Atto
Doc. XXII, n. 66 assegnato alla I Commissione Affari Costituzionali in sede Referente il 3 maggio 2016, proponente il deputato Sandra Savino del PDL (Forza Italia).
E cosa propone?
"Ai
sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di tortura, morte e occultamento di cadaveri durante la seconda guerra mondiale e nel periodo successivo, nonché sull'esistenza di fosse comuni nelle province di Udine e Gorizia, di seguito denominata «Commissione», con il compito di: a) indagare sui casi di torture, morte e occultamento di cadaveri riportati in documenti pubblici, custoditi anche presso gli archivi dello Stato e di amministrazioni locali; b) svolgere indagini sulle azioni violente consumate nelle zone del confine orientale italiano negli anni quaranta, anche al termine del secondo conflitto mondiale; c) individuare le connessioni tra i fatti emersi nei documenti di cui alla lettera a) e i gruppi armati che operavano nelle zone del confine orientale italiano; d) verificare l'eventuale sussistenza di comportamenti reticenti od omissivi da parte dei soggetti pubblici o privati operanti nelle zone del confine orientale italiano; e) indagare sulla scomparsa di persone, deportate nel confine orientale dalle organizzazioni armate dipendenti dal Maresciallo Tito al termine della seconda guerra mondiale in particolare a Trieste e a Gorizia, perché potevano rappresentare un ostacolo ai progetti annessionistici allo scopo di acquisire informazioni sui fatti accaduti dopo il loro sequestro, sugli eventuali processi subiti e sul luogo in cui oggi riposano le loro spoglie mortali."
Motivazione Istituzione Commissione.
E' facile intuire che questa proposta nasce dopo i fatti allucinanti della non foiba di Rosazzo. Nell'atto di accompagnamento al testo della proposta si legge quanto ora segue:
"Pur con tutti i limiti derivanti dall’altrui
sovranità, la Commissione parlamentare
di inchiesta che si istituisce avrà il
compito anche di approfondire i fatti
legati alla tragica scomparsa – nel maggio
1945, pertanto a guerra finita – per
mano delle truppe militari titine di centinaia
di italiani che non fecero più
ritorno alle loro famiglie. Queste persone
avevano la colpa di poter rappresentare
un ostacolo ai progetti annessionistici del
Maresciallo Tito. Oggi non si chiedono di
convocare tribunali speciali e tantomeno
di erigere ghigliottine, bensì di far conoscere
il dramma vissuto dai propri cari
ai familiari che ancor oggi li piangono. In
particolare il desiderio è quello di conoscere
il luogo ove riposano le loro
mortali spoglie per consentire di poggiare
almeno un fiore.
Queste ricerche dipenderanno molto
dalla volontà collaborativa delle Repubbliche
frutto della dissoluzione della Repubblica
federativa di Iugoslavia.
Scopo dell’istituzione della Commissione
però è anche quello di indagare,
esclusivamente sul territorio italiano e,
precisamente, nelle province di Udine e
di Gorizia, su crimini di cui da decenni
si mormorava e che da alcune settimane
sono oggetto di pubblico dibattito
perché portati alla luce grazie a numerosi
documenti ufficiali reperiti presso
l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio
del Ministero degli affari esteri e
della cooperazione internazionale e anche
presso gli archivi di amministrazioni pubbliche
locali.
Queste recenti ricerche consentono di
conoscere il profondo antagonismo esistente
fin dal 1941 tra fascisti italiani e
ustascia croati, di ricostruire la vicenda
dei deportati da Gorizia durante i famigerati
40 giorni di occupazione titina
della città nella primavera del 1945, di
documentare la sostanziale indifferenza
delle truppe alleate nello stesso periodo
per i rastrellamenti e gli infoibamenti
operati dai titini nella zona A e nella zona B, di attestare la rettitudine e la
coerenza del Comitato di liberazione nazionale
giuliano di fronte alle drammatiche
vicende confinarie, di documentare
l’esistenza di decine di foibe, alcune delle
quali fino a oggi sconosciute, anche sul
territorio italiano, di conoscere centinaia
di testimonianze nonché di rapporti sulle
violenze efferate operate dai comunisti
titini a danno di cittadini italiani nel
periodo 1943-1946, di ottenere numerose
e dettagliate informazioni sugli eccidi
operati dal dipartimento per la sicurezza
del popolo e di svelare il ruolo dell’Unione
antifascista italo-slovena nella
programmazione e nella realizzazione di
numerosi attentati, molti dei quali a
scopo esclusivamente terroristico.
In particolare vi è anche la necessità di
fare chiarezza sulla cosiddetta foiba di
Rosazzo, sebbene il termine foiba debba
intendersi in senso lato anche come fossa
comune e sebbene Rosazzo sia solo una
località di riferimento, visto che diverse
fonti individuano anche altre località situate
comunque nella medesima zona.
