Il mostro che Pino Masciari sta affrontando da solo
da: http://www.pinomasciari.org/2009/11/il-mostro-che-sta-affrontando-pino-masciari-da-solo/#more-5352
Pubblichiamo un ottimo articolo di Domenico Salvatore della testata Melitoonline.
Lo pubblichiamo perchè dà il peso di cosa Pino Masciari sta affrontando da solo da quindici anni a questa parte: l’articolo sottolinea il coraggio di Pino, come fosse un cavaliere solitario contro un tremendo drago, pericolosissimo, con una potenza di fuoco abnorme con la quale ha già versato sangue e altro ne potrebbe versare. E sappiamo dalle fiabe che i draghi sono sempre a custodia di un tesoro immenso, in questo caso tutto tolto all’economia sana del Paese.
Già, non fosse realtà sarebbe avvincente seguirla questa favola, fino in fondo. Ma essendo una vicenda che accade ogni giorno del presente attorno a noi, può (o potrebbe) coinvolgerci e allora per spirito di sopravvivenza, per paura, per non essere scomodati dalla routine quotidiana, molto spesso si trova conveniente girare la testa e abbassare lo sguardo per non vedere. Anche perchè le favole garantiscono il lieto fine che ivi cerchiamo sempre. La realtà no, sa essere tragica e crudele.
Per questo richiamiamo alla costante presenza, non per essere sotto i riflettori e farci belli ….ma per non essere sotto tiro! E scusate se è poco. Parliamo al plurale perchè siamo partecipi e consapevoli del rischio che corre la famiglia Masciari così come chi è loro accanto, amici o estranei che fossero.
Richiamiamo alla costante attenzione perchè siamo testimoni di eventi prontamente segnalati alle autorità preposte, il più eclattante dei quali certamente resta l’intrusione di agosto nella località segreta e “protetta” che per fortuna e volontà degli estranei non si è conclusa nel versamento del sangue dei nostri cari Masciari.
Vediamo spesso movimenti e sdegni portati in piazza in memoria di vittime di mafia, di ingiustizie, di martiri del nostro Paese. Doveroso.
Da sempre noi amici di Pino Masciari, con semplicità, ci siamo mossi attorno ai VIVI, in sostegno dei Masciari, consapevoli che la loro condizione è vissuta anche da altre famiglie che sono ben presenti nel nostro pensiero e nelle nostre azioni. Non vediamo l’ora di assistere al lieto fino, però al momento non ne vediamo l’ombra.
Ma lo abbiamo detto: la realtà è ben diversa e per vedere un finale degno bisogna lottare, faticare, sputare sangue, cadere e rialzarsi. In una parola: resistere. Con la minuscola.
Buona lettura dell’articolo:
Serra San Bruno (V.V.) i funerali blindati all’alba del mammasantissima Damiano Vallelunga, alla presenza di pochi intimi, sorvegliati dai Carabinieri
Così ha deciso il questore di Vibo Valentia Filippo Nicastro, motivando il divieto con ragioni di ordine pubblico. Il capobastone di caratura nazionale, di Serra San Bruno, boss del clan dei “viperari”invischiato nella “faida dei boschi” altrimenti detta “delle quattro province” è stato seppellito alla presenza di pochi intimi, ieri mattina alle cinque. Alla presenza dei Carabinieri del comando provinciale di Vibo Valentia. Il fascicolo dovrebbe passare ora nelle mani della DDA di Reggio Calabria, diretta dal dottor Giuseppe Pignatone, in quanto il delitto è avvenuto a Riace, provincia di Reggio Calabria. Semprechè la procura di Catanzaro, diretta dal dottor Antonio Vincenzo Lombardo, competente su Vibo Valentia,in cui ricade Serra San Bruno, non lo rivendichi
