Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Lettera della madre di uno degli antifascisti processati a Verona

“scusami”

Il 17 luglio del 2005 a Verona venivano aggrediti ( picchiati e uno accoltellato) Pasquale, Luca e tre ragazze, da parte di un branco di chiara matrice di estrema destra, che passò alla cronaca come “l’aggressione di Volto S. Luca”.
Quella sera ero scesa dal solito treno all’ultimo binario, tra una folla silenziosa, frettolosa e indifferente. Il viaggio seppur breve, attraverso una notturna pianura punteggiata di luci allineate o isolate che rapidamente sparivano dal mio sguardo era terminato, così come la sensazione del piacere un po’ infantile dell’ andare altrove pensando di non doversi mai fermare. Mi guardavo attorno per ritrovare lo sguardo di mio marito che mi avrebbe ricondotta alla quotidianità rassicurante della mia famiglia. Lo intravidi appoggiato al muro, alla fine del corridoio, ma non aveva il sorriso con cui mi accoglieva di solito; mi feriva lo sguardo un po’ sfuggente, l’atteggiamento tra il distaccato e lo sbrigativo quasi fosse seccato di vedermi o avesse fretta di andare all’automobile che ci avrebbe riportati a casa. Mi avvicinai e gliene chiesi il motivo come un mezzo rimprovero e fu allora che accadde. Avvertii una stretta allo stomaco ed entrai in una specie di sospensione temporanea. Mi ero resa conto che nei suoi occhi c’era un’angoscia tremenda e l’ espressione del viso raccontava un accaduto che le parole si rifiutavano di dire. Pronunciai il nome dei miei due figli, uno per volta lentamente e quando dissi “Luca”, mi guardò e avvertii netto il battito del cuore che si fermava togliendomi il fiato. E’ così che ho saputo del sangue che ricopriva gran parte del corpo di Luca, dei tagli che erano stati incisi nella sua carne e nella mia anima, di quella minuscola ferita sul torace così insignificante alla vista e così terribile nell’immaginario perché quel coltello lungo 15 centimetri non ha toccato il cuore o un polmone solo per pochi millimetri. Sono passati cinque anni ma non riesco ancora a guardare quel corpo per me così perfetto e così amato, sfregiato, umiliato da cicatrici lunghe e larghe come dita raggrinzite. Ogni volta sento ancora stringersi lo stomaco e la sensazione di impotenza, di giustizia negata, di sofferenza senza consolazione mi sommerge come un’onda.
Giulio Mauroner quando lo ha accoltellato era minorenne; l’incartamento che lo riguardava è stato inviato al tribunale dei minori di Venezia e non se ne sa ancora nulla, intanto ha continuato a vivere indisturbato a Verona ( partecipando ad altre aggressioni simili, come hanno riportato nel frattempo i giornali locali). In fine l’estate scorsa ha lavorato come bagnino in una rinomata piscina della città. E’ in quell’occasione che Luca, dalla vasca dove stava nuotando, lo ha rivisto. L’atteggiamento irrispettoso di Mauroner e la frustrazione, la rabbia, il disagio permanente della vista delle proprie cicatrici, sono risaliti dal luogo remoto in cui era riuscito ad imprigionarli e sono esplosi in pochi pugni subito fermati da altre persone.
Dopo quattro mesi di indagini (tempo durante il quale Luca non ha più rivisto Mauroner) Luca è stato arrestato, ora è agli arresti domiciliari fino all’udienza per il patteggiamento perché “ socialmente pericoloso” e perché il suo gesto è stato dettato, secondo il pm, da”abietti motivi” e soprattutto non ha chiesto scusa alla famiglia Mauroner. In aggiunta alla situazione già di per sé indegna, all’avvocato difensore di Luca che lamentava col pm come cinque anni fa la famiglia Mauroner si guardò bene dall’esprimere delle scuse o un qualsiasi altro commento, gli è stato risposto che Luca non ha da pensare a cose accadute tempo fa ma a quello che ha fatto adesso!
Chi deve chiedere scusa a chi? La magistratura che non ha processato Mauroner ? La famiglia Muroner per aver educato un figlio come Giulio? … forse sono io che devo chiedere scusa a tutti loro perché mio figlio è ancora vivo … allora SCUSATEMI !!!!
fonte: http://www.ecn.org/antifa/article/2929/lettera-della-madre-di-uno-degli-antifascisti-processati-a-verona

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