trovare giustificazione oggi quella retorica cent'anni dopo, lodando la tenacia di chi non aveva scelta, o combattere o essere fucilato alle spalle per essersi rifiutato di combattere. Oggi il paesaggio carsico è completamente diverso rispetto a quello di cent'anni fa. Ieri c'era l'albero isolato di Ungaretti, ieri era un tiro al bersaglio sul deserto carsico passando dal rumore delle granate, delle mitragliatrici, delle cannonate, oggi l'unico suono è il canto delle cicale nella folta vegetazione in quello che è diventato suo malgrado il più grande cimitero di queste terre rispettato dal profondo silenzio di chi ne calpesta profanamente le pietre.

mb

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