SERRA SAN BRUNO (V.V.) ESEQUIE CORAZZATE ALL’ALBA, PER IL MAMMASANTISSIMA DELLA ‘NDRANGHETA, DAMIANO VALLELUNGA, 52 ANNI, CONIUGATO, AMMAZZATO DOMENICA 27 SETTEMBRE 2009, A MEZZOGIORNO (DI FUOCO) ALL’USCITA DEL SANTUARIO DI SAN COSIMO E DAMIANO A RIACE (RC)
Per un verso o per l’altro alle indagini per identificare i killers, il mandante ed il movente dell’efferato delitto, sono interessati i comandi provinciali dei Carabinieri delle province di Reggio Calabria, (Pasquale Colasanto), Vibo Valentia ( Giovanni Roccia), Crotone ( Francesco Iacono) e Catanzaro ( Claudio D’Angelo). Le Squadre Mobili di Reggio Calabria (Renato Cortese), Vibo Valentia (Maurizio Lento), Catanzaro (Francesco Rattà)e Crotone (Angelo Morabito ) ed i comandi provinciali della Guardia di Finanza , di Reggio Calabria (Alberto Reda), Vibo Valentia ( Pietro Mazzotta) di Catanzaro (gen. Salvatore Tatta), di Crotone ( Teodosio Marmo), coordinati dai procuratori Capo della repubblica, Giuseppe Pignatone (RC), Mario Spagnuolo (V.V.), Antonio Vincenzo Lombardo (CZ) e Raffaele Mazzotta (CR)
di Domenico Salvatore
SERRA SAN BRUNO (Vibo Valentia) – Un nostro lettore ci faceva notare che la faida in questione non sia quella dei “viperari”. Al massimo il clan di appartenenza è quello dei “viperari”. Per un refuso, abbiamo commesso quest’imprecisione. Chiediamo venia. Non ci inalberiamo perché un nostro lettore ci muova un rilievo. Anzi, lo ringraziamo pubblicamente. Non siamo perfettini. E poi, abbiamo sempre detto e qui lo ribadiamo, che questo giornale sia anche dei lettori. Soprattutto, appartiene ai lettori sovrani, che quotidianamente intervengono sotto le mille forme e che benevolmente ci concedono la loro fiducia e stima. Ma torniamo ora all’efferato, sanguinario, plateale orrendo crimine di Riace (RC). Un paesino sulla costa jonica reggina, assurto agli onori della cronaca internazionale da quando lo studente romano Stefano Mariottini, in vacanza in Calabria, il 16 agosto 1972, scoprì i bronzi ad alcuni metri di profondità. Della faida dei boschi, ne parlò anche l’imprenditore-coraggio Pino Masciari che denunziò pubblicamente le complicità, le connivenze ed i connubi e le sostenne in tribunale della ‘ndrangheta con l’imprenditoria, la politica, i giudici corrotti e le banche doppiogiochiste UN NUOVO MORTO AMMAZZATO DELLA FAIDA DELLE “ QUATTRO PROVINCE”L’interesse per l’industria del legno di Peppe Jerinò, figlio di “don Ciccio” Manigghia che ospitò il capo dei capi del clan dei Corleonesi, il medico Michele NavarraRIACE (RC) Geograficamente, Riace, il centro della jonica reggina dov’è avvenuto l’efferato delitto, non è assai distante da Serra San Bruno in provincia di Vibo Valentia. Siamo al confine fra le tre province. Di là Serra San Bruno, Soriano, Simbario, Arena, Dinami, Dasà, Gerocarne, Mongiana, Fabrizia. Di qua, sotto il Monte Pecoraro, Ferdinandea, Stilo, Stignano, Riace, Paradiso, Grotteria, Gioiosa Jonica, Mamola, Monasterace. Poco più sopra in provincia di Catanzaro,Vinciarello, Guardavalle, Santa Caterina allo Jonio, Badolato, Isca allo Jonio…”Terreno di pascolo” dei clan di ‘ndrangheta dei Gullace, Novella, Gallelli, Belfiore, Ierinò, Macrì, Mazzaferro, Ursini, Aquino, Coluccio, Loiero, Ruga, Metastasio, Albanese, Vallelunga, Montagnesi, Nesci, Cirillo, Ciconte, Loielo, Fallace. “Famiglie” spesso in lotta per il controllo assoluto del territorio, nelle ben tristemente note faide, che durano decine di anni con centinaia di morti ammazzati. E che possono sfociare anche in vere e proprie guerre di mafia. Una di queste sanguinose faide è sicuramente