Erano
anni, tanti anni, che non capitava di leggere, variegate nello
stile, uniformi nella direzione del messaggio, scritte, tante
scritte, sui muri di Bologna. Non
più i soliti canonici muri, ma cento e più muri del centro, il
triangolo della rivolta si allarga e conquista sempre maggior spazio. Una
Bologna che con il suo passeggio da T Days potrebbe indurre
all'errore, potrebbe far pensare che è una città che ben si
armonizza con il presente, il presente dell'omologazione del
linguaggio politico e sociale. Siamo
alle porte delle politiche comunitarie, importanti per l'Europa, non
tanto per l'esito del voto, ma per quella legittimazione di cui
necessita, per andare avanti con i suoi processi riformatori e
liberisti, crudi e rigidi ed austeri. L'Europa vuole, per la sopravvivenza della propria immagine, che la gente vada a votare, e si pompano all'ennesima
potenza fenomeni minimi, seppur importanti ed in ogni caso da contrastare senza condizione alcuna, ma non così eclatanti da
dover evocare il grido dell'allarme nero. L'Europa
che inizia a proclamare il nazionalismo come il male dei mali.
Incredibile
ma vero. Proprio
quell'Europa che nasce dal nazionalismo, che è retta dal nazionalismo di due o più Paesi, e che difende il nazionalismo dell'Ucraina come rivendicato da gruppi neonazisti, ora ribalta il sentimento del
nazionalismo, forte e dominante in Paesi come l'Italia o la Francia,
che viene chiuso tutto in un solo covone, quello della negazione
dell'Unione e di quella fratellanza di cui necessita l'Europa.
Certo,
principio condivisibile.
Ma,
in questa Europa, e di altre credo proprio che difficilmente ve ne
saranno, irrealizzabile.
Europa
nata male, destinata a finir male.
Siamo
per l'Europa delle comunità, più che dei popoli, siamo per l'Europa
dei diritti umani più che della finanza, lo ripetiamo come un nastro rotto, ma una cosa è certa, fino a quando
ci sarà il capitalismo questa Europa continuerà sempre sulla strada attuale. Le
sue fondamenta sono quelle del capitalismo. Per
avere l'Europa delle comunità si deve demolire quella presente e
ricostruire tutto ex novo. Comunque
sia in ogni ovunque ora sembra di vivere tutto ed il tutto nella normale
ordinarietà.
Pensiamo
all'Italia.
Gli
scontri di piazza vengono relegati a fatti di ordinaria cronaca, la
disoccupazione alle stelle non è notizia e neanche problema, sono
spariti i suicidi per la “crisi”, sono spariti i problemi per la
casa, è sparito il problema dello spread, sono spariti tutti gli
elementi che hanno connotato l'attacco sferrato volutamente
all'Europa del Sud.
Insomma
sembra che tutto vada bene, tanto che il governo italiano ora
restituisce 80 euro in busta paga ad un ceto ben specifico, quello
che può essere determinante per il voto elettorale. I
poveri tanto non voteranno, i disoccupati neanche, e dunque possono
continuare a crepare di fame o senza lavoro.
E'
il momento della sospensione.
Poi,
dopo il gran respiro, tutto come prima, si aprirà nuovamente il
sipario, e lo spettacolo continuerà, crisi, disoccupazione,
austerità, diritti risicati e repressione.
Non
parlano i media di sistema, parlano allora i muri, i luoghi e gli spazi.
E
Bologna, così come altre piccole città metropolitane italiane, è
arte vivente espressiva della crescente rabbia sociale. Non
più sordi come i muri, ma loquaci come i muri, perché i muri
parlano e l'eco di quella voce rimbalza, come una pallina del
flipper della rivolta, ovunque.
Una
bicicletta, una lattina ed un semaforo.
Pedalare
per la ribellione, per evitare di essere stritolati come una lattina
di latta, dopo che il sistema ti ha risucchiato ogni goccia della tua
anima laica, per l'amore di quella dignità sociale ed esistenziale
che non deve mai venir meno, neanche quando sei trascinato nella
melma, neanche quando i tuoi problemi individuali possono distrarti.
Viva i muri di Bologna.
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