Sono diversi i documenti reperiti
presso archivi comunali dai quali emergono
efferati delitti.
Alle autorità inquirenti è stata depositata
specifica denuncia per segnalare l’esistenza
di una foiba o fossa comune in
località Bosco Romagno, parco naturale
ricreativo di 53 ettari di proprietà della
regione Friuli Venezia Giulia, gestito dalla
direzione regionale delle foreste, che si
trova nel territorio dei comuni di Cividale,
Prepotto e Corno di Rosazzo. Un luogo già
entrato nella drammatica storia delle mattanze
dei partigiani comunisti della Brigata
Garibaldi – alle dipendenze di Tito –
dove sono stati trucidati dai 14 ai 18
partigiani della Osoppo prelevati in occasione
dell’agguato del febbraio 1945 alle
malghe di Porzus, ma che oggi si rivela
essere il cimitero senza croce di un numero
ancora sconosciuto ma probabilmente
superiore a parecchie centinaia di
vittime per lo più civili. I carabinieri, a
seguito della denuncia, hanno iniziato le
indagini e hanno già acquisito numerose
testimonianze e la procura della Repubblica di Udine ha aperto un fascicolo in
merito. I primi riscontri indicano che la
popolazione di quelle zone fosse al corrente
degli eccidi e molte testimonianze
confermano quanto riportato nel documento.
La Lega nazionale di Gorizia, grazie
a un contributo del comune di Gorizia
e all’aiuto fornito da colleghi parlamentari,
ha fatto emergere questa recente documentazione
presso gli archivi romani.
I verbali rilevati presso il comune di
Premariacco, in provincia di Udine, riferiscono
non di uccisioni collegate a operazioni
belliche ma di omicidi di un numero
stimabile tra 40 e 60 civili, anche
giovanissimi, che sono stati eseguiti da
partigiani e da membri della divisione
Garibaldi, come risulta dai documenti nel
1946 firmati dal sindaco pro tempore: si
parla di salme esumate sepolte a poca
profondità nelle colline di Ipplis presso
rocca Bernarda (zona Oleis).
A questi numerosi verbali si aggiunge
l’inchiesta degli anni ’90 che era legata a
fatti accaduti nella zona di Faedis, nella
quale si citano altri omicidi e secondo un
documento sottoscritto dagli americani si
configura anche un crimine di guerra (7
carabinieri uccisi) sempre legato a operazioni
partigiane.
I documenti riferiscono che c’erano
diverse fosse comuni e non si può escludere
di trovare altri corpi ancora sotterrati
o a suo tempo esumati, grazie alle verifiche
che i carabinieri effettueranno in altri
comuni. È anche probabile che tra gli
uccisi e i sepolti ci possano essere italiani
di altre regioni (finanzieri, militari, poliziotti
eccetera) in servizio in zona e un
altro filone potrebbe essere costituito da
militari tedeschi e fiancheggiatori in fuga
verso l’Austria e catturati. Da ciò la quasi impossibilità di reperire tutti gli elenchi
degli scomparsi.
È tempo che si faccia chiarezza sui buchi
neri della Resistenza, senza volerne intaccare
i valori ma proprio per salvaguardarla
dalle mele marce. È necessario che
anche le associazioni di partigiani prendano
le distanze dai partigiani comunisti
jugoslavi o filo jugoslavi che tanto dolore
hanno arrecato alle nostre terre. Lo stesso
Padoan, detto Vanni, nel 2001, assumendosi
la responsabilità della strage, definì l’eccidio
di Porzus un « crimine di guerra che
esclude ogni giustificazione » e chiese « formalmente
scusa e perdono agli eredi delle
vittime del barbaro eccidio ».
L’Italia ormai è matura per affrontare
argomenti che non ha mai affrontato,
senza reticenze e omissioni."
Dunque la solita litania, che già abbiamo sentito e risentito fino alla nausea. Ringraziamo la deputata e la sua compagnia per averci risparmiato i Tribunali speciali e la ghigliottina. Il resto si commenta tutto da solo, ben ricordando che i morti non sono e mai potranno essere tutti uguali. Si deve constatare, ad esempio, che questo zelo non sussiste verso i crimini compiuti dall'Italia nelle terre occupate. Così come è singolare che siano forze di destra a dire cosa o non cosa debba fare l'ANPI. Quale titolarità hanno per permettersi di dire cosa deve fare l'ANPI?
Forse a queste persone sfugge che se non ci fosse stata la resistenza Jugoslava, nata ben prima di quella italiana, probabilmente oggi si racconterebbe una storia diversa, un mondo diverso, e grazie alla resistenza, al sodalizio, alla collaborazione maturata con i partigiani jugoslavi che è stato possibile sconfiggere in queste terre il nazifascismo ed arrivare anche alla nostra Costituzione. E' con la resistenza che, dopo decenni di barbarie e violenze che hanno subito sloveni e croati, ad esempio, è stato possibile ricostruire rapporti tra alcuni popoli, rapporti minati fin dai tempi della scellerata marcia su Fiume, che ha anticipato quella su Roma.