quella dei “viperari”; altrimenti nota come la faida dei boschi. QUALCHEDUNO L’HA RIBATTEZZATA LA FAIDA DELLE TRE O QUATTRO PROVINCE: VIBO VALENTIA ( SERRA SAN BRUNO, FABRIZIA, MONGIANA, SIMBARIO) CATANZARO (GUARDAVALLE, ISCA ALLO JONIO, SANTA CATERINA ALLO JONIO, BADOLATO) E REGGIO CALABRIA ( STILO, MONASTERACE, RIACE, STIGNANO, CROTONE). DA UNA PARTE IL CARTELLO DEI VALLELUNGA-TURRÀ; DALL’ALTRA IL CARTELLO DEGLI EMANUELE-CICONTE-NARDO. Per meglio dire, Emmanuele di Guardavalle; Turrà di Guardavalle e Stilo; Emanuele intesi “Strazzi” di Mongiana; Ciconte e Nardo di Sorianello; Vallelunga di Mongiana e Serra San Bruno. Come ha “cantato” il boss pentito “don Pasqualino” Turrà, poi ammazzato e decapitato addirittura nell’estate del 1998 a colpi di lupara, fucile e mitraglietta ad Elce della Vecchia in Guardavalle. Aveva perso il regime di protezione per essersi allontanato arbitrariamente dal posto segreto in cui era stato “nascosto” dalle forze di polizia, coordinate dal magistrato. E come emerge dall’operazione “Faggio”. Secondo gli storici, questa faida era partita negli anni ’70. Il 22 ottobre del 1977 a Stilo venne ammazzato a colpi di lupara Bruno Vallelunga, inteso “Viperaro”, 40 anni, di Mongiana. Il 28 marzo del 1978, cade sotto i colpi della lupara, Salvatore Nazareno Emanuele. Il 29 aprile del 1988, muore il pastore Damiano Gerace e subito dopo Angelo Aloi. Quindi, cade Libero Gerace. Di sèguito c’è il ferimento di Giovanni Vallelunga, che sfugge miracolosamente ad un agguato di stampo mafioso. Il 17 agosto 1988, viene ucciso, in circostanze strane, Cosimo Vallelunga. Negli anni avviene una propria e vera carneficina con morti ammazzati e feriti. “Cantano” bazooka, mitragliette, pistole Uzi e Skorpion, lupare, 9X21, 7,65. Muoiono: Bruno e Pasquale Emanuele,Felice Turrà, Fausto Ciconte. Non vengono risparmiate donne e bambini e vecchi. Così vengono assassinati Salvatore Turrà e Carmela Chiera, marito a moglie.
VANNO INQUADRATI IN QUESTE FAIDE ANCHE GLI ARRESTI CLAMOROSI, COME QUELLO (IL 5 APRILE DEL 1995) DEL MAMMASANTISSIMA “DON PEPPE” JERINÒ DI GIOIOSA JONICA , 42 ANNI, SPOSATO, TRE FIGLI, LATITANTE DA 13 ANNI CATTURATO DAI CARABINIERI. Il padre di Giuseppe, Francesco Jerinò, inteso don “Cicciu Manigghia”, ha ospitato il capo dei capi della mafia siciliana “don Michele” Navarra, medico, durante il periodo di soggiorno obbligato che quest’ ultimo doveva trascorrere a Gioiosa Jonica (RC). Giuseppe Jerinò, balzato agli onori della cronaca per aver compiuto il sequestro dell’ imprenditore sidernese Tobia Matarazzi, nel giugno 1976. Il primo rapimento avvenuto nella Locride dopo l’ omicidio del “boss dei due mondi”, Antonio Macri’, inteso ‘U zi’ ‘Ntoni. Una squadriglia dei “Cacciatori” lo bloccò alla periferia di Martone dopo averlo colpito a un piede; si arrese. Furono arrestate altre otto persone, tra cui i proprietari del casolare, Rocco De Masi, la moglie di quest’ ultimo Pasqualina Quattroville e il loro figlio, Rocco. Giuseppe Jerinò è fratello di Vittorio, il bandito che ha sequestrato Roberta Ghidini, la giovane di Brescia liberata dopo un mese di prigionia. “Mio fratello ci ha rovinati a tutti disse Giuseppe Jerino’ . E’ un malato; ha voluto fare il sequestro con la banda Brancaleone… E’ un pazzo. Per colpa sua ci hanno confiscato tutti i beni di famiglia”. Giuseppe Jerinò avrebbe avuto un ruolo di prestigio nella cosiddetta “faida dei boschi ” innescata con lo scopo di ottenere la supremazia nel settore della lavorazione del legname.
