Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Via Sant'Ambrogio di Monfalcone come via Petroni di Bologna.Una "battaglia" inutile e persa in partenza


Monfalcone è stata plasmata nel '900 praticamente dai cantieri navali. Appartiene ai cantieri navali che ne determinano forma e sostanza e fisionomia. Vita e morte. Cittadina del Friuli Venezia Giulia, terra di mezzo tra il Friuli ed il territorio di Trieste. In Bisiacaria.  Il nucleo della città si è sviluppato fino alla fine del 1800 all'esterno delle mura, di cui è rimasto qualche frammento che ai più non dice niente, verso ovest, verso est, verso sud. Il nucleo storico principale di Monfalcone era ed è soprattutto via Sant'Ambrogio.  Una via che da decenni è oggetto di tentativi di riqualificazione e che nella relazione del Comune che suddivide il centro in zona 1 e zona 2, zona verde e rossa, in quella rossa vi rientra appunto via Sant'Ambrogio, stante i forti divieti previsti, si tende a presentarla in modo contraddittorio.


Se da un lato scrivono che "Questa zona rappresenta l’area del centro cittadino che costituisce carattere identitario della città, il cuore del commercio e della vita cittadina, la via più frequentata dalla cittadinanza." Poi, però si leggerà: "All’attualità, pur essendo la via principale del centro storico, presenta una vivacità assolutamente inferiore al Corso ed alla Piazza."
Se poi complessivamente si va a vedere il tipo di frequenza che vi è al Corso o Piazza della Repubblica, dire che si è spesso come in un deserto, non è sbagliata come immagine. Perchè la gente non esce più o esce sempre di meno.
O meglio, non tutti. C'è chi ancora gli spazi pubblici li frequenta, li vive, chi ancora è rimasto fedele all'antica via di piazza. Come la comunità bengalese. Giunta a Monfalcone grazie a Fincantieri alla fine degli anni '90 ha posto il proprio centro direzionale e vitale a livello commerciale e sociale proprio in via Sant'Ambrogio. 
Da quel momento, soprattutto negli ultimi anni di questo inizio secolo, è iniziata una battaglia vera e propria. Come se fosse colpa dei bengalesi se i monfalconesi non escono più per strada o non frequentano più la loro città e non fosse colpa, non solo, ma soprattutto, di un sistema che nel giro di pochi anni ha permesso la più alta concentrazione di centri commerciali d'Italia in questo territorio da Monfalcone a Ronchi a Villesse. Ad esempio. 
via Petroni Bologna,
Dalle panchine tolte da Piazza della Repubblica alle varie ordinanze e divieti e controlli che caratterizzano via Sant'Ambrogio e chi esercita un certo tipo di commercio, passando dalla questione scuole, agli incentivi sociali, è iniziata una vera e propria operazione di gentrificazione. 
Riprendersi via Sant'Ambrogio, rendendola meno multietnica, o meglio meno bengalese, visto che alla fine la quasi totalità delle attività sono bengalesi, e più tipicamente italiana ed accessibile ad una sorta di elite sociale tutta monfalconese.  Questo pare lo scopo che più di qualcuno vorrebbe perseguire. Riqualificato il Comune, non si può mica permettere che alla sue spalle quella via continui a dare quella immagine. No. Tutto legittimo ci mancherebbe. Ognuno ha le proprie idee di società, di città, di vita.  Una battaglia persa in partenza ed inutile. Come quella che si combatte a Bologna da decenni nella storica e centrale via Petroni. Traversa di Piazza Verdi, che ospita un teatro importante di Bologna, nel cuore della zona universitaria, soggetta sempre a lotte tra comitati di cittadini contro il degrado, e chi frequenta quella via, per arrivare ad un presidio quasi permanente di camionette delle forze dell'ordine e ordinanze e divieti che si sono scagliate contro gli esercenti di quella zona, quasi tutti pakistani, con i loro market ecc. Certo, non ci sono solo loro, come in via Sant'Ambrogio di Monfalcone, due vie che si assomigliano anche in parte per i portici, ma ci sono soprattutto loro. 
E diverse sono state le proteste, anche clamorose, nel corso del tempo. La differenza è che se via Petroni è frequentata principalmente dagli studenti universitari più che dagli stranieri, ma è una via che ha visto diverse attività tutti similari gestite da stranieri, in prevalenza pakistani, a Monfalcone via Sant'Ambrogio è una dimensione prevalentemente bengalese. Ciò è innegabile. Una sorta di ghettizzazione, poche le attività storiche rimaste ancora in vita in loco. Riprendersi quella via come vorrebbero alcuni è una partita persa e inutile, o meglio una forma di utilità c'è. Fino a quando ci sarà quella condizione in via Sant'Ambrogio Monfalcone avrà sempre un suo alibi, un suo capro espiatorio a cui conferire tutte le sue mancanze e colpe del proprio fallimento e assenza di ogni visione e progettualità di lungo periodo. Sarà sempre terreno sperimentale di quell'ossessione che ha unito destra e sinistra governativa, il decoro contro il degrado. Campo perfetto dove esercitare nel piccolo misure destinate a cose più grandi.
Eppure basterebbe fare qualche metro in più, un paio di minuti in bicicletta o a piedi per andare a cercare il vero responsabile di chi ha plasmato in un certo modo la città favorendo processi di ghettizzazione. Ma è meglio andare a pesca di pesci piccoli che del pesce grande, vuoi mettere che poi si rischia di finire nella sua pancia? Meglio non fare la fine di Pinocchio.
Marco Barone 

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