1036 giorni, 34 mesi, siamo arrivati oramai a tre anni da quel 25 gennaio 2016 quando di Giulio si persero le tracce. E ancora qui a chiedere, a pretendere, la luce su quel buio egiziano che soffoca ogni processo di verità e giustizia non solo per Giulio, ma per tutti. Perchè quando si farà piena luce su ciò che è successo a Giulio in Egitto, lo si farà per tutti e tutte gli egiziani e le egiziane che come Giulio hanno subito e continuano a subire trattamenti inumani. Il tutto mentre il suo Paese, l'Italia, tramite chi dovrebbe rappresentarlo, stringe mani, accoglie esponenti di primo piano di quell'Egitto che continua a prendere in giro tutti.
Un Paese dove un bambino di 12 anni è stato arrestato e tenuto in isolamento con l'accusa di terrorismo. Dal 2013, le autorità egiziane hanno commesso violenze scioccanti contro i
bambini con almeno sei torturati in custodia e 12 soggetti a
sparizioni forzate dal 2015, secondo le nuove scoperte pubblicate da
Amnesty International.
"Queste scoperte rivelano come le autorità egiziane hanno sottoposto i
bambini a violente violazioni, tra cui torture, isolamento prolungato e
sparizione forzata per periodi fino a sette mesi, dimostrando un
assoluto disprezzo per i diritti dei bambini", ha detto Najia Bounaim,
direttore delle campagne nordamericane di Amnesty International.
Uno scandalo verso cui il mondo pare chiudere gli occhi. Italia inclusa. E si parla di un Paese firmatario della
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino, a dimostrazione di come in Egitto i diritti umani non contano niente, anzi. Chi li difende rischia grosso. Come successo a Mohamed Lofty consulente della famiglia Regeni, il quale ha vinto il premio franco-tedesco per per i diritti umani e lo Stato di diritto, che in Egitto lui vorrebbe difendere e che ha visto sua moglie, Amal Fathy finire in carcere da mesi, come ritorsione. E la battaglia della verità per Giulio Regeni è un ponto cruciale per la difesa dei diritti umani e lo Stato di diritto, e questo in Egitto lo sanno bene.
Marco Barone
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