E DI FAIDA DEI BOSCHI” NE PARLÒ SUL SUO SITO PERSONALE, DI CUI RIPORTIAMO UNO STRALCIO, IL CORAGGIOSO IMPRENDITORE PINO MÀSCIARI, DI SERRA SAN BRUNO (V.V.), DIVENTATO TESTIMONE DI GIUSTIZIA, CHE PER LE DENUNZIE CONTRO LA ‘NDRANGHETA IN CONNUBBIO, L’IMPRENDITORIA CONNIVENTE, LA POLITICA COMPLICE E (QUALCHE “SCHEGGIA IMPAZZITA” DELLA…) MAGISTRATURA CORROTTA, MERITEREBBE LA MEDAGLIA D’ORO AL VALOR CIVILE Lì 6 giugno 2007… Sono un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959, sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, unitamente a mia moglie Salerno Marisa(medico odontoiatra) e due bambini, perché ho denunciato la criminalità organizzata “ ’ndrangheta ” e le sue collusioni ….La criminalità organizzata, insieme a personaggi di spicco del mondo politico ed istituzionale, ha distrutto le mie floride imprese di costruzioni edili. Come? Bloccandone le attività, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operavo. Tutto ciò dal giorno in cui ho detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.Le mie imprese occupavano mediamente qualche centinaio di persone, cui va aggiunta l’occupazione di ditte specializzate in vari settori (idraulico, impiantistico,di pavimentazione, lavorazione intonaci, ecc.) e svolgevano attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato.Una delle due, nello specifico la “ Masciari Costruzioni ” operava con gli appalti pubblici: dunque era orientata alla costruzione di: Case Popolari, Impianti Sportivi, Scuole, Strade, Restauri di Centri Storici, ecc. Lavoravo bene, avevo anche dieci cantieri aperti contemporaneamente . Nel contempo, l’altra impresa societaria lasciatami da mio padre, in cui avevo l’incarico di amministratore, costruiva Abitazioni Civili destinati alla vendita e realizzava lavori privati per conto terzi.Inizialmente mio padre e poi successivamente io, riferivamo alle Forze dell’Ordine le pressioni di natura estorsiva che la ‘ndrangheta esercitava sulle nostre imprese e del pericolo cui eravamo esposti.Le risposte erano sempre le stesse: “ stia attento prima di denunciare, si rischia la vita, non si esponga troppo”.Nel 1988, il mese di febbraio, venne a mancare mio padre.
