Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Quando per offendere si dice "vai a zappare la terra", eppure dovrebbe essere un complimento



Calpestare la terra è meraviglioso, e lo è ancor di più sporcarsi le mani con la terra. Ma siamo cresciuti nell'epoca dove lavorare la terra è stato inculcato come un qualcosa da sfigati, analfabeti, ignoranti, miserabili. E da qui l'insulto vai a zappare la terra. Ma saper lavorare la terra è fondamentale, altrimenti si morirebbe tutti di fame. In Italia milioni di persone potrebbero vivere solo lavorando la terra, che stiamo massacrando, per colpa di una globalizzazione sfrenata che ha partorito solo diseguaglianze ed ingiustizie. Che anche la terra ha subito. Dai non diritti dei lavoratori, dove nella maggior parte dei casi sussistono condizioni di schiavismo becero, ma facciamo finta di non vedere o non sapere, anche se le prime lotte di classe ebbero luogo nella storia proprio da parte dei contadini, all'abbandono vero e proprio della terra per lasciar spazio al progresso, al cemento, che uccide, giorno dopo giorno, la terra. Non dico niente di nuovo, ogni tanto anche qualche politico, illuminato sulla via della terra, e che magari non ha mai preso una zappa in tutta la sua vita, si perde in questi discorsi, che potrebbero essere percepiti come comuni bla bla bla.  E' una questione culturale. Incentivare il lavoro della terra, l'agricoltura, con il giusto equilibrio, oltre a dar lavoro a milioni di persone, favorirebbe anche una condizione sociale di equità, perchè i diritti possano essere giusti, i salari giusti, e la qualità del prodotto ottima. Si affermerebbe il divenire comunità, la solidarietà sarebbe l'ordinarietà, e forse per questo nel corso di questi ultimi decenni il lavoro della terra è stato banalizzato, offeso, ridicolizzato, perchè minerebbe i "valori" di una società frenetica, materialistica e pesantemente capitalistica. Se tutti lavorassimo la terra forse vivremmo in un mondo migliore. E' faticoso, si deve partire da zero, perchè i veri analfabeti siamo noi, noi comuni cittadini metropolitani che disprezziamo la terra, eppur senza la terra si creperebbe tutti. Ma questo alla fine a chi importa realmente? E le campagne continuano ad essere luoghi, salvo qualche raro caso, di degrado sociale enorme, ma prima o poi questa situazione, vuoi per necessità, vuoi per il fallimento del metropolicentrismo, emergerà ed i conti li faremo, nel bene o nel male con la storia, con la nostra coscienza e con la nostra fame, perchè l'Italia è un Paese in via di tracollo.  Dunque, più terra per tutti, sarà lo slogan che un giorno, invaderà anche le nostre strade cittadine e metropolitane? Chissà.
Marco Barone

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