Come dovrebbe essere composta la detta commissione?
"La Commissione è composta da venti deputati nominati dal Presidente della Camera dei deputati, garantendo una rappresentanza proporzionale alla consistenza dei gruppi parlamentari e, comunque, assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo. Il Presidente della Camera dei deputati, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, convoca la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto ai sensi dell'articolo 20, commi 2, 3 e 4, del Regolamento della Camera dei deputati."
Quali sarebbero i poteri di questa Commissione?
"1. La Commissione procede con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione né alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
2. La Commissione può richiedere agli organi e agli uffici della pubblica amministrazione copie di atti e di documenti da essi custoditi, prodotti o comunque acquisiti in materie attinenti ai compiti di cui all'articolo 1.
3. La Commissione può richiedere copie di atti e di documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso o conclusi presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e di documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari.
4. Sulle richieste a essa rivolte l'autorità giudiziaria provvede ai sensi dell'articolo 117 del codice di procedura penale. L'autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e di documenti anche di propria iniziativa.
5. La Commissione mantiene il segreto funzionale fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia ai sensi dei commi 2, 3 e 4, secondo periodo, sono coperti da segreto nei termini precisati dagli organi e dagli uffici che li hanno trasmessi.
6. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione a esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti, le assunzioni testimoniali e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari fino al termine delle stesse.
7. Per il segreto d'ufficio, professionale e bancario si applicano le norme vigenti in materia. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato.
8. Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124.
9. Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale.
10. I componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui al presente articolo che la Commissione abbia sottoposto al segreto funzionale.Art. 4."
Quanto dovrebbe durare ?
"1. La Commissione conclude i propri lavori entro ventiquattro mesi dalla sua costituzione.
2. La Commissione, alla scadenza del primo anno di attività con una relazione intermedia e al termine dell'attività con una relazione finale, riferisce alla Camera dei deputati i risultati della propria attività.
3. Possono essere presentate relazioni di minoranza."
L'organizzazione interna della Commissione.
"1. La Commissione, prima dell'inizio dei lavori, adotta il proprio regolamento interno.
2. La Commissione può organizzare i propri lavori anche attraverso uno o più comitati, costituiti secondo le disposizioni del regolamento di cui al comma 1.
3. Tutte le sedute sono pubbliche. Tuttavia la Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta.
4. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritiene necessarie, in particolare di esperti nelle materie di interesse dell'inchiesta. Con il regolamento di cui al comma 1 è stabilito il numero massimo di collaborazioni di cui la Commissione può avvalersi.
5. Per lo svolgimento dei propri compiti la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati."
Quanto costa?
1. Le spese per il funzionamento della Commissione sono poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati. Esse sono stabilite nel limite massimo di 50.000 euro per il primo anno e di 100.000 euro per il secondo anno"
Questi soldi potrebbero ben essere spesi in diverso modo, visto che su questi argomenti si è già scritto di tutto e di più, si è indagato ad oltranza, e dovendo rispondere sempre a tentativi meschini di riscrivere la storia in chiave anti-partigiana.
Per esempio favorendo nelle scuole lo studio della resistenza e delle vicende del confine orientale, facendo conoscere agli studenti cosa il fascismo ed il nazismo ha combinato in queste terre, martoriate da politiche di pulizia etnica contro gli sloveni, da terrorismo nazifascista, da rappresaglie che hanno massacrato la popolazione civile, d'altronde se a Trieste esiste la Risiera di San Sabba un motivo ci sarà. Se poi si vuole investire in attività di ricerca, allora la ricerca storica deve rimanere fuori dalle aule della politica. Ma non è questo il caso. Una cosa è certa, quando è la politica a ficcare il naso nelle questioni storiche, queste Commissioni rischiano di essere unidirezionali ed auto-assolutorie verso il Paese che responsabilità nessuna deve avere, nonostante la storia insegni il contrario. D'altronde chiedere scusa significherebbe riconoscere i propri orrori, significherebbe essere umili e forse rinnegare un secolo di storia ultra-nazionalistica. Chiedere scusa significherebbe essere un Paese migliore, ma qui si continua a perseverare nella cattiva e destra e revisionistica via. E di revisionismo un Paese può perire nei peggiori dei modi.
Eh, gia', se non si adderisce a questa continua linea politica, non si e' vero (nazionalista) italiano! Fosse Pertini, questa gente la metteva alla porta. Come lo fece all' epoca a Trieste!
RispondiElimina