Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Quando i soldati austriaci ed italiani si davano del buona sera in trincea

Nei pressi della collina di Ravelnik, in una notte di luna piena,nei primi mesi del 1917, alcuni soldati austriaci, all'esterno dei reticolati italiani, dopo aver visto pochi “nemici”, durante un piccolo e fugace momento di tregua concordato, salutarono con un buona sera, e "buona sera" risposero i soldati italiani. Dopo qualche minuto di imbarazzo, il soldato Antonio Budinich, il cui cognome per decreto prefettizio venne modificato in Budini nel 1937, intraprese, in italiano, la sua lingua,anche se combatteva tra le file dell'esercito austro-ungarico, un dialogo con i nemici italiani.
Piccolo scambio di battute, senza polvere da sparo. Poi, ognuno, ritornò nel buio delle maledette trincee, pronto per combattere. Il passaggio relativo al “buona sera” è certamente uno dei più emozionanti, ma anche impressionanti, del libro “le memorie di guerra di papà” edito da Beit di Trieste. Un libro ricco di dettagli, che racconta la tremenda sventura in cui si è trovato, suo malgrado, il professore Antonio Budinich, nel corso del lungo conflitto della prima guerra mondiale. Migliaia di persone mandate ad ammazzarsi senza a volte sapere un perché. Molti neanche conoscevano l'esistenza di Trieste o Gorizia, per molti italiani il mondo finiva a Roma, ma le ragioni della guerra hanno prevalso inondando prati, colli e monti di morti ed invalidi perenni. Quasi sempre non avevi scelta, o sparavi tu o venivi sparato, od uccidevi o venivi ucciso. Il massimo della fortuna che poteva capitare era di essere feriti, in modo così grave, da essere dispensatiUna guerra senza senso, non che le guerre abbiano mai un reale senso. Pochi elitari, imperiali e reali, nel salotto buono e caldo della loro vita borghese con una cartina in mano manovravano la vita di milioni di persone. Persone mutate in pedine, pedine da gioco, un gioco mortale, la guerra.

Quel buona sera, in pieno tempo cupo e nero di guerra, è un segnale alla ricerca di un briciolo di umanità. Parlavano la stessa lingua, vivevano a pochi passi gli uni dagli altri. Ma bombe e piombo, mazze e pistole hanno prevalso; le bombe ed il torto di Stato ha mutato i pochi passi in lunghi ed infiniti confini di disumanità. Un buona sera in tempo di guerra, nel silenzio di una notte che Antonio ha potuto raccontare e scrivere, ma il soldato, in quel momento nemico, chissà se avrà potuto fare lo stesso.


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