La
prima parte della serie televisiva della Rai, gli anni spezzati, è
dedicata al Commissario Calabresi. Una piccola serie televisiva che
ha lo scopo prevalente di parlare alle nuove generazioni, a chi non
conosce quella storia, a chi non ha vissuto quella storia e nello
stesso tempo di difendere la memoria e la dignità di alcune
personalità. Gli anni bui in cui ha operato il Commissario Calabresi
vengono subito presentati in modo fugace e violenti, violenta sarà
l'immagine mediaticamente omologata degli anarchici, violente saranno
le azioni che subiranno le forze dell'ordine, che per buona parte
della prima puntata vengono presentate come semplici vittime di
aggressioni gratuite, come impotenti e collocate al centro del caos
il cui artefice, almeno nel film, è ignoto. Non si spiega però il
contesto storico sociale ed economico allora esistente, si sfiora ma
non lo si spiega e ciò è un primo grave errore che viene commesso.
La semplificazione della storia delle lotte sociali, in piena
armonia con la società dei 140 caratteri, è un mero ingiusto
schiaffo che si scaglia specialmente a chi ha creduto in quelle lotte
e sacrificato anni della propria vita per cambiare il mondo. Il
Commissario appare sin dalla prima puntata come il grande saggio,
uomo di chiesa, predisposto all'ascolto ed alla moderazione, un
Commissario che non voleva lo scontro. Vi sarà il tipico
poliziotto infiltrato che si arruola in polizia per campare che si
innamorerà della “controparte”, tipico cinema italiano, vivrà
fugacemente il suo complesso esistenziale, ritornerà sulla strada
dell'ordine grazie alle parole del Commissario. Fare il poliziotto è
una questione di passione, non lo si fa per soldi, parole che
rimarranno scalfite nella mente di milioni di telespettatori, così
come rimarranno impresse le immagini di un Feltrinelli presentato,
nella prima puntata, come una sorta di intellettuale burbero freddo
ed insensibile, un Pinelli amante dei libri e dell'anarchia vera,
umana non violenta, come se l'anarchia fosse in verità un qualcosa
di diverso, di violento e disumano. Chi
non conosce l'anarchia farebbe cosa buona e giusta a non fare con
tutto il fieno il solito covone dell'omologazione. Pinelli
vittima del sistema , così come emergerà poi nella seconda puntata,
anche Calabresi lo sarà. E poi ecco arrivare l'attimo della strage
di Piazza Fontana, le inquadrature si soffermano sulla valigia
marrone, ma sfiora più di una volta una seconda valigia, lasciando
il dubbio delle due valigie. Come accaduto per la strage successiva
di Bologna anche per quella di Piazza Fontana la prima indicazione
che emergerà sarà quella della caldaia, ma l'odore ed il cratere
faranno presto intendere altro. Si sfiora, nella prima puntata, la
pista di Ordine nuovo e del traffico di esplosivi ed armi che
condurrà fugacemente il commissario in Svizzera. E poi i tre giorni
illegali di prigionia di Pinelli, il suo volo dalla finestra della
Questura di Milano nella notte di luna piena, un volo, che per come
fatto intendere, giustamente, dalle riprese sbrigative del film, non
sarà quello del suicidio, come evocato da buona parte del sistema
istituzionale, ma quello dell'essere stato gettato dalla finestra
come un mero rifiuto.Ucciso perché doveva confessare e perché la sua morte sarà utile e non
lasceranno indifferenti le falsità e le coperture di alcuni alti
esponenti di quel tempo delle forze dell'ordine, a cui anche il
Commissario, come emerso nella prima puntata,si è prestato, per
celare l'omicidio di Pinelli ed adeguarsi al senso di appartenenza al
corpo, a quell'unicità che è tipica degli apparati corporativi, a
quel senso del dovere che alla fine lo lascerà solo. Eppure la
verità non poteva non conoscerla. Tragicamente umana sarà la
scena della moglie di Pinelli quando verrà avvisata dalla stampa e
non da chi di dovere della morte del proprio amato marito. Tragica
sarà la scena di come in via sbrigativa, perché queste saranno le
direttive decise a Roma, capitale della menzogna e del potere, si
procederà alla sostanziale demolizione delle prove che avrebbero
potuto evitare altre stragi e vittime innocenti in un gioco malvagio
e diabolico che ha partorito solo dolore e per cosa?
