Il velo islamico continua a dividere l'Europa e anche la Corte di Giustizia europea. Che oscilla con pronunciamenti diversificati. Con la sentenza 14 marzo 2017 (causa C‑157/15 ) affermava che l’articolo 2,
paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del
27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve
essere interpretato nel senso che il divieto di indossare un velo
islamico, derivante da una norma interna di un’impresa privata che vieta
di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o
religioso sul luogo di lavoro, non costituisce una discriminazione
diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali ai sensi
di tale direttiva.
Ora, con la
sentenza del 18/09/2018 n° 3413/09 arriva ad affermare nella sostanza che vietare il velo islamico in pubblico significa compromettere il diritto alla l
ibertà di pensiero, coscienza e religione. Dunque una legge che voglia vietare il velo integrale o parziale in luoghi pubblici (nella fattispecie un tribunale) è da considerarsi come atto che faciliti una discriminazione volta a pregiudicare il diritto al rispetto della vita privata. Fatto, a detta dei giudici, che non può essere tollerato in una società democratica.
Ed il Belgio è stato condannato a risarcire per il danno morale la donna in questione.Una sentenza che farà discutere, visto il cambio di orientamento e probabilmente non farà piacere ai cultori delle nuove crociate.
Sempre sul velo ad esempio la Corte europea dei diritti dell'Uomo disse "che la causa Dahlab riguardava la misura che vietava
ad una insegnante di portare il velo islamico durante lo svolgimento
della sua attività, divieto motivato dalla necessità di preservare i
sentimenti religiosi degli allievi e dei loro genitori e di applicare il
principio di neutralità confessionale della scuola sancito nel diritto
interno. Dopo aver rilevato che le autorità avevano adeguatamente
valutato gli interessi in gioco, la Corte ha giudicato, vista
soprattutto la giovane età dei ragazzi di cui la ricorrente era
responsabile, che le citate autorità non avevano superato il loro
margine di valutazione."
Neutralità che invece, a quanto pare, non verrebbe violata dal simbolo per eccellenza della principale religione in Europa.
Nel 2011 con la nota sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo i giudici affermarono che "il crocifisso appeso al muro è un simbolo essenzialmente
passivo, e questo aspetto è importante agli occhi della Corte, tenuto
conto soprattutto del principio di neutralità. In particolare non gli si può attribuire una influenza sugli allievi
paragonabile a quella che può avere un discorso didattico o la
partecipazione ad attività religiosa".
Marco Barone
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