C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Il documento ANPI per il congresso nazionale: due punti assurdi su migranti e giorno del ricordo


Il 2016 sarà l'anno della svolta per l'ANPI? Sicuramente sarà l'anno dei congressi locali, che dovranno definire i nuovi direttivi per arrivare al congresso nazionale di Rimini previsto per il mese di Maggio del 2016. Per l'occasione è stato realizzato un documento di base a dir poco corposo  dove si affrontano varie questioni importanti. 
Ma vi sono due punti che a parer mio devono necessariamente essere cancellati.   Il primo riguarda la questione sui migranti. Se è condivisibile la lettura che viene conferita nelle premesse soprattutto lì ove si scrive che “risolvere il grande problema dell’accoglienza, che non vuol dire solo ricevere, ospitare, rifocillare i “profughi”, ma – se tali sono – accettarli, consentire loro di inserirsi nel contesto economico e sociale dei Paesi che li ospitano, puntando a trasformarli, in futuro, in cittadini, a cui insegnare anche la lingua e le regole del Paese in cui si trovano. Solo in questo modo un problema biblico, può assumere i caratteri, non solo della solidarietà, ma anche quelli di un inserimento (integrazione) positivo e valido nel tessuto produttivo e sociale degli “ospitanti”, come già in molti casi sta avvenendo”. 
Reputo grave il passaggio seguente: “Questo non significa, ovviamente, “accoglienza per tutti”; bisogna anche selezionare, oltretutto disciplinando meglio e in modo più adeguato la normativa sul diritto d’asilo. In questo modo, una parte notevole di quella folla di fuggiaschi può trasformarsi perfino in una risorsa, respingendo invece chi cerca avventure e operazioni non lecite.” Ora mi si deve spiegare chi siamo noi dell'ANPI per poterci arrogare il diritto di elevare tale formula? Come selezionare? Chi selezionare? Con quale criterio? E cosa significa respingere chi cerca avventure? Come si possono formulare tali simili ed allucinanti concetti? La resistenza o meglio parte di essa che era poi quella più corposa aveva tra i propri ideali una società diversa, di accoglienza, di integrazione, senza più muri, una società fondata sull'uguaglianza tra le persone senza distinzione e discriminazione alcuna. Non è competenza dell'ANPI decidere chi o non chi possa essere accolto, o chi “selezionare” è competenza dell'ANPI battersi per una società equa, ove la democrazia reale sia piena, senza guerre, senza confini e fascismi nuovi e vecchi. Tale passaggio che non dovrebbe stupire se prodotto in documento di una forza politica di destra, lascia a dir poco basiti per il fatto che sia stato prodotto nel documento base che dovrebbe dettare i punti di riferimento per la governance che l'ANPI nazionale dovrà avere.
Altro punto dolente è quello relativo ai giorni fondamentali da celebrare. Si legge: “Restano fondamentali: il 27 Gennaio (Giornata della memoria), il 25 aprile (Festa della Liberazione), il 9 maggio (Giorno dedicato alle vittime del Terrorismo e delle Stragi), il 2 giugno (ormai consolidato come Festa della Repubblica e della Costituzione), il 10 febbraio (Giornata del Ricordo, ma di tutto il ricordo storico e non solo di una parte di esso, come molti vorrebbero)”
Ma come si può pensare di dover legittimare, riconoscere il giorno del 10 febbraio? E' un passo decisivo verso la revisionistica memoria condivisa? E' il caso di ricordare alcune brevi cose. Durante il processo parlamentare che ha condotto all'approvazione della citata legge, vi sono stati alcuni interventi che devono essere segnalati e letti perché sono quelli che meglio rappresentano l'essenza di quella legge.

Il primo è quello del Senatore Servello di An : “Tornando al significato complessivo del «Giorno del ricordo», l'elemento decisivo mi sembra consistere nel fatto che la data prescelta sia il 10 febbraio, giorno del Trattato di Parigi che impose all'Italia la mutilazione delle terre adriatiche. Se invece, come avevano inizialmente proposto i vertici DS, fosse stata scelta la data del 20 marzo, giorno in cui partì da Pola l'ultimo piroscafo con la nostra gente, gran parte del significato storico-politico del «Giorno del ricordo» sarebbe probabilmente andato perduto”.