La seconda parte
della prima serie è incentrata sulle vicende che seguono
all'omicidio di Pinelli attraverserà l' inquietante fine di
Feltrinelli, e per gioco del destino i due cognomi termineranno con
le stesse lettere del cognome di quel maestro venerabile della Loggia
P2 che proprio in quel periodo doveva realizzare quello che passerà
alla storia come il fallito Golpe Borghese, per arrivare alla morte
di Calabresi. Nella
seconda puntata emergono tantissimi dubbi, dubbi che evidenziano la
menzogna di uno Stato che per il tramite di alcuni suoi apparati ha
coperto chi non doveva, per amore della giustizia e della verità, essere coperto. Sarà emblematica la scena del
riconoscimento di Valpreda, l'unico, tra persone in giacca e
cravatta, ad essere dall'aspetto selvaggio e che ovviamente verrà
riconosciuto come l'uomo della valigia di Piazza Fontana. Un
Calabresi che indagherà sempre con maggior consistenza, ma in
solitudine, verso le forze fasciste, ed in quel periodo verrà spinto
a querelare il giornale Lotta Continua e lasciato solo, anche in
questa vicenda.
Una
querela che altro effetto non ha avuto se non quello di incrementare
la tensione, l'odio e creare quel contesto perfetto che condurrà
alla sua voluta morte da più parti, ma in primis da chi si sentiva
minacciato dalle sue indagini che avrebbero rischiato di colpire,
probabilmente, i vertici di quell'apparato di uno Stato che voleva
ordine e repressione ed un nuovo fascismo.
Il
Commissario sarà in trappola, sarà solo. Non
gli daranno neanche la scorta e nessun tipo di protezione. Arriveranno
le prime avvisaglie i cui metodi ricordano, per i messaggi, le
intimidazioni di stampo mafioso, il trasferimento. Non
doveva arrivare alla verità, al fascismo di Stato responsabile di
Piazza Fontana, la sua morte sarebbe stata utile sia per allentare la
presa verso il mirino neofascista che distrarre l'attenzione dai
mandanti. Il contesto politico e le pallottole,che la verità
giudiziaria, ha riconosciuto essere di sinistra, saranno l'elemento
perfetto. Eppure
il film doveva, visto che era una grande occasione, spiegare meglio
il perché della morte di Feltrinelli e come questa fosse legata alla
sorte di Calabresi. Entrambi
uccisi il giorno prima di incontrare in Svizzera una persona che
avrebbe dovuto dare loro informazioni sul traffico d'armi. Indagini
che condurranno Calabresi anche a Trieste. Indagini sulla morte di
Feltrinelli che avrebbero condotto verso qualche obiettivo che doveva
rimanere, così come è rimasto, velato dalla menzogna ed omertà di
Stato.
Un
film che si attiene fedelmente agli atti processuali, ma che sulla
dinamica della morte del Commissario si limita solo al fatto ma non a
tutte le circostanze che quella mattina del 17 maggio 1972
condurranno alla sua inevitabile e non evitata uccisione. La
dinamica dell'incidente, i testimoni, i rilievi sulle pallottole, la matita ritrovata di produzione americana, nell'auto
utilizzata per ucciderlo, la dinamica del furto dell'auto e del
ritrovamento, la fuga e tutto ciò che vi è connesso. L'urlo
del dolore della moglie di Calabresi è l'urlo di chi è stato
tradito dallo Stato, l'urlo che accomuna quella tragedia che ha visto
la moglie di Pinelli e di Calabresi vivere il dramma della solitudine
e della menzogna del sistema, anatema verso ogni dignità e verità.
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