Alle
Nazioni Unite fanno sapere che l'Egitto crede fortemente nell'attuazione dei diritti umani e libertà fondamentali di cui alla nota Agenda 2030. Ciò mentre la
risoluzione del Parlamento europeo del dicembre 2018 condanna fortemente il regime egiziano per le sistematiche violazioni che si registrano in materia di diritti umani. Intanto, per cambiare, l'Egitto, in stato di "sicurezza" dal 2017, continua a prorogare uno stato emergenziale che legittima misure preventive repressive pesantissime. La scusante è sempre quella. Contrasto al terrorismo. Però, nessuno si preoccupa del terrorismo che in Egitto si registra contro i lavoratori. O meglio, c'è chi se ne occupa. Come l'organizzazione Front line defenders che in Francia ha presentato
un rapporto di una cinquantina di pagine su quello che accade in Egitto ai lavoratori. D'altronde, situazione tipica di tutti i regimi, il modo un cui attraggono investimenti esteri, è anche attraverso il basso costo della manodopera, con un sistema che compromette in modo pesante i diritti dei lavoratori. Quei diritti e quel mondo che Giulio, esattamente tre anni fa, stava indagando, per motivi di studio, di ricerca. Nel rapporto si scrive nelle primissime pagine che "nel 2016, dottorato italiano,
lo studente Giulio Regeni, che stava facendo ricerche sul mondo dei
sindacati, fu rapito, torturato e in seguito trovato morto sul ciglio della strada fuori dal Cairo, il suo corpo imbrattato di sangue". Studiare, conoscere, fare domande, su un mondo così delicato, quale quello sindacale, suscita sospetti, mina la sicurezza nazionale. Puoi essere visto come un sobillatore che attenta alla sicurezza nazionale. E vieni trattato come tale. Come un terrorista. Così è stato in modo incredibile per Giulio. Così è anche per tanti altri egiziani. Nel rapporto si scrive chiaramente che
"mentre
un numero crescente di egiziani della classe operaia vive in povertà,
l'attivismo per i diritti dei lavoratori che richiede condizioni di
lavoro sicure, salari minimi e libertà di riunione è fondamentale.
Il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha punito i difensori
dei diritti dei lavoratori con arresti, sparizioni, pestaggi in carcere,
intimidazioni da parte di agenti della sicurezza statale, licenziamenti di massa e processi nei tribunali
militari.
Diversi attivisti che hanno partecipato agli scioperi delle fabbriche
sin dagli anni '60 hanno detto ai Front Line Defenders che, durante la
loro vita, non hanno mai affrontato questo livello di violenza e
punizione contro l'attivismo per i diritti dei lavoratori." Si ricorda ad esempio che da quando al Sisi è al potere più di 15.000 civili,
compresi HRD, giornalisti, fotografi e
bambini, sono stati inviati a processi militari."
mb
Commenti
Posta un commento