MI TROVAI COMPLETAMENTE SOLO, CON UNA FAMIGLIA NUMEROSISSIMA DI NOVE FRATELLI E PER POTER CONTINUARE A LAVORARE DOVETTI CEDERE ALLE RICHIESTE ESTORSIVE: IL SEI PER CENTO AI POLITICI, IL TRE PER CENTO AI MAFIOSI. Ed i soprusi che dovetti sopportare, le angherie, le assunzioni pilotate, le forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso, regali di appartamenti, l’acquisto di autovetture, e persino la costruzione di cappelle cimiteriali ecc….A questo si aggiunge che la soggezione al potere mafioso era imposto soprattutto dall’atmosfera di invivibilità che si era creata in quegli anni su tutta la Calabria ed in particolare nel mio territorio, dove, per supremazia di interesse da parte delle famiglie malavitose, scoppiò la cosiddetta “ FAIDA DEI BOSCHI “, che apportò decine di morti e diffuse il terrore nei cittadini onesti ed in particolar modo in chi esercitava un’attività imprenditoriale, vittime di atti intimidatori e di taglieggiamenti.Ma il senso di ribellione alla prepotenza e all’ arroganza che subivo era presente in me, solo che non avevo alternative e la responsabilità che sentivo verso la mia famiglia, verso i miei dipendenti, verso me stesso, era enorme.Dal 1990, decisi di non sottostare alle pretese estorsive dei politici che consisteva nell’elargizione di denaro e di lavori gratuiti, di conseguenza non si fecero attendere le prime ripercussioni sulla mia azienda. Gli stati d’avanzamento lavori mi venivano pagati con notevole ritardo che arrivava a superare anche l’anno e addirittura non mi venivano considerati i lavori eseguiti che dunque non erano nè contabilizzati nè pagati. Cercavo di resistere a queste forme di ostruzionismo con molta difficoltà e le banche, dal loro canto, facevano la loro parte aggravando l’azione d’intralcio.
DAL 1992 CON DUREZZA E DETERMINAZIONE DECIDO DI NON ELARGIRE PIÙ SOMME DI DENARO ALLA ‘NDRANGHETA.INCOMINCIAVA COSÌ LA DISFATTA TOTALE DELLE MIE IMPRESE: FIOCCARONO I DANNI DOLOSI COME FURTI, INCENDI, DANNEGGIAMENTI DEI MEZZI DI LAVORO E DI ATTREZZATURA SUI CANTIERI, PER PASSARE POI ALLE ESPLOSIONI D’ARMA DA FUOCO ( LUPARA ), ALLE MINACCE PERSONALI, ALLE TELEFONATE MINATORIE CHE METTEVANO IN SUBBUGLIO LA VITA QUOTIDIANA DI UNA INTERA FAMIGLIA. Nel 1993, mese di Aprile, giorno di pasquetta uno dei miei fratelli fu avvicinato da sconosciuti e sparato alle gambe . Se la cavò. Fui fermato da malavitosi che mi costrinsero a non costituirmi parte civile. E così dovetti fare.Le banche subdolamente mi consigliavano di rivolgermi agli usurai per ottenere quella liquidità che mi era venuta meno dai mancati pagamenti dei lavori già realizzati e per i quali io avevo investito le mie risorse.Un circolo vizioso dunque!Nel settembre 1994, con grande amarezza, decisi di licenziare tutti gli operai della mia impresa pur avendo diversi cantieri in opera, lavori in fase di ultimazione, nuovi appalti aggiudicati e altri di cui stavo per stipulare i contratti, appalti che comprendevano lavori anche in Germania a cui dovetti rinunciare, il tutto per un importo di circa 25 miliardi di lire .Fu nel mese di novembre dello stesso anno e precisamente giorno 22 (compleanno di mia moglie) che incontrai il maresciallo LO PREIATO NAZARENO, comandante allora della stazione dei Carabinieri di Serra San Bruno, mia località di residenza e, sapendo del suo sentito impegno, incominciai ad avere fiducia, raccontando in linee generali le mie vicende e quanto mi stava succedendo; fiducia che mi era venuta meno dal comportamento che dopotutto si preoccupavano per me ma nello stesso tempo esprimevano animo di rassegnazione non confacente al ruolo che rivestivano delle persone che lo avevano preceduto, i quali erano da me informati circa le mie vicissitudini.
