A Lussino, salvate diverse tombe di cittadini italiani dall'oblio, ma c'è ancora molto da fare per il riconoscimento dei diritti della minoranza italiana

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Viene reso noto che a Lussino, grazie all'operato di alcuni cittadini sensibili alla salvaguardia della memoria storica ed identità dei luoghi, sono state salvate una trentina di tombe, esattamente ben 37, nel cimitero di San Martino, dall'oblio e dal degrado a cui erano destinate. I cittadini in questione, tramite la nota pagina facebook dedicata a Lussino hanno reso noto che grazie al finanziamento promosso dall'Università Popolare di Trieste, attraverso i fondi del MAECI Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale,hanno potuto  attivarsi per salvarle. Iniziativa di gran pregio che merita il giusto riconoscimento e gratitudine in un contesto dove la comunità degli italiani,con difficoltà , essendo anche gli italiani autoctoni  ridotti al minimo storico, cerca di attivarsi per quanto possibile anche tramite l'operato di singole individualità per la difesa della memoria storica. Una delle battaglie che stanno conducendo da anni ad esempio è il  r...

E' giusto nel luogo di lavoro vietare l'esibizione individuale di simboli religiosi?




La nota Sentenza Corte della Giustizia Europea del 14 marzo 2017, pur trattando il caso di un velo islamico e conseguente licenziamento per essersi rifiutata, la donna in questione, di toglierlo, in realtà ha affermato dei principi di diritto importanti che ben si estendono a tutte le fedi religiose, ivi inclusa quella cattolica, che non può e non deve considerarsi immune da tale pronunciamento. La società illuminata, razionale, che vuole un mondo laico, è in difficoltà in questo ultimo secolo. Cosa ha affermato in diritto la citata Sentenza? Che "l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che il divieto di indossare un velo islamico, derivante da una norma interna di un’impresa privata che vieta di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso sul luogo di lavoro, non costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali ai sensi di tale direttiva. Siffatta norma interna di un’impresa privata può invece costituire una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, qualora venga dimostrato che l’obbligo apparentemente neutro da essa previsto comporta, di fatto, un particolar svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia, a meno che esso sia oggettivamente giustificato da una finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei rapporti con i clienti, e che i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari, circostanza, questa, che spetta al giudice del rinvio verificare." D'altronde, come emerso in diritto, la volontà di un datore di lavoro di dare ai clienti un’immagine di neutralità rientra nella libertà d’impresa, riconosciuta dall’articolo 16 della Carta, ed ha, in linea di principio, carattere legittimo, in particolare qualora il datore di lavoro coinvolga nel perseguimento di tale obiettivo soltanto i dipendenti che si suppone entrino in contatto con i clienti del medesimo. La neutralità del luogo di lavoro sarebbe una giusta via da perseguire se oggettivamente garantita. Cosa che in Italia non accade con la nota esposizione del crocifisso in ogni ovunque. Dunque se un datore di lavoro decide che per garantire la neutralità di un luogo di lavoro non si può indossare il velo, od una collana visibile con il crocefisso, orecchini con il crocefisso, oggetti che possono richiamare l'appartenenza alla propria fede religiosa, potrebbe essere legittimo. Ma il primo esempio dovrebbe darlo lo Stato, in materia di laicità, cosa che non accade, a partire dalle scuole,e tribunali. Certo, è facile pensare che se la contesa avesse avuto per oggetto non un simbolo islamico ma cristiano, probabilmente i giudici non sarebbero arrivati a quella conclusione, ma è altrettanto vero che i principi di quella sentenza, si possono estendere a più fattispecie, ovvero non solo al caso del velo islamico. Se ti vesti troppo non va bene, se esponi la nudità non va bene, ma chi ha il diritto di decidere come io debba e possa vestirmi? E da qui sorge l'interrogativo, è giusto vietare nel luogo di lavoro l'esibizione individuale di simboli religiosi? Anche perchè dopo i simboli religiosi si può arrivare ad altro, quell'altro che può minare la neutralità dello spazio nel quale si vive e convive a fatica ogni giorno, che rischia di neutralizzare ogni diversità ed ogni identità individuale. 
Marco Barone

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