C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Il garibaldinismo non c'entra niente con Fiume.Peppino Garibaldi era pronto a marciare contro D'Annunzio

Quel cimitero carsico di Ronchi. Così D'Annunzio definiva Ronchi da dove partì la marcia su Fiume, nella dedica del testo di Piero Belli, legionario, che con il suo testo, "La notte di Ronchi" ha raccontato in modo dettagliato quello che accadde a Fiume. Se c'è un qualcosa che avviene nella narrazione di chi cerca di sdoganare il fiumanesimo è che quell'atto eversore che si concluse con militari italiani  che si spararono contro, è quella di appropriarsi delle camicie rosse garibaldine. Sostengono che Fiume si pone in continuità con i mille di Garibaldi. Nulla di più menzognero. Ad esempio la Stampa del 1919 tratta in modo durissimo l'occupazione della città di Fiume. Ed emergono tante particolarità interessanti. Si riporta un dispaccio di un'agenzia francese dove si scrive che Peppino Garibaldi era pronto a marciare contro D'Annunzio con 30 mila volontari per liberare la città.
Ed il fatto che l'erede di Garibaldi non sostenne quell'evento, venne visto in cattivo modo da D'Annunzio la cui ira venne recepita nel testo di Belli. Screditandolo. Attaccandolo sul piano personale, delegittimandolo. Si legge che "Qualcuno si ostina, ancora oggi, a credere che Peppino Garibaldi avesse davvero premeditato lo stesso gesto. Forse perchè egli stesso ci ha tenuto a dichiararlo proprio quando — non era più in tempo a compierlo. Ed io, francamente, non ne so nulla. Molte cose si possono, in verità, premeditare, magari sorbendo il caffè ed ascoltando la musica in qualche « Àragno » d'Italia, nelle ore più o meno peripatetiche di un pomeriggio afoso.... E può darsi benissimo che Peppino Garibaldi abbia avuto in mente l'idea di fare « qualche cosa » anche lui, non importa come, non importa perchè e non importa quando Ma quello che io posso affermare con matematica certezza è che egli non aveva preparato e organizzato niente. E quando dico niente voglio significare che nessuno era a parte del « segreto » di Garibaldi; nessuno di coloro ai quali bisognava assolutamente ricorrere per mettere in moto la macchina del « gesto »".

E calcando la mano, sostiene che,  "E' vero, invece, questo : che Peppino Garibaldi non si sognava neanche lontanamente che Gabriele d'Annunzio « osasse l'inosabile ». Sicché l'annuncio dell'impresa di Ronchi lo colse impreparato. E generò in lui quello scatto ingeneroso ed impolitico di bassa rappresaglia personale con cui presunse di poter sentenziare « prò domo sua y che Gabriele d'Annunzio era colpevole di aver fomentata la diserzione dei soldati dalle file dell'esercito. Che orrore per un erede della gloria di Aspromonte!... Dico incidentalmente di Peppino Garibaldi perchè è tempo, ormai, che certe posizioni personali restino definite ed anche perchè il gesto di Gabriele d'Annunzio abbia tutto il suo squisito sapore garibaldino per effetto appunto di questo dualismo nel quale Peppino Garibaldi — contrariamente a tutta la tradizione della sua famiglia —rappresenta, ed anche molto male, la parte niente affatto simpatica dell'amico del governo e quella, ancor più sensazionale, del generale « disciplinato », proprio mentre si tratta di rientrare nelle file di.... Garibaldi. All'annuncio che i legionari di Ronchi erano giunti a Fiume, quanto distava egli da essi? Venti- quattr'ore di ferrovia. Due giorni di automobile. O perchè mai non li raggiunse? Il dado era tratto per tutti gli italiani di gran cuore. E ogni altro gene- roso progetto — per generosissimo che fosse — doveva essere abbandonato, dal momento che Gabriele d'Annunzio, con le mosse fulminee della sua improvvisazione, aveva toccato miracolosamente la meta. E Peppino Garibaldi doveva fare ben altro che esprimere il suo « disciplinato parere » sui giornali di Roma. Doveva agire. Doveva partire. Doveva arrivare. E prendere posto tra le file dei legionari. Il posto che gli apparteneva : il primo. E tenerlo con tutto l'ardimento che è suo stupendo patrimonio di soldato. Questo doveva fare. Questo doveva « capire ».

D'altronde perchè Peppino Garibaldi avrebbe dovuto sostenere la marcia su Fiume? Che rischiava di trascinare l'Italia in un nuovo conflitto, dopo pochi mesi dalla catastrofe della prima guerra mondiale? Perchè compiere un gesto eversore che di patriottico non aveva assolutamente nulla? Ed infatti, rispettando lo spirito garibaldino, non lo fece.
mb

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