MA LE RIPERCUSSIONI NON FURONO LIMITATI AI FATTI SOPRA DESCRITTI. NELL’ OTTOBRE DEL 1996 MI FU NOTIFICATA LA SENTENZA DI FALLIMENTO DI UNA DELLE MIE IMPRESE DELLA QUALE ERO TITOLARE, LA “MASCIARI COSTRUZIONI DI MASCIARI GIUSEPPE “ DITTA INDIVIDUALE. Dunque la mia ribellione era ulteriormente punita: inverosimilmente il fallimento era decretato per un importo di lire 134.000.000, avverso l’azienda che vantava crediti, possedeva immobili e numerose attrezzature edili.Ma non è tutto.Il fallimento è stato dichiarato dal giudice Patrizia Pasquin, giudice presidente della sezione fallimentare di Tribunale di Vibo Valentia.A distanza di anni, l’ 11 novembre 2006 veniva data notizia in tutte le testate giornalistiche a mezzo stampa eTv la seguente notizia: “arrestato il giudice Patrizia Pasquin” . Si riscontra sul sito internet “ la REPUBBLICA. It – CRONACA : Riceveva dalla mafia una stabile remunerazione”; Vibo, interrogato il giudice Pasquin ; Mastella: “Seguivo il caso da tempo”.Le mie denuncie sono state consacrate presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.I giudici della Distrettuale Antimafia che accosero le mie denuncie, valutarono la vastità dei miei racconti e dei personaggi accusati, personaggi del mondo politico, amministrativo e mafioso, ma soprattutto, considerato il grave ed imminente pericolo di vita cui ero esposto io e la mia famiglia quale conseguenza delle mie denuncie, mi prospettarono l’assoluta necessità di allontanarmi con la mia famiglia dalla mia Regione e di entrare quindi sotto tutela del Servizio Centrale di Protezione, lasciando così in tronco la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, il mio ruolo sociale e di riflesso anche mia moglie e i miei due bambini hanno subito con me l’ esilio.” Le indagini si svolgono fra mille difficoltà per il ben noto muro dell’omertà che cuce le bocche.Una cosa è certa. Il boss della ‘ndrangheta Damiano Vallelunga, secondo le forze di polizia, coordinate dalla magistratura, non era un capobastone di serie B. In tanti anni di…onorata milizia” aveva intessuto una fitta rete operativa ed efficiente di collaborazione, interessi, solidarietà, sostegni logistici che abbracciava praticamente l’intera Calabria; con proiezioni al Nord Italia. Il che significa che per la sua “eliminazione” fisica, ci sia stato il consenso, l’O.K., il nulla-osta dei clan di mafia più prestigiosi e carismatici. Così, era diventato un morto che cammina. Si tenderebbe ad escludere che Vallelunga sia stato attirato in una trappola mortale. Forse gli fecero una proposta che non poteva rifiutare Domenico Salvatore
Note
RIACE È UN COMUNE IN PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA SULLA COSTA JONICA CHE AMMINISTRA CIRCA 1600 CITTADINI. SANTI PROTETTORI: COSIMO E DAMIANO. In Provincia di Reggio Calabria la festa dei Santi Cosma e Damiano viene festeggiata a Riace con un grandissimo pellegrinaggio di devoti che arrivano anche dalle provincie vicine, come quella di Vibo Valentia (precisamente da paesi quali Brognaturo, Spadola, Simbario e Serra San Bruno). I festeggiamenti vanno dal 25 settembre fino al 27 con una grandissima processione lungo tutte le vie di Riace e conclusa con imponenti fuochi d’artificio. Il culto dei santi Cosma e Damiano, invocati come potenti taumaturghi, iniziò subito dopo loro la morte. I Santi Cosma (o Cosimo) e Damiano, noti anche come Santi Medici (… – Cirro, Siria, 303) sono ritenuti dalla tradizione due gemelli di origine araba, medici in Siria e martiri sotto l’impero di Diocleziano: sono venerati da tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi. i due erano gemelli originari dell’Arabia, appartenenti ad una ricca famiglia. Prestavano la loro opera con assoluto disinteresse, senza mai chiedere retribuzione alcuna, né in denaro, né di altro genere, sia dai ricchi e sia dai poveri, in applicazione del precetto evangelico: “Gratis accepistis, gratis date”. Durante le persecuzioni dei cristiani promosse da Diocleziano (284 – 305) furono fatti arrestare dal prefetto di Cilicia, Lisia.Avrebbero subito un feroce martirio, così atroce che su alcuni martirologi è scritto che essi furono martiri cinque volte.
Commenti
Posta un commento