Il secondo è quello del Senatore Pedrizzi sempre di AN : “Non si può nemmeno dimenticare, per carità di Patria, nemmeno per opportunità o meglio opportunismo politico la grave responsabilità della classe politica dirigente italiana nella rinuncia alla Zona B del mai nato territorio di Trieste. Questione che nel 1974 l'allora Presidente della Repubblica sbrigò con questa battuta: «Non faremo la guerra certamente per cinquecento metri di terreno» laddove si trattava di oltre cinquecento chilometri quadrati di terra italiana. Senza il Trattato di Osimo del 1975, infatti, oggi quelle terre sarebbero automaticamente italiane. Sarebbe bastato solamente che la nostra diplomazia di Governo avesse avuto il senso della Nazione oltre ad un minimo di lungimiranza politica in grado di farle intuire che qualcosa sarebbe cambiato…”. Interventi effettuati nel giorno 11 marzo 2004. Come ha avuto modo di rilevare il Senatore Basso, dei DS, che poi alla fine comunque voterà a favore di questa legge“ Si parte, magari come fa il senatore Servello, dalla richiesta della restituzione dei beni agli esuli, per poi magari pretendere la restituzione dei territori”. 

Un Paese normale e rispettoso della propria storia, prima di istituire qualsiasi giorno del ricordo dovrebbe, come minimo, vagliare con attenzione tutte le fonti e non solamente quelle di parte. Ma ciò non è accaduto e non accadrà. Insomma si è verificato un processo al contrario. Prima si istituisce una legge quale quella che istituisce il giorno del ricordo, nei cui passaggi parlamentari le cifre,con riferimento all'esodo, ruotavano intorno alle 350 mila unità, non corrispondenti al vero, però poi si chiede di sapere, come da interpellanze prodotte successivamente, se quella cifra corrisponda al vero o meno. Questione di serietà, cosa che l'Italia non conosce. Ma quella Legge nasce anche con un chiaro spirito irredentista. Spirito che è stato strumentalizzato e manovrato per legittimare l'entrata in guerra dell'Italia e la contestuale invasione di terre ove le pietre certamente non parlavano italiano. Lo scopo era esercitare l'egemonia in buona parte dell'Adriatico, uno scopo che doveva trovare legittimazione e da qui è partita tutta l'epopea culturale ed intellettuale,come cavalcata dai circoli di potere, che sotto il principio dell'Italia fisica, della superiorità della “razza italica” rispetto a quella “selvaggia dei barbari” ha determinato processi di violenza inaudita e neanche puniti. Questo secolo, a dir poco turbolento, soprattutto per la rinascita di fuochi di carattere nazionalistico, non lascia ben certo sperare. Ed il tutto speculando sulla vita e la morte. Un Paese serio, che si professa come cultore della pace e garante del rispetto dei rapporti internazionali, abrogherebbe senza pensarci due volte una simile legge. Con questo non significa che non debbano essere ricordate le vicissitudini di chi ha lasciato la terra in cui magari è cresciuto, le proprie case, le sofferenze vissute, per non aver in via prevalente accettato la perdita della sovranità italiana su terre state italiane per pochi anni, e non aver accettato il sistema comunista jugoslavo, e conseguentemente  non voler divenire cittadino jugoslavo, senza dimenticare le centinaia di provvedimenti legislativi adottati ad hoc, il ricollocamento mirato in alcune realtà, come a Gorizia, che è stato determinante per l'assegnazione di Gorizia all'Italia, i milioni e milioni di euro stanziati nel corso degli anni alle realtà variegate di carattere associativo che operano in funzione di quella Legge,  ma sicuramente la base di partenza non è e non può essere la legge sul giorno del ricordo. Legge che tra le altre cose, per come strumentalizzata, usata, indirizzata, stante anche lo scopo per cui è nata, ha fatto solo del male alla memoria degli esuli. Ed il fatto che l'ANPI voglia celebrarla pur con la precisazione che di tutto il ricordo debba trattarsi, non ci siamo proprio. Illusione, utopia, perché quella Legge è nata per uno scopo chiaro e questo non si può far finta di non comprenderlo. E quello scopo è incompatibile con la storia della nostra resistenza, dell'antifascismo, dell'ANPI.  Confido che durante i dibattiti che si svolgeranno nei vari congressi locali, in vista del congresso nazionale, questi punti possano essere rivisti, riformulati se non totalmente troncati.



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